Il dibattito sulla riforma del salario ha posto al centro dell'attenzione la possibilità di modificare una parte non trascurabile del "cuneo fiscale" tra il salario netto percepito dai lavoratori e l'onere sostenuto
dall'impresa per il loro impiego. Questa parte è costituita dai cosiddetti "oneri impropri", i quali sono stati definiti "impropri" in quanto sono destinati a finanziare alcuni servizi, come il servizio sanitario nazionale, che sono diretti
all'intera collettività nazionale. L'articolo parte dalla premessa che, benchè via sia ampio accordo sul fatto che il servizio sanitario nazionale debba essere finanziato mediante un prelievo di carattere generale, non si è
raggiunto
un consenso sul tipo di imposizione da adottare. La proposta più dibattuta, divenuta un punto di riferimento del dibattito, prevede l'introduzione di una nuova imposta sul valore aggiunto prodotto dalle imprese. Le gravi riserve che sono state
avanzate nei confronti di questa proposta hanno condotto gli autori di questo lavoro ad analizzare una diversa forma di finanziamento, basata essenzialmente su imposte dirette sul reddito personale. Tale forma di finanziamento renderebbe più
trasparente il sistema di contribuzione e al tempo stesso permetterebbe di commisurare il servizio sanitario ricevuto con un'imposta la cui entità non è variabile in funzione delle scelte di alcuni particolari soggetti economici.
L'impatto economico delle diverse forme di finzanziamento della fiscalizzazione degli "oneri impropri" è stato valutato impiegando un modello intertemporale di equilibrio generale dell'economia italiana. I risultati empirici mostrano che il
finanziamento con un'imposta proporzionale su tutti i redditi comporterebbe un beneficio maggiore del 25 per cento circa rispetto al finanziamento che sarebbe ottenuto con la nuova imposta sul valore aggiunto.