-LXIV-




    Erano nove fogli disegnati con estrema cura, e un decimo con un'ovale vuoto, su collo e spalle ben rifiniti.
I nove volti erano uno diverso dall'altro, come nove uomini diversissimi fra loro: dai visi lunghi e affilati, fino a quelli tondi e grassocci; mancava una numerazione che mi permettesse di sapere se li avevo disegnati passando gradualmente da un tipo all'altro, e mancava anche nella mia memoria ogni traccia di quel mio disegnarli. Eppure erano senza dubbio disegni fatti dalla mia mano.
Chiamai immediatamente Silvano, spiegandogli di questi strani fenomeni mentali. Lui tacque a lungo, poi mi disse di non preoccuparmi.
«Sono normalissime condizioni della senilità... col tempo che passa muoiono cellule nel nostro cervello, e rimangono dei buchi al loro posto, così molte sinapsi sono solo più dei ponti sul vuoto, da un buco a un altro buco. Ma è così anche nel cervello di un bambino: di sinapsi ce ne sono moltissime, ma connettono un vuoto a un altro vuoto, cioè non portano a nulla. Cerca di vederne il lato positivo: con quei buchi neri della tua memoria è come se tu ritrovassi la tua verginità; altri e nuovi mondi diventano possibili, perché si possono formare proprio in quegli spazi nuovamente liberi... e poi, dopo i centovent'anni non ci farai più caso, non te li ricorderai più. Per il momento prendi nota di tutto quel che secondo te dimostra questi fenomeni di amnesia e lasciami pensare bene sulla scelta di chi andiamo a visitare questa volta... Freud ti ispira?»
«...Non riesco a scherzarci su, Silvano. Sono più spaventato da questi fatti che dalla probabilità di diventare sordo.»
«Sì... hai ragione; da sordi alle volte si fa dell'ottima musica, da smemorati ci si dimentica di scrivere la chiave per poterla leggere... vengo subito da te.»
Arrivò a casa mia alle nove di sera. Io non avevo mai smesso di scrutare quei volti, e cercar di confrontarli coi miei ricordi... ricordi che ora tornavano confusi fino alla follia: Ahasvero nuovamente non aveva più volto, per me...
«Senti Claudio, adesso non ti sarà mica venuta paura che ai tuoi problemi di salute si debba dare ragioni derivanti dal tuo cervello?»
«E perché no? Non me l'avete radiografato dentro a quel dannato tubo in cui dovevo stare fermissimo, senza respirare, e dopo avermi bucato cinquanta volte le vene, solo una settimana fa?»
«Sì, e ti assicuro che non ci sono tumori visibili; il medico che se n'è occupato è affidabilissimo, e poi ho guardato anch'io tutte le lastre, per quel che vale il mio parere in merito...»
«Ma questa che io mi sento addosso è pazzia perfettamente in regola! Sono sempre stato piuttosto "svanito", è vero, ma qui io sono proprio spezzato in due, con uno dei due che scompare dalla memoria dell'altro... questo ha un nome, in psichiatria...»
«Regola uno: lascia perdere i libri di medicina e i nomi delle malattie, se vuoi cominciare a guarire. A meno che tu non sia medico... fammi sentire il polso... mmh, ma qui ci vuole subito un salasso!»
«Merda! Non ho voglia di scherzare su questo!»
«Uh! Questa è febbre Scarlattina! Presto andiamo, presto andiamo, presto andiamo via di qua!»
«No, aspetta. Anzi... resta... senti, io non ho dormito, sono a pezzi.»
«Allora ti canto una ninna-nanna... vediamo se ne ricordo qualcuna...»
«Va bene, ho capito, d'accordo...»
«Andiamo... scherzare un po' ti farebbe solo bene!»
«Se ti senti tanto in vena, vuol dire che ti offro la cena, visto che hai già mangiato, e così pago solo per me; ma tu mi ascolti per benino. Però andiamocene veramente fuori di casa mia: qui ho troppi pensieri pesanti che mi assalgono e non mi lasciano ragionare...»
«Così mi piaci! ...Zitti zitti, piano piano, senza fare confusione, per la scala del balcone, presto andiamo via di qua! ...»
Silvano canticchiava Rossini, e io di colpo volevo divertirmi, giocare, dimenticare per un po'. Andammo con la sua macchina fino a un piacevole ristorante in collina; solo lui aveva la straordinaria capacità di farmi superare ogni mio stato depressivo con quelle scherzose leggerezze: in quei momenti io lo amavo veramente, come un fratello di sangue ritrovato in età matura.
«Silvano,» gli chiesi quando già stavamo per uscire, «non credi che io debba capire un po' più di quel che mi succede, se voglio guarire?»
«Sì, è così; e infatti quel che si può spiegare io te l'ho spiegato. Però, vedi, la verità in medicina si limita a un punto che è situato sempre qualche passo indietro rispetto alla sperimentazione, e così noi medici siamo sempre talmente occupati dall'idea del progresso che non notiamo più come, in realtà, la nostra sia una conoscenza molto, ma molto piccola... di fatto, là al fondo c'è sempre solo la morte, e di quella non sappiamo proprio niente, a parte fatti irrilevanti, come: in che modo può provocarsi e com'è che si manifesta... allora, vedi, io ti consiglio di far come me: ci ridi sopra senza preoccupartene troppo, e poi... fatti una bella bevuta!»
«Bel dottore! E io che mi fido di te... salute!»
«Sì sì, appunto, vedi? salute
«Va bene, d'accordo, io ci rido su e mi sento meglio; ma anche se aiuterà certamente i miei anticorpi, temo che dovrei far rivedere meglio tutte quelle fotografie del mio cervello.»
«Ascolta: per quel che mi riguarda, piuttosto che mettermi nelle mani di medici e chirurghi rampanti, con la testa piena di pensieri per la nuova macchina o la prossima vacanza alle Maldive, preferirei fare la morte di Socrate, disposto a inventarmi tutto, processo e condanna compresi: almeno saprei di cosa e a causa di chi io muoio. Quindi ti do pienamente ragione quando dici che "vorresti sapere", cioè vorresti illuderti anche tu di aver capito di cosa e perché muori. Ma tu non hai la gotta, il cancro non ce l'hai, l'AIDS neppure, la distrofia muscolare non è, eccetera eccetera... tuttavia nel tuo corpo succedono cose incomprensibili e... incredibili. E sono documentate, ora, nella tua cartella clinica. A questo punto, l'unica cosa che io vorrei davvero farti capire, è che la tua cartella clinica è diventata un bocconcino appetitosissimo per un sacco di medici in carriera, in cerca di fama, successo e soldi. Seconda cosa, e fondamentale: ricordati che tu per i medici sei solo una cartella clinica e i loro personali progressi in quella... io non ho il coraggio di buttarti nelle mani di questi esempi di civiltà moderna... tu sei un'anima troppo preziosa, in questo mondo di merda...»
«Cioè io sto morendo?... voglio dire... in fretta?»
«Non si capisce quanto in fretta... ma, in fondo, pensa che ogni essere vivente in ultima analisi è qualcosa che "sta morendo"... Comunque dopodomani ci saranno i risultati delle altre analisi... aspettiamo quelle, d'accordo?»
«Sì, va bene... io mi metto nelle tue mani... che altro posso fare?»
«Ti fa molto male?»
«Lo vedi come cammino, e che non muovo più decentemente la schiena... non ho il coraggio di cercar di capire se peggiora o no il mio controllo di braccia, mani e dita, ma i dolori alle gambe mi svegliano di notte...»
«Cioè... tu suoni ancora senza problemi?»
«A parte il reggere il violoncello fra le gambe, sì...»
«Perché? le tue gambe non hanno forza, mentre stai seduto?»
«No io non uso alcun muscolo per reggere il violoncello, solo l'equilibrio perfetto fra due piccoli punti del bordo inferiore; ma le gambe devono essere sensibilissime per riconoscere quell'equilibrio e mantenerlo, e le mie, quando le tocco, non le sento più... tu lo sai. Come dicevi tu, evidentemente il mio cervello riequilibra e compensa...»
«...Aspettiamo gli altri esami...»
«E poi?»
«Dimmi: preferisci che ti illudiamo con la verità scientifica o con una bella balla colorata?»
«...Tutt'e due insieme?»
«Vedi? Ridi e bevici su! Salute!»
 
 


-LXV-




Avrei dovuto entrare in ospedale al più presto. Ma c'erano troppi concerti da fare, e troppo pochi soldi in cassa. Decisi di tener duro almeno fino ai primi di gennaio. Il trenta dicembre avevo un concerto importante e molto ben pagato a Parigi. Quello sarebbe stato l'ultimo, prima di un periodo di ricovero. Ora il mio maggior problema era cancellare tutti gli impegni fino alla primavera, senza creare situazioni sfavorevoli alla ripresa del mio lavoro, dopo la cura.
Se c'era, una cura...
Silvano s'era dato da fare per cercarmi un'assicurazione sulla vita il più decente possibile per il mio caso, visto che io non mi ero mai preoccupato di proteggermi in caso di malattia. Non era certo quello il momento migliore per ottenere un buon contratto assicurativo, ma ne feci comunque uno su suo consiglio, e lui mi assicurò il suo aiuto incondizionato e la sua protezione, anche dal lato economico.
«Ma tu sei impazzito! Potrei costarti una fortuna!», dissi.
«Sì, ma ho visto che ci sono diverse altre persone che amano i tuoi dischi, e che non vorrebbero averne solo tre. Potremmo anche fare delle collette...»
«Già, magari per strada, con un bel cartello appeso al collo: "violoncellista sordo cerca aiuto. Quando sarà guarito suonerà Bach per ringraziamento"...»
«Perché no... ma ti dirò che personalmente preferisco Piatti.»
«Già... anche questo è curioso: pensa che a Vienna, durante un concerto privato, sono stato capace di strabiliare un pubblico eccezionale solo con i pochi secondi di un Preludio di Bach -?per il quale temo di ricevere qualche secolo di Purgatorio-, mentre con un'esecuzione della Seconda Sonata di Piatti, per la quale avrebbero dovuto scolpirmi almeno un busto di marmo pregiato, hanno giusto apprezzato il fatto che ero riuscito a soggiogare il pianista, che fra l'altro era un professionista impeccabile...»
«...E dov'è successo, questo?»
«Fra gente così ricca che sicuramente può comprarsi corpo e anima nuovi, se quelli che hanno marciscono.»
«Pensi che lì in mezzo ci sia qualcuno che potrebbe darti dei soldi per pagarti le cure in una clinica privata?»
«...Non so... non sono più tornato a Vienna, ci sono stati dei problemi complicati... ma forse potrei tentare... perché?»
«Perché io conosco una clinica a Innsbruck che farebbe proprio al tuo caso. E un po' di aiuto economico sarebbe necessario...»
Decisi quindi che dovevo tentare: mi misi la maschera della "faccia tosta", e scrissi una lunga lettera al mio Barone viennese; poi la spedii con i miei tre dischi. Stavo costruendo la mia gabbia, e ancora non m'aveva neppure sfiorato l'idea che non potesse succedere altrimenti.