«Caro mio giovane amico, un po' meno giovane dell'ultima volta,
temo che non avrei carta sufficiente per scrivere tutte le mie scuse per un silenzio così lungo con lei.
Non ho neppure tempo per raccontarle quante cose mi sono successe così da non farmi più vivo con nessuno.
Però anche lei avrebbe potuto inviarmi una letterina, o qualche breve notizia a Ginevra!
Spero il suo silenzio sia dovuto a tante belle cose e a buona salute.
Ora io vivo a Vienna, in Neulinggasse 4; una vecchia casa nel centro di una vecchia Europa. Qua ho tanti ricordi, e a una certa età si vive solo di quelli.
Sarei infinitamente felice di vederla nuovamente, o anche solo sapere di lei.
Mi auguro che il violoncello che le ho donato le dia soddisfazione e possa darla al suo pubblico. Io continuo ad avere la mia zampa d'orso sugli orecchi, ma ho sentito dire che lei sta diventando famoso e bravissimo.
Lungi da me l'idea di aver merito in questo, o ancor più di aver diritto a riconoscenza! Se il mio dono le è servito, tanto mi soddisfa.
Ma rimane in me la curiosità per una sua risposta mancata: ha provato a suonare un violoncello a cinque corde?
Suo sempre più amico vecchio ebreo.»
Dovevo suonare a Vienna il quindici di quel mese: Antonin Dvorak, il Concerto in Si minore opera 104, per violoncello e orchestra; sarebbe stata la mia prima occasione di misurarmi con quello che era il cavallo di battaglia di tutti i grandi violoncellisti del '900, e il concerto più prestigioso della mia vita.
Le prove cominciavano di lì a due giorni. Avevo il cuore in gola: l'avrei rivisto, avevo il suo indirizzo, avrei visto bene il suo volto, non me lo sarei scordato più. Quella lettera era scritta a penna; ora vedevo la sua calligrafia fine, curata, da professore di lettere d'altri tempi, o da esteta, o da gentiluomo di cultura. Ridevo di quel buffo lapsus sulla fine del foglio, e del fatto che continuasse a non farmi sapere il suo nome. Ora avevo mille cose da dirgli, da raccontare, da chiedere. Vecchio pazzo! Chissà cosa gli era successo! Chissà quanti anni aveva?
Ritrovavo quella strana, sibillina domanda che avevo dimenticato dalla sua ultima lettera. Che voleva sapere?
Certo che avevo provato a suonare un violoncello a cinque corde: era tornato di moda fra gli adepti degli strumenti antichi, e io, bene o male, facevo parte anche di quella setta. Ne avevo provati in casa di colleghi, e mi era capitato quasi di comprarne uno da un liutaio di Parigi, solo che dopo averlo tenuto dieci giorni mi ero accorto di non riceverne alcuna particolare soddisfazione. Ma perché ci teneva tanto a quella particolare risposta?
Misi in valigia molte cose per lui: l'omaggio prezioso di un raro libro d'antiquariato, "Le Metamorfosi di Ovidio ridotte da Gio. Andrea dell'Anguillara in ottava rima" nell'edizione di Bernardo Giunti, una magnifica opera a stampa veneziana della fine del '500; poi pacchetti di delicatezze gastronomiche italiane, dell'eccellente vino, fotografie di me e Giulia, programmi di concerti, una registrazione su cassetta, perché nel mio aristocratico modo di fare il concertista, io avevo fino ad allora rifiutato ogni proposta discografica.
E infine ci aggiunsi questa breve poesia intorno a un Passagallo arcaico e bizzarro di Giovan Battista Vitali, che immaginavo di offrire al grande Bach. Me ne sentivo molto fiero, perché mi venne in testa di getto, nella gioia inattesa di raggiungerlo così presto:
- Der Bach in den Flammen -
- UT -
D'un ruscello tra fiamme, agitato, che scorre,
e fra sponde infocate rincorre un sol suono,
l'acqua, scorrendo, risale a quel tono.
Contemplane, o amico, quel sol tono imporre.
- RE -
Se spesso variando di moto s'impone,
pur muove ogni cosa in quell'abile gioco:
noi siamo sospesi nell'arco d'un giogo,
ch'il tempo dell'uomo infinito suppone.
- MI -
Di rimbalzi, e riflessi, quel tempo s'avvale,
per dire, con grazia, ch'inizia e finisce,
e l'animo semplice ne vive, e gioisce,
dentro a un fluire, che pur non è tale.
- FA -
È l'acqua che spinge, ed ingiunge,
al mulino il suo moto ternario:
in monotono giro, ma in modo sì vario,
imita l'astro, ch'il mondo tinge.
- SOL -
Frammenta la ruota il seme,
e pura polvere candida,
qual latte nutre la creatura splendida,
che terra, e l'acqua, e'l fuoco teme.
- LA -
Non l'aria, che anzi l'incanta,
e trasporta, mutata dal fuoco,
la fluida materia, soltanto per gioco,
in alto, o in basso, nel vento che canta.
- SI -
Scende il ruscello, eppur sale,
nel gesto d'un animo instabile,
ed offre allo sguardo quel suo moto nobile,
in una danza, all'apparenza banale.
- D - O -
Di lì a tre giorni avrei compiuto il mio ventiquattresimo compleanno, e l'avrei festeggiato con lui!
Del totale di 104 passi di questa danza, i ventiquattro delle otto battute in ritmo ternario rappresentavano i miei anni, i trentadue passi nelle otto battute binarie che vi avevo alternato rappresentavano i sentieri della saggezza, che a lui dedicavo, e i quarantotto passi delle prime tre battute volevano essere la durata della mia vita, ossia il doppio degli anni che avrei compiuto, perché ero certo di essere giunto al centro preciso della mia esistenza, alla soglia della svolta di un ritorno.
Ero infiammato dall'esaltazione, perché credevo di potergli finalmente donare il frutto di tutto ciò che pensavo di possedere.
Salii sul vagone letto per Vienna con l'impressione di vivere il momento più gioioso e felice della mia vita.