Nell’aggirarti dentro ai miei scritti, qui nella rete, finirai con l'accorgerti che l’ipertesto letterario, soprattutto se nel web, si finisce con l'attraversarlo come fosse un labirinto, o una serie di labirinti.
E, naturalmente, non solo leggendo i miei scritti...
Dunque vorrei farti osservare un aspetto che io credo importante: quello che ho cercato di indicarti suggerendo di comparare un labirinto a un cosmo...
Il labirinto è in qualche modo sempre “doppio”, nel senso che ci sarà quello reale, del quale colui che vi è penetrato può conoscere solo ciò che vede man mano che avanza (e normalmente, nei labirinti, tutto continua ad avere lo stesso aspetto), e quello immaginato, anzi visualizzato dalla mente del prigioniero, che si industria a farsi una mappa mentale dell’intera struttura al fine di scoprire la via d’uscita.
Ora, un labirinto (non importa quanto semplice o complicato) è comunque il risultato di un progetto che ha avuto un autore-ideatore, e inoltre può nascondere diversi percorsi dall’entrata all’uscita, ma, fra tutti, uno solo sarà il più breve.
In relazione a questi aspetti, il labirinto acquista gli importanti e inquietanti significati che hanno spinto l’uomo a costruirne ovunque; infatti nell’esperienza del labirinto il “tempo” non è cosa di secondaria importanza: se la scoperta della via d’uscita non avviene nel limitato tempo a disposizione dell’imprigionato, egli morirà di fame e di sete senza poter raggiungere l’uscita.
Dedalo sceglie infatti di liberarsi da quel problema, tutto fatto di linee orizzontali, intraprendendo un viaggio “in verticale”. Dedalo “corregge” con l’ingegno la natura dell’uomo, facendo sì che si arricchisca di quella del volatile. Di fatto, la sua intelligenza gli permette di vincere nella sua impresa ben oltre i limiti umani, ma contemporaneamente di perdere nell’altra impresa: quella di liberare insieme alla sua persona anche quella del semplice, dell’innocente: Icaro, suo figlio, preparato sì ad alzarsi in volo, ma non a volare con saggezza verso la giusta mèta.
Ogni libro di carta rilegata tende ad essere un labirinto: ha un ingresso e un’uscita, che sono l’inizio e la fine ma anche la tesi e l’antitesi, oppure l’idea dell’autore e la visione del lettore.
Un libro, quindi, generalmente lo si attraversa percorrendolo fra rimandi e riflessi ―che potremmo definire “link invisibili ad altri libri”― equivalenti alle diverse direzioni che un labirinto pone costantemente di fronte ai nostri occhi.
Il lettore tiene sveglia la sua intelligenza per non perdere di vista l’obiettivo della lettura: arrivare alla fine del libro, magari senza aver perso inutilmente il suo tempo nel percorrerne tutte le pagine. Egli può fare almeno tre diverse scelte: cercare il percorso breve (alcuni libri sono labirinti semplici, e quella via non è difficile da individuare), uscire e poi dedicarsi a un altro labirinto; indugiare su vie diverse, così incontrando più labirinti in uno, oppure, infine, scegliere di volarsene via in verticale, il che comporta il sopravvenire di una responsabilità etica non da poco, come ci ricorda il mito di Dedalo (va da sé che non ci dobbiamo dimenticare del mostro Minotauro a minacciare la vita di chi entrava in quel particolare labirinto! Dedalo è comunque sotto pressione, perché il tempo della loro ipotizzabile sopravvivenza nel labirinto non dipende solo dalla loro resistenza fisica alla fame e alla sete, ma dall’imprevedibile, casuale momento in cui il Minotauro potrebbe raggiungerli e ucciderli).
Un libro elettronico costituito di ipertesti può semplicemente diventare un labirinto tale e quale quello del libro di carta; intendo dire: non necessariamente più complicato o esteso. Il comportamento di Dedalo, in un simile luogo, non c’è motivo di immaginarlo diversamente; anzi, il Minotauro emerge con maggior evidenza, ed è la stanchezza della lettura e dell’indagine, o la confusione debilitante, che minacciano di “uccidere” il lettore. Quanto all’uomo semplice e comune, anche di fronte a una molteplicità di strade percorribili troverà modo di illudersi d’aver scoperto la via d’uscita più breve e, soprattutto, di aver percorso tutto il labirinto in un divertente gioco da luna park: porterà con sé, all’uscita, la corroborante sensazione di essere diventato più intelligente.
Ma se un libro o un ipertesto proviamo a osservarli come microcosmi, tutto cambia.
Questo infatti era stato l’errore di Dedalo: egli aveva visto il labirinto soltanto come un mondo orizzontale da cui era necessario fuggire; se l’avesse compreso come cosmo, non avrebbe dimenticato che l’assenza dei consueti valori di spazio e di tempo che sono presenti in una qualsiasi struttura fisica “orizzontale” o “verticale” avrebbe comportato la necessità di confrontarsi con più grandi responsabilità. Dedalo, in quel caso, avrebbe dovuto (e potuto!) tener conto dell’inadeguatezza psicologica di Icaro, e non solo delle sue capacità fisiche.
Tornando allora all’ipertesto nel web, bisogna considerare questo:
un libro di scienze e un altro, ad esempio, di narrativa, dichiarano gli ambiti entro i quali si dovrà percorrere il loro spazio-tempo; se io presento il più autorevole testo di un filosofo celebre e largamente apprezzato, camuffandolo da opera scritta da un uomo qualsiasi auto-nominatosi filosofo a seguito di un percorso personale nello studio e nell’indagine, la possibilità che qualcuno si metta a leggerlo con attenzione diventa pressoché inesistente: il filosofo di professione non avrà tempo da dedicare ai dilettanti; il comune lettore di filosofia e filosofo dilettante, se lo leggerà, cercherà se stesso in quel libro e vi troverà riflesse tutte le sue insicurezze, riepilogandole in una critica al testo, quasi certamente negativa…
Non vado oltre negli esempi, perché credo queste osservazioni sufficienti, applicabili a qualsiasi caso di comunicazione del pensiero complesso. Ma il risultato è comunque il seguente: ogni lettore che abbia attraversato la lettura di un libro con coscienza, porta con sé la possibilità di essere lui stesso “link” di un’entità conclusa e “chiusa”, qual è un libro specialistico quando rivolto verso altre realtà intellettuali o sociali. Ma generalmente non ne approfitta e si limita a costruirsi uno spazio mentale simile al libro d’origine, chiuso, appunto, in se stesso. Il libro non “vibra e risuona” in altro mondo che non sia il suo mondo personale; la “parola” non è altro che il mattone dell’edificio in cui si è chiuso, o dei muri del suo labirinto personale e autoedificatosi.
Scrive il rabbino e filosofo Marc-Alain Ouacknin:
«Les mots ne sont pas que des outils de désignation qui ne donnent accès qu’aux choses; ils sont aussi la vie des choses et notre vie dans les choses, si nous savons entendre les vibrations de la vie qui traversent la matière.»
«Le parole non sono soltanto degli utensili di designazione che permettono l’accesso alle cose; sono anche la vita delle cose e la nostra vita nelle cose, se noi sappiamo sentire le vibrazioni della vita che attraversano la materia.»
(M. A. Ouaknin, Concerto pour quatre Consonnes sans voyelles, Jerusalem, 1991)
Se noi riacquistiamo fiducia nella parola libera di esprimere tutta la sua intrinseca complessità, non apriamo la strada di un mondo labirintico ―cosa che infatti accade inevitabilmente quando le parole sono organizzate secondo una precisa e univoca funzione dall’autore di un testo, ovvero un insieme di parole che si suppone verrà attraversato iniziando da un ingresso e procedendo verso un’uscita— e quindi di un labirinto che conosce un’unica direzione e un’unica funzione; al contrario, noi ci rechiamo in un cosmo che ci impone responsabilità universali e assolute.
Questo, per me, è il primo fondamentale passo dell’intelligenza che ci viene richiesta dal mondo futuro, già intuibile dai segni della terribile transizione nella quale stiamo vivendo.
Sul tema del labirinto, tempo fa, mi era capitato di scrivere questi pensieri:
“I labirinti sono luoghi nei quali entrare significa uscire, e viceversa. Sembra a tutti che debbano avere un centro, e invece non hanno neppure un perimetro. Questa è la ragione per cui alcuni restano intrappolati, altri vanno fieri di se stessi per esser riusciti a uscirne grazie all’intelligenza, senza però accorgersi che non per volontà loro ne sono stati rigettati. Altri ancora, però, li attraversano con levità solenne, sostenuti dalle leggi d’armonia. Quelle stesse leggi, insomma, che hanno fatto volare le ali di Dedalo risucchiandole in spirali verso l’alto.
Dove l’intelligenza ha prevalso, dei suoni acuti e cristallini si è sfruttata la trasparenza, e il tessuto ampio dei suoni bassi si è così palesato alla vista e alla volontà che ha potuto dirigere il volo. Dove è prevalsa l’emozione e l’eccitamento, o l’estasi e il distacco dalle cose terrene, il risucchio si è capovolto in caduta verticale, scivolando fra le trame degli accordi nei gravi, di vuoto in vuoto, fino alla dissoluzione violenta della materia preziosa che pure era giunta tanto in alto.”
Oggi penso che quella mia descrizione del labirinto, così adatta a descrivere il cosmo, dimenticasse di notare il pericolo che una tale sovrapposizione di figure comporta; ma nel contempo mi sono convinto della inevitabilità del nostro penetrare proprio quel cosmo, dove ogni cosa è contemporanea ed equivalente al suo contrario, e che la possibilità di sopravvivere e di non impazzire in un tale luogo sia la sfida del futuro. Il web è il campo delle esercitazioni; il mondo reale è il luogo della battaglia; la battaglia è la stessa che affrontò il primo uomo: quella tra la luce e la tenebra.
Con il solito pensieroso affetto,
Claudio.
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