"[...]
Prendi, ti prego (na) La particella na esprime
una supplica. D-o disse ad Abram: « Ti supplico, supera, per me,
anche questa prova, perché non si dica che le precedenti prove
non erano vere». Il tuo figlio Abramo obiettò: «Io ho due
figli! (Ismaele e Isacco)». D-o gli disse: Il tuo unigenito.
Abramo rispose: «Questi è l'unico figlio per sua madre,
e quello è l'unico figlio per sua madre!». D-o gli disse:
Quello che ami. Abramo replicò: «Io li amo entrambi!».
D-o allora gli disse: Isacco! Per quale motivo D-o non gli rivelò ciò fin dall'inizio?
Per non gettarlo improvvisamente nello sconforto, confondendolo e turbandogli
la mente. E anche per rendergli più caro il suo comandamento,
e per dargli ricompensa per ciascuna parola. [...]"
Rashi
di Troyes (1040 ca. - 1105), Commento a Genesi 22:2.
Trad. di Luigi Cattani, Marietti 1985.
"Montagne
Sacre" è una performance la cui struttura è essenzialmente
basata su un'immagine: Abramo che sale al monte Morià con il
figlio Isacco, in una possibile nuova realtà nella quale Isacco
non più innocente fanciullo condivide col padre la coscienza
dell'atto che sta per essere compiuto, trovandosi nella necessità
di porsi nella stessa posizione morale, spirituale e storica di Abramo,
in quella prova che non ha alcun modo di essere superata da una sola
delle parti.
Da un punto di vista strettamente drammaturgico si presenta come il
monologo di un musicista impegnato nel recupero della tradizione musicale
dei Classici, ma non solo con funzioni conservative, bensì come
metodologia produttiva di nuove opere d'arte. Questo personaggio è
un maestro di composizione, un virtuoso di violoncello, e un padre che
a un ascoltatore immaginario, o forse solo a se stesso, parla del suo
conflitto con la società in cui vive, e col figlio che rifiuta
il principio morale del sacrificio nel lavoro e dell'omologazione al
modello paterno.
Tre composizioni sinfoniche eseguite dall'orchestra virtuale di un computer
fanno da cornice e perno ideale dello spettacolo a inizio, metà
e fine. In queste si inserisce ed emerge il violoncello suonato dal
vivo, rappresentando la volontà di "essere reale" del
personaggio in scena, o di apparire tale in un mondo artificiale in
cui le tecnologie si frappongono fra il sé e tutto ciò
che corrisponde all'altro-da-sé o alla società,
qui simboleggiata dall'orchestra virtuale ovvero un collettivo
illusorio, poiché generato dalla tecnologia elettronica e dominato
dalla volontà del solo autore in relazione al violoncello
vero e reale, ma assolutamente solo.
L'espansione della voce diventa subito il tema predominante: il suono
naturale del violoncello, contrapposto a quello dell'orchestra virtuale
diffusa dagli altoparlanti, è messo in relazione al dolore del
padre che sa di non venir inteso dal figlio, poiché la sua voce
non è in grado di espandersi oltre il suo mondo, non ne attraversa
i confini, non giunge al suo obiettivo.
Alcuni brani dalla seconda Suite per violoncello di J. S. Bach sono
poi eseguiti dal vivo, in scena, come fossero rivolti solo all'ascolto
del figlio assente, quasi "segno" della cultura e della mentalità
del personaggio in scena, allo scopo di spiegare il suo pensiero musicale
con la tensione fra questi modelli e le sue personali composizioni,
articolate in un linguaggio armonico e contrappuntistico che rifiuta
polemicamente di adottare le tecniche delle avanguardie del Novecento.
L'intero edificio del discorso del padre è retto solo da una
fiducia estrema nella "esattezza" della natura del suono e
dei valori spirituali delle composizioni degli antichi maestri. La musica
classica è per lui la verità ineffabile, il "Libro
Sacro" della conoscenza, e dunque solo questa, rivelandosi al figlio,
avrà il potere di convincere, di convertire le generazioni
future. Questo padre, infatti, è in cerca di qualcosa che possa
amplificare il suono della sua voce magnificandone i princìpi
estetici, per produrre una nuova musica universalmente condivisibile,
e ha già scelto in modo irrinunciabile di giudicare falsa e illusoria
la convinzione di poter raggiungere tale scopo con mezzi tecnologici.
Ma ciò che per lui, nuovo Abramo, è la musica del perdono,
dell'emendamento assoluto e sublime dal peccato originale e dunque
consolazione e fede sicura è per il figlio, invece, oggetto
privo di attrattiva, in qualche modo vuoto e insensibile. La salita
al monte del sacrificio, quell'ascesi nel silenzio di un Dio che mette
alla prova la capacità autonoma di giudizio e discernimento dell'uomo
suo servitore, ora non può più compiersi, poiché
il figlio rifiuta di seguire il padre, di sdraiarsi ubbidiente sull'ara
del sacrificio, di attendere con fede sicura l'arrestarsi, un attimo
prima dell'accadere, di un gesto ormai non più sacro, ma banalmente
violento, distruttivo e inaccettabile.
Lo sguardo del padre cessa di spingersi "oltre", verso un
futuro positivizzato in cui la fede nella "bontà di Dio"
capovolgerà i fatti e gli errori, e si arresta nell'immediato
presente, senza altra guida che la propria capacità discernitiva
del bene e del male, chiusa nei confini dell'ovvio. Pretende allora
di rintracciare la verità della voce con il cercarne la risonanza
nella memoria storica, nel percorso dell'esperienza antica, e di ottenerne
un'amplificazione da una metaforica ECO, rintracciata negli spazi del
mondo che capisce di dover condividere con il figlio. Nel mettere in
moto questo fenomeno si scontra con l'inevitabile inganno della somiglianza:
ECO si capovolge in EGO, e il dialogo possibile fallisce, lasciandolo
nella desolata solitudine dalla quale si rivolge a un ascoltatore o
una società in ascolto la cui risposta non è però
attesa, non è neppure desiderata: il pubblico immaginario e "virtuale"
dello spettacolo del suo fallimento.
Nel suo raccontarsi, la voce stentorea del padre, la dizione solenne,
il sentimento eroico, sono espressioni contrastate da un figlio che
ad esse si sente estraneo, venendone così allontanato.
Il rifiuto netto, incondizionato per quel linguaggio, è inteso
dal figlio come la rappresentazione del necessario "silenzio di
Dio" nel suo personale tempo storico tempo inteso in modo
di una nuova, ineffabile ascesi al monte sacro della rivelazione,
ovvero l'epoca attuale, in cui si è scelto di credere che l'anima
dell'uomo non debba più sovrapporsi all'unica realtà universalmente
condivisibile, cioè quella storica, con il frastuono dei sentimenti
esaltati da una lezione perlopiù romantica, percepita come obsoleta
e irripetibile, e come retorica dell'inganno e dell'illusione.
A sua volta, il mondo di questo padre non è più tormentato
dal timore di un fallimento definitivo e tragico della sua concezione
etica della vita, ma dalla nostalgia di un'estetica del sentimentale
e dell'eroico che gli appare come unico, autentico veicolo di una energia
creativa connessa e nutrita dalla memoria del passato, e non sterilmente
chiusa su se stessa e sui suoi fenomeni.
Nel procedimento retorico del chiedersi ad alta voce «A chi serviranno
più le esaltazioni eroiche costruite con arte sublime dai grandi
musicisti romantici?», egli non si pone più una domanda
articolata nella dinamica del mondo, ma esprime una retorica del dolore
per la fine di un'estetica dell'esaltazione, poiché da essa soltanto,
come artista e come uomo, ha accettato il nutrimento del suo desiderio
di vivere.
Nel figlio, al contrario, una scelta espressiva dall'estetica essenziale
e inemotiva, viene percepita e interpretata come "il necessario
silenzio di Dio", ma è nel contempo tenuta a distanza, non
vissuta, nell'urgenza di procurarsi emozione nell'immediato desiderarla,
con mezzi che vorrebbero apparire indipendenti da una qualsiasi intenzione
etica, così liberando quest'ultima da ogni impaccio sentimentale,
ma finendo col costituire in tal modo una retorica ingannevole poiché
occulta, fondata sul distacco emotivo.
Questi due spazi vitali appaiono incompatibili non in quanto opposti,
ma proprio perché paralleli e incomunicanti, in quanto entrambi,
padre e figlio, sono ormai esseri "informati", all'interno
della loro comune cultura, delle ingannevoli strategie del pensiero
che domina sui bisogni primari dell'umanità, e ambedue coscienti,
per la loro comune appartenenza all'attuale momento storico, dell'inadeguatezza
dei saperi rispetto alla definizione di verità universalmente
e inequivocabilmente condivisibili.
Se dunque l'Abramo dell'Antico Testamento saliva al monte del sacrificio
accompagnando un figlio ubbidiente e docile poiché "innocente"
e dunque presumibilmente "incosciente", e se la
tensione etica di quel racconto era situata nell'indagare e nel definire
lo stato di coscienza di Abramo nei due percorsi della salita al monte
e della discesa, e soprattutto: se ambedue nel discendere dal monte
già muovevano i loro passi nell'ascesa spirituale che culminerà
nella visione mistica della scala di Giacobbe, che accade in una nuova
realtà in cui queste dinamiche di salita e discesa, di attraversamento
e superamento, non siano più allineate o coincidenti?
Sulla sommità del monte, nel momento centrale della performance,
torna l'orchestra virtuale con la seconda composizione, intitolata "Glory",
nella quale la solennità dei tromboni uniti agli archi sviluppa
un tema esaltato la cui energia è retta e dominata dai suoni
più bassi, e nelle voci soprane dall'intreccio contrappuntistico.
Da queste sonorità ha inizio il "ritorno", condizionato
da un senso di sicurezza e forza generato dalla musica, frammisto a
una sorta di abbandono della propria volontà, all'inerzia dei
propri sentimenti. Il discorso teatrale compie un percorso di ascesa
seguito da una discesa, proprio come accade recandosi alla sommità
di un monte e poi tornando a valle, o come attraversando un ponte, dove
la salita continua necessariamente con il ritorno al piano orizzontale
di partenza. Nella metafora della montagna, infatti, è implicita
la necessità di un ritorno a valle a seguito di un mutamento
che ci ha "trasferiti" in una nuova dimensione dell'essere,
e tutto ciò è simile all'attraversamento di un ponte fra
mondi diversi o persino opposti, divisi da limiti altrimenti invalicabili.
"Senso" è il terzo e ultimo brano sinfonico, a conclusione
della performance. In questo, la calma alternanza di due quinte parallele
date ai violini dell'orchestra virtuale, guida il respiro ad armonizzare
i ritmi ascendenti e discendenti di emissione e immissione. Gradualmente,
il semplice fenomeno acustico si spiega da solo, e l'incompatibilità
di due edifici armonici paralleli viene attraversata dalla linea melodica
che fa ponte fra essi, nel suo movimento orizzontale fra le energie
verticali degli accordi. La musica offre la visione della "altra
realtà possibile", in un assoluto "altrove", eppure
simile a ciò che ci è vicino.
Escluso da sé ogni risentimento o frustrazione, sostenuto solo
dalla fiducia cieca e assoluta nel potere d'attrazione di una bellezza
superiore e inafferrabile, il nuovo Abramo lascia posto a quest'ultima
ritraendosi in atto di umiltà. Pare così lasciar spazio
all'altro-da-sé, o almeno così desidera credere. Nel suo
lento discendere e rimpicciolire, appare sempre più evidente
come concepire un figlio sia per lui solo e ancora il bisogno di non
morire, di offrire a se stesso una continuazione. Ancora una
volta, ciò che ha raggiunto non è altrove, ma dentro il
sé, chiuso nel suo mondo di solitudine. Rimane tuttavia la sua
ricerca del "bello" nell'ineffabile materia della musica e
dell'armonia, verso un altro possibile percorso d'amore fra padre e
figlio, fra maestro e allievo, fra passato e futuro.
Claudio Ronco, Venezia, 26 maggio 2003.
MONTAGNE
SACRE
Echi
dall'Antico Testamento
testo
e musica di:
Claudio
Ronco
18
giugno 2003, ore 21, Pruno, Stazzema (Massa Carrara)
per
la rassegna "Solstizio d'estate",
produzione della FONDAZIONE FESTIVAL PUCCINIANO
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Per
leggere il testo del monologo
clicca sulle foto, oppure qui:
Musica:
Claudio Ronco: "Air-one" per orchestra d'archi.
Immagini:
Passeggiata in montagna, nel 1920; fimato d'epoca.
August Van Biene, violoncellista-attore olandese, nel 1890.
David Popper con il figlio Leo, 1911.