Un’alba indiana


Il caldo feroce di quel mese di maggio, a Calcutta, si spegneva solo verso le prime luci dell'alba. Era come una sospensione del tempo: di lì a poco l'aria sarebbe tornata spessa e irrespirabile, il sole un nemico da sfuggire, il fragore della città un immenso lamento di stanchezza e pena. Ma in quel breve momento tutto era in attesa, e tutto, forse, poteva essere cambiato; il sonno pesante delle ultime ore di una notte di afa era stato interrotto per risvegliarmi nello stupore di quella pace azzurra, nella tenue velatura di nebbia che copriva il mondo. Miriadi di uccelli suggerivano le note e i ritmi di una musica celebrativa del risveglio, e la mente si dibatteva tra l'istinto di contemplare e il desiderio di annotare nella memoria ogni dettaglio di quella visione.

In quei giorni contemplavo; oggi ricordo, e per ciò che inconsciamente annotai in qualche segreto luogo della mia anima, ho composto musica per strumenti a fiato. O meglio: non so dire se la mia memoria ha ritrovato qualcosa che vi inscrisse una mia intima visione, oppure se a raccoglierne qualche essenza furono le prime ore delle lezioni di musica all'alba con il mio maestro di Sangeet. Nel ricordarmi di lui, egli ormai ritorna simile a un'ombra che si aggira in uno spazio indefinibile, preparando con rituali eseguiti in gesti sicuri e svelti l'arrivo della Musica: il Raga, d'un tratto, prende il suo posto, la sua voce, le sue sembianze, il suo corpo; io, allievo disciplinato, imparo a riconoscerne i contorni e le luci, a ridisegnarne i tratti.

Un mattino all'alba il maestro volle tutti noi allievi sul terrazzo più alto della sua casa; un suonatore di Shanai, l'oboe indiano, intonava Raga Lalit a celebrare l'alba da quel luogo che sembrava troneggiare su tutta la città. In lontananza vedevo la gente svegliarsi, pregare, fare abluzioni, prepararsi al giorno e al lavoro; pensavo di voler fermare il mondo, congelarlo in quell'istante, dar tempo all'incanto di quel Raga per fargli compiere il suo miracolo, ma la gente intorno sembrava accontentarsi dell'eco di quella lontana benedizione, e già il sole tornava a bruciare sulla pelle.

 

Claudio Ronco, Venezia, aprile 2006.

 

per oboe, clarinetti, flauti e fagotto

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Dipinto di W. Bouguereau, Le Printemps .

 

 

 

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