Nelle
mie incisioni discografiche convergono lo studio e le esperienze concertistiche
di vent'anni della mia vita; esse rappresentano l'ideale interpretativo
e tecnico che ho sviluppato, trasformato e perfezionato in un ininterrotto
confronto con le esigenze della pratica musicale e della comunicazione
con il pubblico.
Per questi ultimi vent'anni mi sono dedicato all'interpretazione musicale
con strumenti d'epoca. Ho collaborato alla realizzazione di centinaia
di prime esecuzioni di autori noti e dimenticati del Barocco e del
Romanticismo, con più di trenta incisioni discografiche con
vari gruppi europei e innumerevoli registrazioni radiofoniche e televisive.
Ho esercitato la mia capacità di comporre musica arrangiando
arie d'opera, orchestrando, riscrivendo Recitativi a uso di diversi
cantanti, componendo Sonate e Cantate nello stile di quello o quell'altro
compositore barocco, al solo scopo di restituire agli autori non solamente
i suoni che ero capace di immaginare e produrre, ma anche di offrire
oggi una più cosciente comprensione della complessità
del loro lavoro e del loro tempo. Ho visitato biblioteche pubbliche
e private, antiquari, archivi, musei, botteghe di restauratori, liutai,
cordai, in ogni occasione collezionando testimonianze della nostra
tradizione musicale e sperimentando "qualcosa di nuovo", per avvicinarmi
a una più precisa verità storica della professione cui
dedico la mia vita.
Sono stati anni ricchi d'incontri, tutti importanti, tutti capaci
di ripagarmi della scelta di non sottostare alle regole dello star
system che ho evitato con ossessiva ostinazione. E gli incontri
più stimolanti sono sempre stati quelli con artisti di altre
discipline: pittori, scultori, poeti, attori, registi. Ogni volta
ho goduto di come la loro particolare ricerca si poteva tradurre in
ricerca musicale, e ritradurre ancora nei linguaggi di architetti,
scienziati, medici; io e loro abbiamo così condiviso il piacere
di contemplare infiniti parallelismi e sorprendenti incontri di discipline.
Ho di fatto visitato un nuovo Rinascimento dove il Principe, "l'illuminata
guida", è stato solo l'amore per la cultura e per l'arte. Incontro
dopo incontro ho sempre più detestato i limiti in cui sono
imprigionate la scuola e la pratica dell'interpretazione della "musica
colta", spesso in contrasto con il più naturale "istinto musicale",
ma anche con l'evidenza storica delle tradizioni.
Quando iniziai a suonare musica barocca mi venne insegnato che la
voce doveva essere pura e non vibrata; che l'articolazione delle frasi
doveva essere evidenziata e adeguata agli schemi ritmici delle danze
dell'epoca; che il volume di suono doveva contenersi nei livelli di
un liuto, di un cembalo, esprimendosi così in un'atmosfera
raccolta, anche se spesso incoerente col naturale, "istintivo" desiderio
di consegnare a quella musica una maggior carica espressiva, una drammatica
aggressività e il senso del tragico, che sono certamente alcuni
fra i grandi mezzi comunicativi della nostra tradizione classica.
Tutto ciò sembrava dover essere quasi un disintossicarsi dall'invadenza
del suono romantico, seppur proposto nell'epoca dello stress da rumore
di città, della musica assordante, del disco amplificato a
piacere. Da allora poco è cambiato: Vivaldi, Bach, Haendel
continuano a essere suonati con strumenti e spirito "tardo romantico",
oppure con strumenti d'epoca ricostruiti ancora secondo le stesse
frammentarie, inesatte regole filologiche.
Con questa superficiale filologia, senza una vera unità di
scuole e intenti, tutti noi abbiamo continuato a riprodurre stancamente
quel suono più o meno "diverso" che i grandi direttori
d'orchestra e i critici più seri hanno sempre giudicato "debole
e stonato", rifiutandolo e disinteressandosene finché
il grande successo commerciale degli strumenti antichi non ha pareggiato
i conti con quelli moderni.
Il pubblico è rimasto diviso, assuefacendosi all'una o all'altra
maniera interpretativa, incapace di godere di questa particolare pluralità
di proposte. Il risultato di tale nuova realtà del mercato
della musica è stato la deprimente assenza di dialettica tra
le diverse scuole, la povertà di idee e di pensiero che ne
è derivata, e il preoccupante calo di interesse del pubblico:
realtà troppo pericolosamente ignorata, per la paura di affrontare
il grave problema dell'occupazione dei diplomati di Conservatorio,
o per le convenienze a tacere su troppe imprese fallimentari. Nonostante
ciò il fenomeno è evidente: nel successo effimero di
solisti o ensembles che saturano il mercato per pochi anni e poi affondano
velocemente nell'eccesso di nuovi "concorrenti", in una competizione
incosciente, distruttiva dell'irrinunciabile libertà dell'arte.
Perché la musica non può concedersi l'involgarimento
del restare mero fenomeno di costume, rappresentando un gruppo umano
o l'altro. La musica deve essere confronto e non contaminazione
di culture; non deve ridursi a più o meno gradevole "sottofondo"
alle scelte o alle conquiste che determinano l'appartenenza all'uno
o all'altro stato sociale e culturale. Pena il ridurre Vivaldi, Bach,
Haendel a polverose esposizioni museali, con scolaresche costrette
a subirne l'ascolto. Attenzione, già succede, e lo scolaretto
impara e decide che di certo non pagherà il biglietto per subirle
ancora.
Il mondo della musica classica è certamente ricco di proposte,
ma è diventato difficile rintracciarne di creative e coinvolgenti:
riconosco piuttosto sempre più spesso l'affannosa ricerca di
strategie, di sforzi promozionali, di compromessi stilistici, tutte
artificiose maniere per conquistare nuovo pubblico. E quell' "orlo
della crisi" su cui stanno gli Enti lirici, i Festival, le Orchestre,
i troppi editori di dischi e di riviste specializzate, dimostra che
questo pubblico è insufficiente rispetto all'offerta dei professionisti
vecchi e nuovi di questo settore.
Ma non è forse vero che il pubblico continua a venir contattato
con quell'eccessiva prudenza (si pensi alle programmazioni televisive)
e quell'ossequiosa pedanteria di chi ha paura di perder quello vecchio?
Così Vivaldi suona "noioso" a chi ascolta il rock, ma anche
a chi abbia provato almeno una volta l'emozione profonda e indelebile
dell'ascolto di una grande Sinfonia classica o romantica. Eppure il
Romanticismo non ha creato la sua musica dal nulla: ha piuttosto ereditato
dal Barocco gli strumenti e la dialettica. Dunque Vivaldi che
a differenza di un qualsiasi compositore del secolo successivo, non
scriveva tutte le note che pensava dovessero essere suonate, poiché
ne lasciava l'invenzione sempre rinnovata ed estemporanea ai suoi
virtuosi esecutori, Vivaldi, dicevo, non poteva avere immaginato
e sentito le sue composizioni senza che proponessero almeno parte
della forza espressiva, della grandezza di suono che i suoi contemporanei
avrebbero poi consegnato in eredità ai romantici. Non poteva,
insomma averla pensata come noi la proponiamo e insegnamo oggi: come
se alle pitture di un Tiepolo pazientemente togliessimo le pennellate
di luce, l'illusionismo aereo, lo slancio delle figure, la drammatica
teatralità, per poi mostrare al mondo ciò che della
sua pittura rimarrebbe, descrivendone ancora a parole tutte le qualità
che la caratterizzavano prima del nostro intervento. O come se dalle
chiese barocche togliessimo tutto quell'apparato decorativo di stucchi,
orpelli, finti marmi, che le rende favolose scenografie di un teatro
di passione, di totale coinvolgimento emotivo nella vicenda biblica,
per adeguarle a un più moderno concetto del praticare la religione.
Ecco, in vent'anni io ho cercato di confrontarmi con queste evidenze.
Ho "cercato" il modo di cavar suono dallo strumento rigorosamente
storico o da una voce umana proiettata in quel luogo di ineffabili
emozioni che è il teatro barocco. Ho condiviso la mia ricerca
con quella di altre persone che "cercavano" in altre discipline, ho
guidato il restauro di preziosissimi strumenti che nuovi mecenati
mi hanno donato o messo a disposizione, per poter far riascoltare
la voce ineguagliabile della liuteria italiana e francese del Sei
e Settecento. Così, con la passione e l'aiuto amorevole di
amici liutai, artigiani, studiosi, questi strumenti hanno ritrovato
voce. Ma seguendo sempre solo la lezione della storia, nelle tracce
che i maestri del passato ci hanno lasciato in un trattato, in una
testimonianza iconografica o in un'osservazione manoscritta a margine
di pagina, o ancora nei "segni" dell'uso lasciati sui loro strumenti,
o in un frammento di corda miracolosamente preservato.
E' su indizi minimi, a volte, che con anni di ricerche e verifiche
si sono potute stabilire evidenze storiche. La voce "resuscitata"
di quegli strumenti ci insegna qualcosa di nuovo: che il violoncello
suonava potente quanto un organo da chiesa, e dunque ben più
di un cembalo; che lo strumento ad arco barocco era veramente "voce",
capace di "pronunciare" i suoni e non solo di "articolarli" su ritmi
di danza propagandoli in piccoli ambienti. Ma soprattutto che questa
voce oggi può commuovere e convincere anche il
giovane portato ad apprezzare solo la musica commerciale, o il disinteressato,
casuale ascoltatore convinto di non sapere nulla di musica; li ho
visti attratti da ciò che ascoltavano, e ciò avveniva
perché d'istinto riconoscevano l'emozione musicale e s'accorgevano
di non potersi distrarre, di non poter lasciare quel suono in sottofondo.
E io stesso, che nella mia esperienza includevo anche un approfondito
studio della musica orientale, osservavo che quell'incompatibilità
di culture musicali fra "noi e loro" forse non era senza soluzioni.
Da qui in poi la strada è aperta per riscoprire nuovamente
Vivaldi, Bach, Haendel, per accorgersi che una Cantata o una Sonata
da camera non sono solo l'esclusivistico piacere di un'élite
iniziata a un linguaggio arcano, ma possono essere anche, dalle dita
e dalla voce di nuovi virtuosi, una formidabile esperienza teatrale;
e possono raggiungere un nuovo pubblico senza per questo doversi "contaminare"
con strumenti moderni o con chitarre elettriche.
Vivaldi poteva godere dell'esperienza già centenaria della
tradizione virtuosistica italiana, e al tempo di Beethoven s'erano
aggiunti altri cent'anni di pratica a disposizione dei compositori
e del pubblico. Solo negli ultimi decenni del secolo scorso l'eccessiva
commercializzazione della musica, il cominciare a gestirla come oggetto
di consumo sebbene per la giusta causa del renderla un bene
pubblico e non solo un lusso privato o il passatempo della società
privilegiata hanno creato gradualmente condizioni di definitiva
rottura con le scuole del passato, e si sono sviluppati quei mutamenti
radicali dello stile e della tecnica che hanno reso incompatibili
gli antichi ideali con le moderne esigenze.
Così si è persa l'arte dei grandi liutai quali
gli Amati, o gli Stradivari, le cui opere sono tuttora insostituibili
per qualunque solista di successo, è scomparsa l'arte
dei cordai che dall'Italia centrale o dalla Francia rifornivano tutta
l'Europa dei virtuosi con corde armoniche che erano miracoli d'ingegno,
vere e proprie alchimie di metalli e budelli ovini, trattati con la
sapienza di secoli di esperimenti. Infine, inevitabilmente, si è
interrotta quella catena di Maestri che possedevano e insegnavano
la tecnica e la tradizione virtuosistica da cui si è formata
la nostra civiltà musicale, tanto che già Rossini, Verdi,
Wagner ne lamentavano la lenta ma inesorabile scomparsa.
Questa tradizione si deve far rinascere per ridare vitalità
non solo alla musica da camera tesoro preziosissimo della nostra
cultura, ma anche all'opera lirica, restituendo ai Recitativi
quell'energia musicale che hanno perduta, alle Arie maggior varietà
di espressioni, agli autori la varietà di stili e di linguaggi,
e al pubblico il rinnovarsi continuo dell'esperienza musicale. Oggi
dobbiamo riconoscere che la musica "colta" si è allontanata
troppo gravemente dalla sensibilità e dalla comprensione dei
giovani che pure sono sufficientemente acculturati ed
essi hanno cercato la musica altrove, trovandola però dove
non può esservi alcuna continuità o contatto con la
storia e la cultura dei Maestri della nostra civiltà.
Per questo è urgente ritrovare quell'equilibrio tra istinto
e disciplina, tra "Natura e Cultura" che caratterizzava l'arte e la
scienza degli antichi: per non disperderne il prezioso insegnamento
di vita. Questo mio lavoro serve a ricordare che è esistita
tale tradizione, e vuole dimostrarne i fondamenti tecnici. Qui il
superamento delle eccezionali difficoltà esecutive di certe
partiture, non a caso ignorate da tutti i repertori concertistici,
assume il valore di una poetica, e il raggiungimento dell'abilità
tecnica ha il pregio di una conquista morale.
Con questi dischi, coll'invitare a questa ricerca, desidero dimostrare
come la tradizione virtuosistica sia ricuperabile, e come essa possa
condurre alla musica classica gran parte di un pubblico che ad essa
si ritiene estraneo. Così il teatro barocco può tornare
ad essere quel luogo di straordinaria creatività e versatilità
che, come ha potuto dar vita ed energia all'intero Ottocento musicale,
può offrire molto al nostro inquietante penetrare in un nuovo
millennio.
Claudio
Ronco,
Venezia, luglio 1996