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Vecchio e nuovo

Isacco giunge in prossimità del pozzo dov'è Rebecca, la sua futura moglie. Lei lo vede arrivare, e chiede al servo Eliezer: «Chi è quell'uomo che ci viene incontro per la campagna?». E il servo risponde: «È il mio padrone». Allora Rebecca prende il velo e si copre.
Su questo, Elena Loewenthal scrive: «Qui inizia una lunga, dolce storia d'amore. E il gesto di questa fanciulla, poco più che bambina, partita senza esitazioni per un luogo straniero e verso un uomo di cui nulla sa, è talmente bello che persino al Midrash [commentari rabbinici] non resta che tacere. Nulla si aggiunge a quella mano che si muove verso il viso con una leggerezza e una gravità, con una grazia che non hanno paragoni. [...]». Così concude osservando che: «Al progresso ci si prepara anche con la lezione dell'ebraismo, con quel suo talento a connettere il nuovo al vecchio, ad insinuare l'inedito nella trama del già detto. Già, proprio nel suo incessante e mai stanco ripetersi, l'ebraismo non ha mai, e di questo sono fermamente convinta, non ha mai conosciuto il luogo comune, l'espressione scontata e conformistica. Da sempre esso ci dice che in ogni rito, in ogni gesto, in ogni parola che ricorre per l'ennesima volta, si annida certamente un significato nuovo che qualcuno un giorno scoprirà, con il tocco fugace e disinvolto di chi preme il dito su di un interruttore.»

(E. Loewenthal, Il velo di Rebecca, ovvero l'Elogio della conservazione,
in "Materia giudaica", AISG n. 2, Bologna 1996).

C.R.

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