Bach à Venise



extraits

RADIO SUISSE ROMANDE
ESPACE2

Un réportage de David Meichtry
avec le violoncelliste Claudio Ronco

 

 

Sesta Suite:

La Quintessenza.

estratto

Sarabande

«Il violoncello è una scultura, fatta di pieni e di vuoti, realizzata “cavando” materia dalla materia, finché l’opera che occupa uno spazio non diventa spazio anch’essa, spazio per altre opere,
altri mondi.
Così è, così deve essere ogni opera d’arte universale: luogo, spazio in cui l’atto di “sottrazione” genera oggetti la cui bellezza attrae e persuade con l’ineffabile incanto della levità. Questa è l’arte che può scendere nelle regioni più remote e profonde della “gravità” e della tragedia, per risalirne portatrice di messaggi sublimi…
Ecco: vorrei che la musica di Bach fosse eseguita e fruita come una scultura, nell’infinità di forme che può assumere in virtù dei soli spostamenti del nostro sguardo. Solo in questo modo il gioco di preludi e danze in sequenza che in ogni Suite Bach sviluppa nelle astrazioni della sua immaginazione musicale, sembra acquistare un significato convincente: quasi come se in quell’eterno, ininterrotto “danzare” di suoni armonici, ogni movimento del corpo si rovesciasse in movimento dell’anima, nel paradosso meraviglioso di un oggetto immutabile, che pure è sempre infinitamente nuovo e diverso ad ogni istante
C. R.

 

Suonare Bach è come cantare un sacro Mantra?


B.A.C.H.

 

Alla gioia espressa dal luminoso, energetico aprirsi della sesta Suite – in un movimento che curiosamente ribalta la consueta sequenza di danze, essendo questo Preludio assai simile ad una Giga! – segue l'intensissima emotività dell'Allemanda, poi l'energetica Corrente, che quasi scivola nell'intima, affettuosa gioia che illumina come una luce aurorale tutta la Sarabande.
E quindi l'allegria paesana, semplice ed energetica della Gavotte, per concludersi nella Giga finale, in un vortice di vitalità. Ed ecco: è la guarigione...

Anni fa, seduto nel campiello di fronte alla chiesa Alemanna, qui a Venezia, meditai su queste cose:

“…I nomi latini delle note musicali, così come li stabilì Guido d’Arezzo, non vennero mai adottati dai paesi di lingua tedesca e inglese, che scelsero invece una nomenclatura alfabetica:
A B C D E F G H con le varianti: ES FIS GIS ecc.  la sib do re mi fa sol si naturale mib fa# sol# ecc.

Il nome di Bach diventa così pure una melodia:
B  A  C  H = sib  la  do  si naturale

Moltissimi compositori – fra i quali Albrechtsberger, Schumann, Liszt, Brahms, Reger, Schönberg – utilizzarono questa melodia in onore di Johann Sebastian Bach, e lui stesso la utilizzò nell’ultima, incompiuta composizione della sua “Arte della Fuga”.
A ben vedere, tutta la sua opera è attenta a cercare il senso divino delle cose e l’ordine nel quale Dio vi si manifesta, e la Teologia e la Cabala cristiana sembrano essere discipline instancabilmente applicate nella sua invenzione musicale. Ecco allora che nulla di ciò che ha scritto appare ordinato dal caso, ma sempre da un progetto di disciplina universale, così com'era stato detto e insegnato: “Tutta la bellezza della melodia deriva dal Numero, il quale permette di misurare con esattezza le voci; tutto quel che nei ritmi è seducente (...) è opera unicamente del Numero” (Musica enchiriadis, XI sec.).
E dunque le sei Suites per violoncello solo (di cui è perduto l’autografo) sono disposte in una sequenza che si direbbe ordinata a scopo pedagogico: dalla più facile, la Prima Suite in Sol, via via con difficoltà crescenti, fino alla Quinta con la “scordatura” della prima corda (che dev’essere abbassata di un tono, dal La al Sol), e la Sesta scritta per un violoncello a cinque corde accordate per quinte giuste:

mi-la-re-sol-do

La progressiva introduzione di difficoltà tecniche è funzionale al progetto di giungere a composizioni di sufficiente complessità contrappuntistica, destinate uno strumento solo e, normalmente, dotato di una sola voce (e quindi un individuo e non una “comunità” di individui). Le sei Suites di Bach, infatti, resteranno fino ai nostri giorni il più perfetto materiale didattico esistente per il violoncello, senza nulla togliere al loro valore puramente musicale.

Ma se la sequenza “pedagogica” è così accurata, lo è altrettanto quella “spirituale”. Le Suites sono infatti così ordinate:
SOL  re  DO  Mib  do   RE
  
I     II    III    IV    V    VI
Il numero 5 rappresenta Dio (la lettera ebraica che nel tetragramma del nome di Dio si ripete due volte è la He, il cui valore numerico è 5; pertanto tale lettera è usata come abbreviazione del suo nome). Antiche tradizioni usano ordinare la sequenza da uno a sei (ovvero il numero di giorni che Dio ha impiegato per “formare” il mondo) secondo questa lezione:
I numeri pari, 2, 4, 6, rappresentano il mondo terreno; quelli dispari 1, 3, 5, l’ultraterreno. Inoltre, si osserva, l’uomo apprende moderando la sua voce, alzando la sua voce spiega la sua conoscenza, è saggio nel silenzio del suo ascolto, nella sua umiltà. Così pure Dio è Trino, si manifesta a noi attraverso i cinque libri della Bibbia e lo si riconosce come l’Uno. Dunque si presenta una sequenza di medio - grande - piccolo, dal pari al dispari; cioè: 4 6 2 3 5 1, dove il cinque non cambia la sua posizione.
Disponendo le sei Suites in questa precisa sequenza, e mantenendo i rapporti con le tonalità della sequenza “pedagogica”, si avrà:

Mib  RE  re  DO  do  SOL
IV    VI   II   III  V   I
ovvero, nominando le note secondo il sistema alfabetico:
ES   D   C   G
in cui potremo leggere:
JESu   Dreieinigkeit   Christus   Gott
Gesù, la Trinità, il Cristo, Dio.

Il significato di questa sequenza è nel rappresentare il percorso della fede che dall’uomo Gesù figlio di Maria, attraverso il dogma della Trinità e la sua elezione messianica a Cristo, giunge a Dio; per un cristiano, suprema e divina missione dell’Arte e della vita: l’Imitatio Christi.
Così come, ad esempio, la sequenza delle Suites inglesi per clavicembalo è quella della melodia del Corale luterano “Jesu, meine Freunde”, (ossia: la la sol fa mi re), al violoncello –“il nobile sostegno dell’Armonia”, come si usava definirlo all’epoca – la sequenza di queste Suites realizza una delle più belle armonizzazioni della melodia scritta nel suo nome:

B   A   C   H
ES   D d   C c   G

ossia:
Sib    La    Do   Si naturale
armonizzata con gli accordi di:
MIb maggiore RE magg./re min.  DO magg./do min.  SOL maggiore

Infine si può vedere che, dopo i Preludi, l’ordinamento delle danze nelle sei Suites è così organizzato: Allemande, Courante, Sarabande, a cui seguono i due Ménuets, o le Bourrées o le Gavottes, per concludere con la Giga. Eccone uno schema:
Suite I e II   -  Suite III e IV  -  Suite V e VI
Ménuet I e II  - Bourrée I e II - Gavotte I e II

Nell’ordinamento 4 6 2 3 5 1, invece, l’ordinamento è così distribuito:
Suites: IV VI II III V I
Bourrée Gavotte Ménuet Bourrée Gavotte Ménuet
mostrando in questo modo una nuova, affascinante simmetria.

Ma anche solo contemplando le cinque corde del violoncello che devi usare per eseguire la Sesta Suite, se provi a immaginarle come il pentagramma su cui muoverai le tue dita a far note e accordi, potrai infine accorgerti che le cinque note corrispondenti alla tua accordatura sono simili a un messaggio:

«Così come è in alto, così pure è in basso», e quel RE al centro del pentagramma, così come del tuo ponticello e della tua tastiera, è un “centro focale”, come un sole, intorno al quale tutto muove. RE come un Re sublime, o D, come Domine Deus...”

mi-la-re-sol-do

«Ricordo bene la leggerezza straordinaria dei miei passi quella notte, mentre tornavo a casa; era come mi sostenessero mille angeli alle mie spalle, col loro soffio fresco, gentile. C’era una curiosa elasticità nei miei piedi: a tratti quasi mi fermavo nel provarla, sospingendo il calcagno in alto, e accorgendomi che pareva restar sollevato da terra, staccarsi dal peso del corpo: ognuno di quei “levare” poteva essere infinito, e forse sarebbe bastato crederci, e fermarsi a mezz’aria, scomparendo per sempre dal mondo, in un salto, nell’eternità.
Nella mia camera la custodia del mio strumento era chiusa, ritta in piedi di fronte al letto, là dove l’avevo lasciata. Mi addormentai dolcemente, profondamente. E quel mattino si aprì con nuova forza: l’arco iniziò a spingere soavemente le corde del violoncello, le mie dita forti, sicure, a indirizzare i suoni all’armonia, a vibrare nella perfezione delle sfere, per riscaldare l’anima, risvegliarla, e iniziare il suo canto nuovo.
In quel momento non c'erano più parole nel mondo intorno a noi: le cose lasciavano i loro contorni e le loro forme; i nomi si dissolvevano districandosi poco a poco dai loro grovigli; si generavano catene ininterrotte di lettere intrecciate secondo numero e frequenza, passando dalla luce all'ombra con solo il piccolo, impercettibile spostamento d'una frazione minima, nel premere o nell'inclinare diversamente le dita sulle corde. Muovevo lento, comandando l'ordine di due voci simultanee, fra ritardi intensi quanto invocazioni, risolti in terze o seste solenni, girando maestoso nel cerchio perfetto del ciclo tonale estremo: dodici suoni eletti, dall'uomo e da Dio, per descrivere le porte del mondo all'anima, accecata dai succhi velenosi, dalla polpa mortale del frutto proibito in Eden.
In ogni tono un giardino, in ogni nota un essere, maschio e femmina, l'uno parte dell'altro e parte di Dio, fiori e frutti insieme, seme e albero uniti, immagine in movimento del Creatore. Sotto ogni tono la sua terra, orto coltivato con l'amore, amore coltivato con sapienza, sapienza coltivata con l'intelligenza, intelligenza coltivata nella speranza.
Sopra, quella voce serena, quella risonanza leggera: la quinta corda, fatta d'aria finissima, ritorta dalle dita sottili e bianche dei Cherubini, tesa fra i punti invisibili delle estremità dell'universo materiale, d'atomi musicali, richiamati fra loro da armonia pura, a formare le cose; materia, là per essere lasciata, perduta, e ancora ritrovata. Cerchio di risonanze ineffabili, eppure geometricamente cognite; nella quinta corda ora era il premio, l'intelligenza e lo spirito uniti, a pizzicarne il suono, e coglierne l'effetto.
Ora, la mia lezione era completata.»

(Claudio Ronco, dalla novella "Il violoncello errante", Venezia 1996)



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foto di:
Emanuela Vozza e Mauro Menin

 

 

 

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