KOSOVO
Il Kosovo, regione della ex Federazione Yugoslava,
facente parte della cosiddetta area balcanica, è attualmente un
protettorato delle Nazioni Unite, “teoricamente”, ma per vari aspetti,
di fatto, sotto la dipendenza della Repubblica Serba.
Ciò significa che l’Amministrazione della regione
in tutti i suoi aspetti è gestita da UNMIK (United Nations Mission Ad
Interim in Kosovo).
Esistono amministratori regionali e municipali con
assessori regionali e municipali nei diversi settori (sanità, educazione,
cultura, trasporti, ecc), tutti dipendenti dalle Nazioni Unite,
direttamente o tramite Agenzie.
È vero anche, però, che non esiste un’Ambasciata
o un Consolato in loco che possa emettere visti di uscita dal paese, e a
chi arriva da paesi stranieri può venire richiesto il visto d’ingresso,
che è il visto di ingresso in Serbia, che può essere ottenuto solo a
Belgrado.
Ultimamente si stanno molto lentamente muovendo dei
passi per tentare una partecipazione di responsabilità, più nominale che
reale, degli abitanti della regione del Kosovo, individuando delle figure
locali, omologhe alle figure istituzionali delle Nazioni Unite.
Per esempio, nel settore sanitario, dove attualmente
opera il GVC, è stata avanzata la proposta dell’elezione di figure
omologhe, scelte da una commissione formata da rappresentanti delle
Nazioni Unite del settore. Mentre per le cariche di primo livello,
puramente tecniche, il processo è stato pressoché automatico (sono stati
nominati i direttori generali degli ospedali periferici), si è
evidenziato qualche problema per cariche istituzionali di grado e
responsabilità superiori (nessuna candidatura per l’assessore regionale
alla sanità).
L’interpretazione elementare che viene data di
questi fatti è il timore da parte dei kosovari che questa sia una mossa
politica finalizzata ad imbrigliarli in un sistema, comunque gestito e
indirizzato non è chiaro dove, dalle Nazioni Unite.
Da evidenziare e sottolineare che la maggior parte
della popolazione residente attualmente nella regione del Kosovo è di
etnia albanese. Le altre etnie presenti, quali bosniaci, rom, turchi, sono
una minoranza. Silenziosa per quanto riguarda bosniaci e turchi. Più alla
ribalta i rom, spesso oggetto di persecuzione violenta perché accusati di
collaborazionismo con i serbi durante il conflitto dello scorso anno. I
serbi vivono generalmente ritirati in aree che sono sotto la tutela
diretta delle forze armate Kfor.
Nella zona di concentrazione dei serbi, l’allarme
è costante per il possibile insorgere di scontri armati tra le due
diverse etnie e lo spiegamento di forze Nato Kfor è di tutto rispetto.
Sono noti a tutti i fatti di Mitrovica del marzo
scorso e ancora adesso si respira un’atmosfera “blindata” e poco
rilassata con forze Kfor internazionali, ma con prevalenza italiana, che
presidiano la zona albanese e con i francesi che arrogantemente hanno
rifiutato di cedere il controllo di una parte del ponte che divide sia
fisicamente che dal punto di vista etno-politico la città, che presidiano
la zona serba.
Un fatto di cui si parla quasi sottovoce, ma di
enorme rilevanza politica, è la programmazione di elezioni democratiche a
livello municipale per il prossimo ottobre (si sta facendo la
registrazione sia anagrafica che elettorale a questo scopo).
La data è opinabile in quanto il programma UNMIK
prevederebbe il rientro in Kosovo di 300.000 serbi, di cui 1000 a Pec.
L’atmosfera di ribellione che si esprime con
manifestazioni di piazza ogni volta che si ha il sentore di una presenza
serba in zona albanese, non promette una facile realizzazione del
programma di rimpatrio.
Si ha la sensazione che il rimpatrio possa diventare
una forma di deportazione, che l’aspirazione delle popolazioni serbe che
vivono “blindate” sia quella di perpetrare orgogliosamente una
resistenza con l’obiettivo di una rivalsa a cui non credono più.
Le elezioni previste solo a livello municipale, del
resto, non cambierebbero sostanzialmente la situazione, in quanto il
Kosovo continuerebbe a restare sotto il controllo delle Nazioni Unite.
Appare ovvio, infatti, che chiunque venga eletto, al
momento attuale, come primo atto proclamerebbe l’indipendenza del
Kosovo. Mentre a livello internazionale, non è mai stata prevista
l’indipendenza del Kosovo. Si parla tutt’al più di “autonomia del
Kosovo”. E fa un certo effetto sentire, in questa fase in cui Belgrado
tace, la colomba Rugova che dichiara: “o indipendenza o guerra”. Ci
conforta il fatto che la dichiarazione possa essere ad effetto
pre-elettorale.
È anche vero, però, che nel frattempo, nell’area
di Prescevo, regione della Serbia con forte presenza albanese, corre voce
che l’UCK si stia mobilitando con l’obiettivo di un’annessione di
questa zona al Kosovo, nella convinzione che il suo destino obbligato
fosse l’indipendenza.
Per quanto riguarda l’area “circostante”,
cosiddetta balcanica, si sentono di tanto in tanto voci: che la Macedonia
si sta impoverendo e l’atmosfera appare tesa, che “il Montenegro ha i
presupposti perché si scateni un prossimo conflitto” (è di ieri la
notizia che il confine con il Montenegro è strettamente sorvegliato dai
soldati serbi) e adesso che “i Turchi apriranno le basi militari in
Albania”, ma tutto ricade rapidamente nel silenzio.
Sinora la comunità internazionale, presente in modo
massiccio, ha rivolto il proprio intervento al settore dell’emergenza,
senza una chiara definizione di interventi di sviluppo. Soltanto lo
sviluppo delle piccole e medie imprese sta ricevendo qualche impulso
(apertura di un istituto per il commercio estero e di una banca a pristina
e a Prizren e, oggi 20 maggio, l’inaugurazione di una banca a Pec).
C’è tutt’ora grande confusione tra le fabbriche
di proprietà statale e privata, per cui investire per riattivare le
fabbriche diventa problematico non essendone chiara la proprietà: per le
statali c’è la necessità di ammetterne la dipendenza dal governo
serbo. Il Kosovo non è indipendente dalla Serbia.
La massiccia presenza internazionale, che comunque
gestisce la regione sia politicamente che economicamente, non ha ancora
definito un piano di sviluppo che continua a produrre interventi di
emergenza, finalizzati alla ricostruzione seppure un po’ arruffata delle
infrastrutture e alla ricostituzione di una stabilità psicologica che
possa essere il presupposto dell’educazione alla convivenza.
-
La
situazione politica attuale non permette di proporre strategie che
esulino dai piani d’intervento delle Nazioni Unite. Qualsiasi forma
di intervento deve rientrare in un piano prestabilito dalla gestione
ONU e tecnicamente valutato dalle Agenzie Internazionali, che fungono
da “advisor” (Unicef, Who, Unmik).
-
I
partner in loco sono i referenti proposti e preposti dalle Nazioni
Unite alla gestione amministrativa della regione Kosovo.
-
Il
GVC attualmente sta operando nell’Ospedale di Pec:
Area di intervento: sanitaria
Settori di
intervento: ristrutturazione, fornitura di macchinari, formazione
professionale.
I nostri progetti sono stati tutti finanziati dalla Missione Arcobaleno.
Da sottolineare che nulla è stato di fatto realizzato nella città di
Pec, se non finanziato da Arcobaleno, che ha agito con agilità e risposta
immediata alle esigenze del momento.
Personale espatriato
Nel periodo novembre 1999/maggio 2000, la presenza
degli espatriati in sede è stata molto limitata:
un architetto e un medico, con un logista rimasto
solo due mesi, quando i progetti erano tutti avviati.
Sono arrivati a maggio un logista, una biologa per la formazione degli
operatori del laboratorio di patologia clinica e una progettista che si
occuperà di invidiare nuove linee di operatività in Kosovo.
Personale locale
Un autista e un logista fissi;
Una segretaria da due mesi;
Un architetto per un mese e mezzo;
Una guardia “full-time” e una guardia “part-time” solo da questo
mese;
Vari collaboratori esterni per le traduzioni dei testi.
|