9 agosto

Siamo arrivati. Sani e salvi. Nonostante tutto: l'avventura inizia a malpensa, dove siamo arrivati con tre ore di anticipo e abbiamo passato la prima mezz'ora a cercare il banco della Varig (linea aerea brasiliana) perche' ancora non era aperto per il check-in. Consegnamo il biglietto all'omino che ci fa: "San Paolo, e poi?" "poi basta" "e che ci andate a fare a San Paolo col freddo che fa?" "..." comincia quindi a cercare i posti... "li volete vicini? vi metto di fianco ad un finestrino? mmh... sono finiti... vediamo un po' qui... neanche... qui... ecco fatto" fila 40, posti F e H, speriamo bene, tanto sara' un jumbo, per fare un diretto transoceanico...
Alle dieci saliamo sull'aereo, non proprio grande e grosso, anzi... fila 10..20..30..37, 38, 39. E la quaranta? Te l'ho detto che ci mettevano nei due bagni... Poi la hostess risolve la situazione mostrandoci la fila 40, che e' sul fondo del fondo del fondo, e invece di 7 posti ne ha solo 3... che oltretutto non si riescono a reclinare più di 4 centimentri perche' poi finisce l'aereo.
Le undici ore di volo passano veloci (eh... magari) tra brindisi (ogni quarto d'ora passano a portare da bere, e pure di notte, durante il film, con le luci spente, venivano con la pila per controllare se avevi gli occhi aperti e porgevano il vassoio coi biccheri) e vuoti d'aria transantlantici (durante i quali era difficile bere, ma non perche' si rovesciasse il bicchiere, piuttosto non si riusciva per gli scossoni a sincronizzare il braccio col bicchiere e la bocca).
Arrivati in aeroporto recuperiamo gli zaini e mentre usciamo passiamo dalla dogana dove si consegna il foglietto in cui si dovevano dichiarare merci in ingresso. Chiaramente il nostro è bianco e immacolato, visto che da quel poco che abbiamo capito non eravamo troppo fuori legge. Un omino ritira il foglio, ci guarda, sorridiamo, e ci manda dalla parte opposta a quella in cui andavano tutti... posiamo zaini e bagagli a mano sul nastro trasportare che li fa scomparire dentro all'nalizzatore. Il mio zaino lampeggia di giallo, sarà così grave? Mi fanno segno di aprirlo... mi sa che mi hanno sgamato... lo apro e tiro fuori il pacco più piccolo che avevo: le salsicce calabresi. Le mostro con un'espressione del tipo: "Sono state queste? Devo lasciarle qui?" Ma mi fanno segno di no. Continuo a svuotare lo zaino. Tiro fuori il chilo di tortellini. Non sono quelli. Il chilo di ravioli. Niente. Il pezzettone di parmigiano. Pure. La macchina fotografica. È lei! Apro il fodero e mostro che effettivamente si tratta di una macchina fotografica. Sembrano soddisfatti e mi fanno rimpacchettare tutto senza problemi. Chissà se la latta di olio di oliva, il due salami, il chilo e mezzo di pizzoccheri, il chilo e mezzo di lasagne, la grappa e il limoncello che non hanno visto li avrebbero lasciati lo stesso così indifferenti?
Usciamo vincenti dalla dogana e arriviamo nella sala degli arrivi dove troviamo un sacco di gente con cartelli e scritte ma nessuno di loro ci pare familiare. Dalla missione mi avevano detto che sarebbero venuti a prenderci... chissà... giriamo un po' a leggere bene i cartelli, esplorare gli sguardi interrogativi della gente ma non risolviamo nulla. Prepariamo allora un cartello noi con scritto "Padre Maurilio PIME" e giriamo con quel cartello in mano. Dopo cinque minuti arriva un signore che legge interessato il cartello, ha gli occhiali e una barbetta bianca. Siamo salvi.
Un'oretta di viaggio ci porta a quella che sarà la nostra casa per le prossime quattro settimane. Incontriamo gli altri italiani che sono arrivati nei giorni scorsi: Silvana, Cristina, Andrea grande e Andrea Lopez, un gruppo di modenesi dallo spiccato accento, Marta e Tania, di Lecco e Monica, di Pioltello, che già conosco. Facciamo colazione insieme e ancora scombussolati dal fuso (ma che giorno è) ci colgono impreparati e ci trascinano "pronti via" a lavorare con i bambini.
Un quarto d'ora di cammino ci porta alla sejota "Don Oscar Romero", una specie di pre-dopo scuola per i bambini della favelas. I bambini ci accolgono entusiasti: finalmente un paio di maschi, visto che le animatrici e le volontarie italiane sono tutte femmine. "Hai un figlio?" è la seconda domanda più quotata dopo "Come ti chiami?". Dopo la colazione con i bambini saliamo nelle classi, Fabrizio va con i piccolini e io con i medi. Facciamo un paio di danze e un disegno e poi usciamo su un terrazzino (grande come un paio di volte il mio soggiorno) per giocare a pallone, maschi contro femmine: se le danno selvaggiamente, ma la cosa rientra nell'agonismo della partita. Dopo un po' spunta una corda per saltare: di canapa intrecciata, lunga quattro metri ha un diametro di almeno 5 centimetri, praticamente un'arma. Quando un bambino perde il sincronismo e viene falciato dalla corda fa mezzo giro in aria e atterra piatto sul cemento. Viene portato fuori e il gioco ricomincia. Chiaramente questo fa parte della seleziona naturale: tutti insieme non riuscirebbero a giocare e questo permette un ricambio ciclico regolare.
Alle undici si smette di giocare e si torna nel refettorio per il pranzo: riso e fagioli, una banana e un intruglio zuccheratissimo dallo strano colore viola. Dopo mangiato decidiamo di tornare a casa per riposare un po'. La sera si cena con una carbonara fatta con il salame al posto della pancetta. Dopo qualche chiacchiera con gli altri torniamo a dormire, la giornata è cominciata in un'altra giornata e devo ancora sincronizzarmi bene. Il letto è un pochino corto, ma al sonno non importa un grachè, faccio appena in tempo a tirare su le coperte.