IL FUTURO DEI CATTOLICI ITALIANI IN POLITICA

IMPEGNO CRISTIANO n°39, aprile 1998

(di Domenico Dosa)

Sollecitato da alcune letture recenti sulle prospettive della presenza e del ruolo dei cattolici in politica proverò in questo articolo a sintetizzare alcune riflessioni che ho maturato in questi ultimi tempi alla luce di quanto è avvenuto e sta avvenendo nel nostro Paese.
Premetto che non è mia intenzione in questa sede fare considerazioni o valutazioni strettamente politiche, ma mi limiterò ad una analisi più politologica, volta ad evidenziare la traiettoria che sembra profilarsi nel percorso politico dei cattolici democratici nel nostro Paese.
So che è un terreno delicato su cui è molto facile scivolare nel dibattito politico attuale, filtrando l’analisi con le proprie convinzioni personali.
Non posso che appellarmi alla mia onestà intellettuale e allo spirito di ricerca di chi non ha risposte certe ma che tuttavia non si sottrae a formulare delle ipotesi ragionate.
In questo articolo cercherò di ragionare su due questioni di fondo:

  • Ha senso oggi parlare in Italia di cattolici organizzati in politica?
  • Quale dovrebbe essere la specificità dell’impegno politico dei cattolici ?

1. IL PLURALISMO DEGLI ORIENTAMENTI ELETTORALI

Prima di affrontare le due questioni di fondo è utile richiamare un dato che contestualizza meglio l’analisi che andremo a sviluppare: con la fine dell’unità politica dei cattolici il voto cattolico oggi si presenta molto articolato con alcune significative concentrazioni nei partiti di ispirazione cristiana.
Per evitare approssimazioni non tollerabili sono andato a ripescare le indagine più recenti su questo argomento. Le indagine a cui faccio riferimento (tab.1) sono relative a:

  • un sondaggio dell’Eurisko(1) effettuato nel maggio del 1994;
  • una ricerca sugli atteggiamenti religiosi e culturali degli italiani effettuate, subito dopo le elezioni europee, nel 1994 dall’Università Cattolica di Milano(2);
  • un sondaggio su "cattolici e politica" condotta nella primavera del 1996 dal Cra di Milano e promossa dal quotidiano Avvenire(3), su un campione molto ampio di italiani (3.000 intervistati) tra i 18 e i 74 anni.

Semplificando, utilizzeremo come indicatore di appartenenza alla sfera dei "cattolici praticanti" la partecipazione ai riti religiosi domenicali(4).
Dalla tabella 1, in cui sono affiancati e comparati i dati delle tre ricerche, è possibile osservare che in tutti e tre gli studi effettuati si rileva, con una certa approssimazione, la stessa articolazione del voto dei cattolici praticanti.
Se si leggono questi dati con attenzione, possiamo osservare quindi che il voto dei cattolici praticanti è presente in tutte le forze politiche, ma in modo non uniforme.
In termini percentuali, infatti, esso registra livelli di concentrazione più elevati nei partiti cattolici di centro e una minore presenza nelle altre formazioni politiche. Oscilla tra il 50 e il 60% nelle formazioni cattoliche del CCD e del CDU e tra il 60 e il 70% nel PPI. Tra gli elettori di Rinnovamento Italiano la percentuale di cattolici praticanti è intorno al 40%. In Forza Italia la percentuale di cattolici praticanti è di circa il 30% e in Alleanza Nazionale è intorno al 20%. Anche per i Verdi la percentuale è intorno al 20%. Più bassa di tutte è la presenza dei cattolici praticanti tra gli elettori della sinistra storica rappresentata dal PDS con una percentuale prossima al 15% e da Rifondazione Comunista con il 10-12%. Nella Lega, infine, si è registrato un forte calo del voto dei cattolici praticanti tra il ’94 ed il ’96, che si è ridotto intorno al 12%, anche grazie alle prese di posizione contro la Chiesa di Roma da parte dei suoi leader.

Tab. 1 Gli elettori italiani che frequentano i riti religiosi almeno una volta alla settimana per preferenza politica (%)

PARTITI

Eurisko (1994)

Università Cattolica (1994)

Avvenire-Cra (1996)

AN

19,0

23,6

19,0

Forza Italia

32,0

31,1

22,0

CCD-CDU(1)

62,0

49,1

63,0

Rinnovamento Ital. (2)

-

-

42,0

Lega

21,0

24,1

12,0

PPI (3)

70,0

63,4

66,0

Verdi

23,0

-

-

PDS

14,0

14,3

19,0

Rifondazione Comun.

-

9,5

12,0

  1. Nella rilevazione del 1994 il CDU non era ancora stato costituito.
  2. La "lista Dini" si è presentata per la prima volta nelle elezioni politiche del 1996.
  3. Nella rilevazione del 1994 il PPI non aveva ancora subito la scissione che diede origine al CDU guidato dall’on. Buttiglione.

Fonti: varie

Se limitiamo l’analisi ai soli cattolici praticanti (27,5% del campione considerato nel sondaggio Avvenire-Cra del 1996), nella tabella 2 possiamo osservare come si distribuisce il loro voto tra le diverse forze politiche.
Innanzitutto emerge un pronunciato astensionismo, superiore a quello medio registrato per l’intero campione (23%): il 29% dei cattolici praticanti dichiara nel sondaggio di non andare a votare o di votare scheda bianca.
Al di là dei molti modi con cui si può interpretare questo dato, sicuramente esso rileva un forte disagio nell’esprimere un orientamento politico, che in passato poteva apparire più scontato.
In secondo luogo, se si considerano soltanto coloro che vanno a votare, è possibile notare come ormai i due terzi dei cattolici praticanti (68%) vota partiti laici e un terzo (32%) vota partiti cattolici (17,5% PPI e 14,5% CCD-CDU).

Tab. 2 Distribuzione del voto dei cattolici praticanti (1)

PARTITI

(%)

AN

8,0

Forza Italia

12,0

PPI e CCD-CDU

23,0

Rinnovamento Italiano

5,0

Lega

3,0

PDS

11,0

Rifondazione Comunista

3,0

Altri partiti

5,0

Non vanno a votare o scelgono scheda bianca

29,0

Totale

100,0

1. Coloro che frequentano con regolarità i riti religiosi, almeno una volta alla settimana.
Fonte: Avvenire-Cra, 1996

Nella ricerca dell’Università Cattolica del 1994, sono contenuti ulteriori approfondimenti qualitativi, tra cui un’analisi dinamica degli orientamenti elettorali. Secondo questa analisi la diaspora del voto democristiano prende sostanzialmente tre direzioni:

  1. il voto dei "cattolici medi", non particolarmente attivi che manifestano una religiosità discontinua e legata alla tradizione, si è diretto in massima parte verso i partiti principali del centro-destra, Alleanza Nazionale e Forza Italia. Questo un tempo rappresentava l’elettorato numericamente più consistente della DC. Un elettorato cattolico con caratteristiche molto simili, anche se marcatamente più distante dal modello ufficiale di religiosità, si è diretto invece verso la Lega.
  2. il voto dei "cattolici militanti", più impegnati e partecipi alla vita della Chiesa e dei gruppi religiosi e di volontariato si è diviso tra PPI e CCD con prevalenza nel primo(5).
  3. il voto dei "cattolici critici", i più tiepidi nei confronti della Chiesa istituzionale e numericamente meno consistenti, sembrano orientarsi verso sinistra.

Da questi dati si deduce non solo che siamo di fronte ad un pluralismo delle scelte politiche molto allargato, che comprende tutto lo schieramento politico, ma che il pluralismo dei cattolici non si "spalma" come una marmellata sulle forze politiche, ma si articola secondo caratteristiche socio-culturali ben definite.

2. OLTRE LA DIASPORA

Dopo aver delineato come si articola il voto dei cattolici in Italia affrontiamo adesso la prima questione posta all’inizio: ha senso oggi parlare di una presenza organizzata dei cattolici ?
Dopotutto, come abbiamo visto, vi sono cattolici impegnati in tutte le forze politiche italiane e in molti altri paesi democratici dove i cattolici fanno politica non necessariamente militano organizzati in uno o più partiti di ispirazione cristiana.
Ma ciò che ci spinge ad interrogarci su questo punto ha almeno due ragioni: la prima è storica e riguarda il ruolo avuto dalla DC, la seconda è politica e riguarda la fine della DC e la competitività che si è accesa tra i partiti per ereditarne il consenso.
Quella storica richiama alla memoria la presenza nel nostro Paese di un partito, la Democrazia Cristiana, che per quasi cinquant’anni ha rappresentato l’unità politica dei cattolici italiani giocando un ruolo centrale non solo nel sistema politico italiano ma anche nello sviluppo sociale ed economico del nostro Paese.
Nel dopoguerra le condizioni storiche ed internazionali consentirono un vero e proprio "momento magico" delle "democrazie cristiane"(6): in Europa le DC di De Gasperi, di Adenauer e Schuman svolsero un ruolo decisivo nella ricostruzione e nello sviluppo dei loro Paesi. L’eredità storica della DC gioca un ruolo fondamentale nel sollecitare ancora oggi, dove le condizioni sono notevolmente mutate, una "domanda" di presenza politica organizzata dei cattolici. Lo chiamerei un riflesso condizionato.

L’altro aspetto che ci spinge ad interrogarci ha un’origine più politica e rimanda alla forte competitività tra le nuove espressioni partitiche che si sono prodotte con la fine della DC. La competitività non è solo bipolare rispetto ai due poli, l’Ulivo da una parte ed il Polo delle Libertà dall’altra, ma è anche all’interno degli stessi poli e delle stesse formazioni politiche. Tutti competono per raccogliere il consenso che era un tempo della DC. La competitività non si gioca sul piano dei valori, sui quali tutti si riconoscono, ed è molto attenuata anche sul piano dei contenuti (la famiglia, la parità scolastica, l’impresa, lo sviluppo del terzo settore, registrano ben poche varianti), tutto si gioca nel conquistare il "centro politico", quella collocazione politica tanto a lungo presidiata dalla Democrazia Cristiana.
Sbaglierebbe, tuttavia chi riducesse il centro ad un contenitore vuoto, privo di riferimenti culturali e di contorni politici. Il Centro non è soltanto uno spazio vuoto da contendersi, non è semplice moderatismo o spazio politico a cui si rivolgono i "ceti medi", è qualcosa di più.

Nel "centro" c’è ancora molta cultura politica elaborata e sedimentata nei decenni dalla DC. Vi sono ancora molto vizi della vecchia DC, ma c’è anche molta cultura europea (non è un caso se le posizioni più europeiste si trovano al centro), molta cultura solidaristica che tende a temperare le spinte liberiste del mercato (è presente nel PPI, CCD, CDU e in una parte di FI), molta attenzione ai valori etici di ispirazione cristiana (la difesa della vita dal suo concepimento, la centralità della famiglia, l’attenzione agli ultimi, ecc.).
La competitività al "centro" quindi non si gioca semplicemente sul piano della collocazione dentro uno spazio elettorale da conquistare, ma si gioca, a mio avviso, anche sulla capacità di interpretare una cultura politica, quella cultura politica ispirata in passato dall’esperienza politica dei cattolici democratici.
Con ciò non voglio dire che tutto il centro si ritrova in quella cultura politica ereditata dalla DC, altre culture politiche si collocano in quello spazio, ma è indubbio che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, in quello spazio politico il peso della cultura cattolica risulta ridimensionato ma ancora dominante.
Come abbiamo visto quindi il venir meno della presenza pluridecennale della Democrazia Cristiana e la competitività al "centro" del sistema politico tra i partiti che derivano da quella esperienza, richiamano continuamente la domanda sull’opportunità di una presenza organizzata dei cattolici in politica.
Ma se la domanda "sorge spontanea", più difficile è dare una prospettiva certa a questo disegno. Perché insistere su una o più presenze organizzate dei cattolici in politica, perché invece non lasciare più spontaneità alle scelte di collocazione dei cattolici impegnati in politica.
Le risposte a queste domande non possono non tener conto di tre esigenze:

  • primo, non disperdere la ricca eredità del cattolicesimo democratico(7);
  • secondo, poter esprimere una propria elaborazione culturale ispirata alla Dottrina Sociale della Chiesa.
  • terzo, verificare l’opportunità di una specificità dei cattolici nel contribuire positivamente alla costruzione della "città", della "polis".

Per quanto riguarda le prime due esigenze, non disperdere l’eredità storica e mantenere una propria capacità di elaborazione culturale, è indubbio che occorra un minimo di "massa critica" per poter garantire risorse e strutture organizzative che consentono autonomia di valutazione, capacità di fare proposte e peso politico per farle attuare.
Tuttavia, non è detto che questa "massa critica" debba identificarsi con uno o più partiti cattolici.
Se il processo di "bipolarizzazione" del sistema politico italiano andrà avanti, anche sotto la spinta dell’europeizzazione politica e non solo economica del nostro Paese, è possibile che i partiti si "diluiranno" sempre di più all’interno dei due poli principali (Polo e Ulivo) a vantaggio di una maggiore coesione politica degli schieramenti.

Anche in questo caso sarà utile mantenere dei luoghi di discussione e di elaborazione culturale in cui i cattolici possano esprimere una propria specificità politica. Magari non più o non necessariamente all’interno della forma partito, ma attraverso altre forme più "leggere" quali ad esempio coordinamenti politici, assemblee nazionali di indirizzo, fondazioni culturali, movimenti organizzati, ecc.
È chiaro che in un sistema bipolare dove i cattolici si trovano in entrambi i "poli" bisognerà distinguere tra progettualità politica ed elaborazione culturale ispirata ai valori della fede. La prima andrà condotta in sedi separate, cattolici "progressisti" da una parte e cattolici "conservatori" dall’altra, la seconda deve trovare dei luoghi di incontro dove i cattolici impegnati in politica possano dialogare in libertà per verificare punti di vista comuni sui grandi temi della vita, dell’etica e dello sviluppo sociale ed economico.

3. LA QUALITÀ POLITICA OLTRE LA CONSISTENZA NUMERICA


Affrontiamo adesso la seconda domanda: quale dovrebbe essere la specificità di una cultura politica animata dai cattolici ?
La fine dell’era DC e più ancora l’introduzione del sistema maggioritario, seppure imperfetto(8), non solo ha liberato il voto cattolico dal vincolo dell’unità, ma ha costretto i cattolici a riposizionarsi.
Improvvisamente il centro come spazio politico autosufficiente si è dissolto, obbligando i cattolici a scegliere tra polarità opposte.
Questa è stata, a mio avviso, la vera frattura rispetto agli equilibri del sistema politico della Prima Repubblica.
Contemporaneamente, il processo innescato, e ancora in corso, della "bipolarizzazione del sistema politico ha recuperato le forze escluse della Prima Repubblica: da un lato gli eredi del vecchio Partito Comunista, con il PDS oggi al governo e Rifondazione Comunista dentro la maggioranza, e dall’altro gli eredi del Movimento Sociale, con AN che partecipò al governo Berlusconi.
L’unica forza antisistema oggi presente è rappresentata dalla Lega con il suo progetto secessionista (almeno sulla carta).
La rottura degli argini ideologici ha fatto sì che i cattolici che ai tempi della DC guardavano alla propria diversità-identità con "autosufficienza politica" (i voti erano sufficienti per far prevalere la loro cultura politica) oggi le identità e le diversità sono destinate a ridursi notevolmente nel momento in cui si devono condividere strategie e progettualità con altre culture politiche un tempo distanti.
Ma se si riducono le differenze non c’è il rischio dell’omologazione, o peggio ancora della perdita di ogni fecondità culturale e sociale dei cristiani, di cui parla Don Romeo nel suo articolo(9). Il Cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, nel suo discorso alla città per la festa di S. Ambrogio ci mette in guardia contro "alcune derive pericolose".

Se da un lato questa maggiore uniformità potrebbe ridurre la conflittualità tra i partiti, dall’altra <<…questa convergenza silenziosa di cosiddetti "conservatori" e di cosiddetti "progressisti avviene su linee di tendenza che costituiscono una decadenza rispetto alla nostra tradizione culturale e civile. Cadute le grandi ideologie, i diversi filoni si stanno come implicitamente accordando sull’esaltazione delle ragioni dell’individuo e sulla difesa degli interessi di gruppo...>>(10).
Mi domando se in queste parole il Cardinale non raccolga una domanda di specificità per il ruolo dei cristiani nella società, nella cultura, nella politica. In realtà ritengo che il discernimento nella carità debba mettere a nudo l’insufficienza di risposte parziali della politica quando si rivolge ad interessi particolari che non tengono conto "della costruzione globale della città di tutti".
Come possono i cristiani in questo fine millennio non cogliere le sfide della modernità contribuendo a migliorare questo "pezzo di storia" che ci viene affidato nel suo divenire in Italia, in Europa e nel mondo?
Come possiamo rinunciare al nostro impegno fecondo rispetto ai grandi temi dello Stato Sociale, delle riforme istituzionali, della globalizzazione dell’economia e della cooperazione?
Come possiamo rinchiuderci nel recinto dell’individualismo e degli egoismi di "gruppo" e non fremere per costruire una politica solidale più attenta alle esigenze degli ultimi e degli esclusi?
Oggi che siamo minoranza dobbiamo essere coscienti che la "qualità degli ideali e degli uomini" possono essere più decisivi dei numeri(11), soprattutto nelle fasi di transizione dove è più importante discernere la direzione.
Il futuro dei cattolici italiani
si misurerà proprio qui, nella loro capacità di riorientare lo sviluppo di questo paese verso il futuro, rilanciando nuove progettualità e nuovi traguardi sociali. Forse la nostra tradizione europeista, ereditata da De Gasperi, esprime meglio di ogni altra cosa la fecondità della cultura politica che i cattolici democratici hanno saputo interpretare. Il futuro dei cattolici in politica non dipenderà tanto dalle alchimie della politica volte a dare forma e consistenza alla rappresentanza politica dei cattolici, quanto piuttosto dalla capacità del mondo cattolico di esprimere progettualità e valori nell’interesse di tutti. La fine dell’unità in un unico partito cattolico dovrà spingerci verso una maggiore unità sui valori comuni che potrà vederci divisi nelle opzioni politiche ma uniti nel promuoverne la cultura.


Note:
1) Il profilo socio-culturale degli elettori 1994,in Social Trends, n.66,novembre 1994.
2) La religiosità in Italia. AA.VV., Mondadori, Milano 1995.
3) Quale futuro politico per i cattolici? Franco Garelli, Sei, Torino 1997
4) Non vi sono altri indicatori oggettivi altrettanto efficaci per definire il cattolico praticante. ciò non toglie che il grado di partecipazione alla vita ecclesiale è legato ad altre dimensioni significative, più difficili da rilevare statisticamente.
5) Al tempo della rilevazione statistica non c'era ancora il CDU.
6) I cristiani nel bipolarismo europeo. Stefano Ceccanti in Il bianco e il rosso, n°0 1997
7) Il futuro dei cattolici democratici. Bartolomeo Sorge in Aggiornamenti Sociali, febbraio 1998.
8) Per l'elezione dei deputati e dei senatori è prevista una quota proporzionale pari al 25% dei seggi
9) "....cattolici democratici alla Lazzati ed alla Dossetti hanno lasciato tracce inequivocabili di impegni fecondi nel culturale e nel sociale...", Don Romeo Peja in Impegno Cristiano aprile 1998.
10) Alla fine del Millennio. Servi inutili, umili e grati. Discorso del Cardinale Arcivescovo alla città per la festa di S.Ambrogio, Carlo Maria Martini, 5 dicembre 1997.
11) Il Progetto Culturale della Chiesa Italiana. Bartolomeo Sorge in Aggiornamenti Sociali, settembre-ottobre 1997.


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