IMPEGNO CRISTIANO - dicembre 1999 - anno XIX n° 42

"I had a dream", "ho fatto un sogno", così esordisce Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano, nel suo intervento fatto al Sinodo dei Vescovi d'Europa il 7 ottobre, che noi riportiamo per intero nelle pagine interne di questo numero. E proprio questa "suggestione", presa in prestito da un altro pastore del nostro secolo, il reverendo Martin Luther King, può rappresentare una chiave di lettura di quest'ultimo numero di Impegno Cristiano.
In una società spesso ripiegata su se stessa e chiusa dentro gli orizzonti immediati di un "tempo presente" da consumarsi, il passaggio al nuovo millennio ci pare suggerisca di guardare oltre, oltre il "tempo presente" verso nuovi approdi, verso nuove sfide.
La parola "futuro", questa parola così piena di fascino, ma anche così sofferta per le incertezze e le insicurezze che genera, compare molte volte e con particolare enfasi in quasi tutti gli articoli di questo numero. Compare nella "speranza" di pace e di riconciliazione degli abitanti di Sarajevo, raccontata da Silvia Valle nel suo viaggio nella capitale bosniaca, che l'ha vista impegnata come volontaria in un campo di lavoro per la ricostruzione della città. Compare nella figura di un profeta contemporaneo, Don Primo Mazzolari, presentata con passione da Sebastiano Cesca.
Don Primo, che fu oggetto di "ben 11 richiami dalla Chiesa gerarchica" per le sue posizioni di frontiera sul piano religioso e sociale anticipando la grande stagione conciliare, fu riabilitato soltanto molto tempo dopo, quando fu definito da Giovanni XXIII "...ecco la tromba dello Spirito Santo..." o quando Paolo VI disse di lui "...non era sempre possibile condividere le sue posizioni: don Primo camminava avanti con un passo troppo lungo e, spesso, non gli si poteva tener dietro".
Un profeta, don Primo Mazzolari, che seppe andare oltre il "tempo presente" perché capace di sognare, di sperare, di soffrire per un futuro migliore.
La parola "futuro" compare anche nei piccoli segni del nostro "locale". Infatti, se da un lato Maria Teresa Golfari evidenzia nel suo articolo come sia "...sotto gli occhi di tutti la crescente marginalizzazione della fede cristiana nella maggior parte delle famiglie..." e come la catechesi proposta nelle parrocchie sia "...incapace di produrre consapevolezza della fede nella gran parte degli adulti e dei ragazzi coinvolti ...", dall'altro Angelo Salvatore ci racconta come sia possibile nella più piccola parrocchia di San Donato, quella di Poasco, proporre alle famiglie un approccio educativo innovativo che assume le forme di una coraggiosa sperimentazione: affrontare una volta al mese con i genitori "...i nodi fondamentali della fede..., perché dedichino "un quarto d'ora alla settimana" ai figli, a casa, per leggere il catechismo e spiegarlo con semplicità".
C'è "futuro" anche nell'iniziativa proposta quattro anni fa dalla Caritas di San Donato di istituire una scuola serale di italiano per gli stranieri arrivati in città. Oggi la scuola conta circa 50 studenti e 12 volontari è rappresenta nella città l'espressione più avanzata di quella cultura di attenzione e di accoglienza verso gli stranieri che è capace di andare oltre le chiusure xenofobe del nostro tempo per aprirsi ad un futuro di integrazione e di serena convivenza. Eppure quanta poca voglia c'è di "sognare" insieme: il concetto dominante di qualità della vita è quello individualista di massimizzare le soddisfazioni personali attraverso l'accumulo ed il consumo di beni materiali: l'individuo che ha più giocattoli quando muore, ha vinto.
Questo ethos ci induce verso atteggiamenti di conservazione, di ripiegamento in noi stessi, di chiusura verso gli altri, di paura del futuro. Il futuro rappresenta una minaccia alla nostra sicurezza, al mio tenore di vita, alla mia pensione, al sistema di garanzie sociali, soprattutto quando favoriscono me e lasciano fuori gli altri.
Due esempi tra tutti esprimono perfettamente questo atteggiamento diffuso: il basso tasso di natalità e l'elevato tasso di disoccupazione giovanile, che caratterizzano i paesi europei, e in particolar modo il nostro Paese. È un po' come se rinunciassimo ad investire sul nostro futuro.
Noi oggi siamo sollecitati da trasformazioni formidabili che vanno a toccare nodi critici della convivenza sociale e della stessa "qualità della vita": basti pensare ai processi di globalizzazione in atto o alla rivoluzione tecnologica nel campo dell'informatica e delle biotecnologie. Rispetto a questi processi in atto, due sono gli atteggiamenti dominanti che si confrontano: da un lato c'è chi con la testa rivolta all'indietro guarda al cambiamento come possibile minaccia e tenta inutilmente di ritardarlo, dall'altro chi è già saltato sul carro del cambiamento senza preoccuparsi della direzione che prenderà. Entrambi gli atteggiamenti sono miopi perché non si pongono il problema del progetto, quali scelte per quali obiettivi ? Rischiamo di subire il cambiamento invece di governarlo.
Per non perdere allora il senso del progetto, il senso del futuro, inteso come tensione verso nuovi traguardi, dovremmo nel nuovo millennio individuare e puntare su alcuni grandi obiettivi per l'umanità. A titolo di esempio provo qui a elencare tre sfide decisive per i prossimi decenni, per le quali il modo con cui saranno affrontate determinerà la qualità della civiltà che andremo a costruire.
La prima sfida è quella del modello di sviluppo che prevarrà nei paesi avanzati: si potrà coniugare progresso tecnologico e piena occupazione senza rinunciare ad un sistema di protezione sociale che garantisca i più deboli ?
La seconda sfida riguarda i paesi in via di sviluppo: saremo in grado, attraverso la globalizzazione dei mercati e la diffusione planetaria delle nuove tecnologie, di offrire loro una vera opportunità di emancipazione economica, capace di rispettare le peculiarità sociali e culturali di quei popoli ?
La terza sfida riguarda il nuovo ordine mondiale che va prefigurandosi nell'immediato futuro: sa-remo capaci, anche attraverso il ruolo di rinnovati e più autorevoli organismi internazionali, di ridurre complessivamente il numero e l'intensità dai conflitti locali su scala planetaria ?
Questi obiettivi possono apparire così distanti da non sollecitarci intensamente a realizzarli in tempi ragionevolmente brevi. Eppure il secolo che si chiude ha visto accanto a tragedie immani, anche miracoli veri e propri della civiltà contemporanea, realizzati in poche decine di anni. Il novecento se da un lato ha prodotto due guerre mondiali e ha concepito la tragedia dell'Olocausto, dall'altro ha raddoppiato con il progresso tecnico e scientifico la speranza media di vita degli individui, portandola oltre gli 80 anni, elevando la qualità della vita a livelli inimmaginabili prima. Ha riconciliato e riunito nel vecchio continente, con un patto politico ed economico senza precedenti, paesi tra loro divisi da guerre, lingue e monete. Ha visto 10 anni fa, nel crollo del muro di Berlino, riunificarsi una nazione, la Germania, epicentro delle tragedie del XX secolo, dando il via al più grande processo di riavvicinamento e di integrazione tra le nazioni che abbia mai conosciuto l'Europa.
Anche sulla recenti vicende dei Balcani dobbiamo interrogarci se la tragedie del Kosovo e prima ancora della Bosnia non siano da considerarsi il travaglio di una nuova Europa che vuole riconciliarsi con se stessa, dovendo fare i conti ancora con gli errori della storia.
"I had a dream", anch'io "ho fatto un sogno", che a 2000 anni da quell'evento che cambiò il senso della storia, l'uomo del XXI secolo ritorni ad attendere con trepidazione quel Dio che incredibilmente si fece uomo in mezzo agli uomini.
L'attesa sarà possibile se egli saprà uscire dalle chiusure e dai timori di questo fine secolo e si aprirà con fiducia e responsabilità alle grandi sfide che l'attendono.
Il Grande Giubileo del 2000 potrà rappresentare un'opportunità straordinaria se verrà vissuto come un'occasione preziosa di conversione e di apertura al futuro nel ...grande pellegrinaggio dell'umanità verso il Padre.

Domenico Dosa


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