IMPEGNO CRISTIANO - dicembre 1999 - anno XIX n° 42

Istituzioni ed Educazione
( di Maria Teresa Golfari )

E' sotto gli occhi di tutti la crescente marginalizzazione della fede cristiana nelle maggior parte delle famiglie. Si pensi al problema della catechesi, incapace di produrre consapevolezza della fede nella gran parte degli adulti e dei ragazzi coinvolti; si pensi al crollo di partecipazione dei ragazzi che, una volta ricevuti i Sacramenti, appaiono disinteressati alle proposte educative degli oratori. Non c'è chi non veda la difficoltà delle famiglie, il disagio delle istituzioni scolastiche, l'influenza non sempre positiva dei mezzi di comunicazione, lo smarrimento delle giovani generazioni, con i processi di dispersione, involuzione e talvolta di autoannientamento che vi sono connessi. Come pure è sotto gli occhi di tutti il silenzio dei giovani, che sembrano assenti, invisibili, latitanti dalla scena sociale e culturale.
Le ragioni di una tale situazione sono spesso oggetto di indagini e di studi, tra cui si colloca anche la ricerca realizzata recentemente dalle parrocchie del nostro decanato sulla proposta educativa da esse rivolta ai ragazzi e ai giovani. I risultati emersi da tale ricerca evidenziano un quadro di difficoltà che accomunano la nostra realtà socioculturale a quella di tutto il mondo cosiddetto industrializzato e italiano in particolare, ampiamente analizzato dalla ricca letteratura che si è sviluppata attorno a queste tematiche.
Una chiave di lettura con la quale ci troviamo d'accordo è quella, ad esempio, di Gabriele Calvi, che individua le cause del malessere e del disagio che ci avvolge in due aspetti: le caratteristiche del contesto socio-economico in cui adolescenti e giovani si sono trovati a vivere da trent'anni a questa parte e il ruolo svolto dalle agenzie educative.
Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre sottolineare che la società italiana non ha subìto travagli tali da rendere drammatica l'esperienza dei giovani nati a partire dagli anni '60, a differenza di quanto è avvenuto per le due-tre generazioni precedenti. Di per sé questo sarebbe positivo se oggi non dovessimo constatare che il clima socioeconomico degli ultimi trent'anni, caratterizzato dall'aumento della ricchezza e dall'espandersi dei consumi più o meno utili, non ha avuto solo effetti benefici, ma anche conseguenze negative sul piano culturale. Pensiamo al progressivo abbandono di quei valori-guida collaudati in un'economia della scarsità, nelle fatiche del lavoro quotidiano, nei disagi, nelle carestie, nelle guerre, nei conflitti sociali. In breve: nella lotta per la vita. Questa spaccatura con la tradizione culturale ha portato nei giovani e nei meno giovani la perdita delle coordinate fondamentali per il rapporto con la realtà, vale a dire a ritenere superfluo ogni genere di legame con il territorio, con la sua gente e con la sua storia, ha spinto verso il rifiuto del passato e verso l'affermazione del primato del presente, che ha finito per svuotare di senso anche il futuro.
Infine sono venute meno anche importanti coordinate sociali: l'individuo, liberato dalle strettoie della vita, non ha più avvertito il bisogno degli altri; postosi al centro del mondo, gli è stato facile negare validità a regole, a ideologie, ad appartenenze; ha potuto sottrarsi ai pesanti legami familiari, dei gruppi delle comunità e delle istituzioni. Si è sentito libero, finalmente, ma non di rado si è anche scoperto solo, abbandonato da tutti e, forse, disperato e senza via di scampo.
Se il ciclo socioeconomico ha contribuito a determinare la situazione presente, è certo che la scarsa lungimiranza delle agenzie educative e di informazione ha avuto un peso ancora maggiore. Infatti, la famiglia, la scuola, le istituzioni politiche e culturali, i mezzi di comunicazione, con le rare eccezioni di pochi "spiriti" lungimiranti, hanno mancato al corretto assolvimento del loro ruolo, mettendo in atto una vasta operazione conformista, che ha finito per snaturare progressivamente il senso critico, la coscienza di quanto sia effimera l'esperienza presente e di quanto sia opportuno investire sul futuro.
Le strategie comportamentali di molti milioni di italiani si sono modificate via via, ispirandosi a nuovi criteri guida: la negazione del valore dell'esperienza dei progenitori, il perseguimento del piacere immediato, la ricerca di facili guadagni senza sacrifici e fatiche, l'autodeterminazione etica, l'espressione e la realizzazione di sé volta al primato personale, l'antagonismo o l'indifferenza nelle relazioni sociali in genere. Questa situazione di crisi ha come esito ultimo "l'uomo in frammenti" (C.M. Martini), cioè un soggetto debole che non è più in grado di comporre in unità i molteplici frammenti della sua vita, che ospita dentro di sé più realtà, più valori o disvalori o, almeno, più informazioni relative a valori o disvalori di quante ne sappia scegliere consapevolmente.
Anche la proposta educativa della Chiesa, che pure si è da sempre posta in una logica anticonformista, per certi aspetti si è trovata a combattere contro questa tendenza, magari non sempre con i metodi più efficaci, per altri aspetti è stata essa stessa "vittima" di questa visione culturale.
Cosa fare, dunque, per risvegliare nei giovani il coraggio, l'intraprendenza, la reattività, l'ardire di seguire percorsi più difficili e faticosi, nella disponibilità anche a rinunce e a sacrifici imprevedibili?
E' necessario che chiunque abbia passione per la crescita dell'uomo da un lato riconosca e interpreti adeguatamente le esigenze formative della nostra epoca e dall'altro si faccia promotore di un nuovo e vero patto che coinvolga tutti i soggetti interessati: giovani, famiglia, scuola, agenzie educative (oratori e parrocchie compresi). Un patto che, per essere tale, non può essere proposto da una sola delle parti in causa, ma deve essere trattabile da tutte. I contraenti devono essere consapevoli delle condizioni che possono rendere fecondo il patto o farlo fallire. Fra queste è da porre, in primo luogo, la denuncia di una cultura che non promette più alcun futuro e la necessità di condividere valori che consentano invece di affrontare i problemi posti da un'epoca che diviene impietosa con tutti, specie con gli illusi.
Mettersi in movimento, dunque, lanciare ponti, tessere fili, promuovere l'incontro e il dialogo: questi i verbi che possono animare la comunità cristiana nella sua azione educatrice, e quindi missionaria, affinché, come ebbe a dire Paolo VI della Chiesa radunata in Concilio: "E' meglio che assomigli ad un cantiere piuttosto che a un museo".


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