Mario Luzi
Girolamo in una lettera a papa Damaso scriveva: "Se Origene ha superato tutti nell'interpretare gli altri libri della Scrittura, sul Cantico dei cantici ha superato se stesso". Credo che la definizione si adatti perfettamente all'ultima fatica del poeta Mario Luzi che resiste così alla sua opera omnia (uscita nell'ottobre 1998 per i torchi dei Meridiani Mondadori a cura di Stefano Verdino) pubblicando La Passione. Si tratta di uno straordinario testo scritto per la Via Crucis del santo padre al Colosseo, il venerdì santo 1999. Lo stesso Luzi, nella Premessa afferma: "Quando mi fu proposto di scrivere il testo per le meditazioni della Via Crucis ebbi, superata la sorpresa, un contraccolpo di vero e proprio sgomento. Ero invitato ad una prova ardua su un tema sublime. La Passione di Cristo - ce ne può essere uno più elevato?" (5).
Ispirandosi ai passi biblici delle tradizionali stazioni della pia pratica, Luzi ha scritto l'intero componimento in prima persona singolare. È l'io di Gesù che parla ed interloquisce in un dialogo serratissimo col Padre. È l'io del poeta-testimone ("È di uomo infatti l'estremo pensiero", 61) a prendere la parola allorché tutto è compiuto. Così, senza parole inutili o corollari fra il pietoso e il pietistico, Luzi dà voce alla Parola, lo stesso Verbo incarnato, nell'ora suprema della passione, della croce e della morte. La scelta dell'io narrante non è solo strategia letteraria. Più profondamente ci si ritrova a contatto coi pensieri e i sentimenti del Signore, immersi in una preghiera che è insieme invocazione, grido di angoscia, affidamento, speranza.
Non nascondo che le liriche lambiscono quasi l'eresia. È così profondo e radicale il pensiero, così dibattuto fra il divino e l'umano, così immediato alla nostra percezione che viene da chiedersi: "chi è costui che parla?" È Gesù, il Signore della storia o l'uomo schiacciato dalla paura, dallo sfinimento, dalla morte? Ambivalenza voluta, credo. E per questo meravigliosa. Perché comunica, detto in parole povere, la fede di Gesù; trasmette l'impressione del groviglio magmatico ed estremo dell'uomo di fronte alla morte, anzi, dell'uomo-Dio di fronte alla propria morte. Da ecclesiastico non nego una notevole sorpresa quando lessi il testo. Immagino che più d'un monsignore baciapile si sia scandalizzato.
In un tempo in cui la poesia diviene spesso piccolo specchio per rimirarsi e piangere i propri mali, il tentativo di Luzi, il suo ardire un tema così sublime nella forma della lirica, è certamente da salutare con riconoscenza. A testimonianza che la fede non spegne le grandi domande ma le approfondisce e che è possibile dare voce alla Parola senza retorica, nella condivisione della stessa umana avventura.
Peccato che un simile poeta non sia stato insignito del Nobel. Ma, da maligni, pensiamo che la richiesta papale sia stata molto di più del Nobel e il risultato ben più grande di una festa a Stoccolma.