La prima cosa che osservai
entrando nella vecchia casa di campagna del marchese
Bignami, furono i due splendidi occhi che la servetta mi
piantò addosso con una franchezza orridente: occhi
nerissimi con un bel brillo di luce nel mezzo, su di un
fondo d'un tenue azzurro purissimo.
Seguitai l'analisi della ragazza, che a sua volta mi
guardava, occupata quasi per scusa a mettere a posto le
piccole cose del salotto: un bel colorito bruno-salute,
un petto non grosso con due capezzoli che puntavano
arditi dalla camicetta di velo bianco; una svelta persona
ben piantata su due gambe diritte dalla caviglia fine, e
calze trasparenti.. scarpini eleganti, capelli neri con
riflessi blu.
Il marchese mi spiegava esser quella la casa che
preferiva per passare la bella stagione e forse, chissà,
« l'ultima parte della sua vita », ragion per cui
avrebbe voluto rimetterla decentemente e nel salotto e
nella sala da pranzo desiderava gli facessi una
decorazione eseguita « con proprietà e pulizia ».
Trovare una bella ragazza in campagna, lontano, tra i
monti dove si giunge con il somaro per strade quasi
impraticabili, tra boschi di querce e di elci, non
incontrando che qualch,e montanara vestita di « rigatino
casareccio » scosciata sulla schiena di un somaro
pensoso; trovare, quando si ha quasi dimenticato il
mondo, un amore di ragazza svelta ed elegante come una
passera, che vi accoglie con un bel sorriso come se vi
conoscesse da molto, come se vi stesse aspettando: non me
lo negate, fa una certa impressione e ne fece molta a me
che in fin dei conti non son solito a sdilinquirmi tanto
facilmente...
Prendemmo gli
accordi per le decorazioni, visitammo la vecchia casa,
scendemmo alla vigna superba, di grappoli, vedemmo l'orto
pieno di graziadidio per l'abbondante acqua di una
sorgente vicina, incontrammo un branco di faraoncine
guidate a passeggio da una vecchia chioccia spennata...
Visitammo l'importantissimo giacimento di lignite che il
marchese non poteva sfruttare per la mancanza di strade
di comunicazione con i centri più vicini. E sulla via
del ritorno parlammo anche d'arte. Il marchese mi
esprimeva la sua simpatia per la « pittura storica » e
per le decorazioni pompeiane: e siccome eravamo quasi
giunti a casa, io l'ascoltavo sempre meno, intento
com'ero ad ascoltare il canto fresco della servetta che
sciorinava il suo repertorio di canzonette... ed anche,
per la verità, a fiutare uno stuzzicante profumo di
preparazioni culinarie che ci veniva incontro dalla
finestra della cucina pianterrena.
Quando rientrammo per la porta secondaria, la ragazza
aveva quasi finito d'apparecchiare per il pranzo e ci
salutò con un «bentornati », aggiungendo per me uno
dei suoi lunghi sguardi sorridenti che incominciavano a
smuovermi il sangue più di quanto avessi potuto
supporre. Era una'servetta tenuta bene. Si capiva che le
si usavano dei riguardi. Le avevano messo un garzone che
le faceva le fatiche più grosse e una o due contadine
che l'aiutavano in cucina.
È una brava ragazza, un po' farfallina, un po'
capricciosetta, ma in fondo buona e poi sempre cosi
allegra - mi diceva il marchese, forse accorgendosi che
guardavo più lei di quanto ascoltassi lui.
Il marchese, infatti, la trattava con una calma bonaria
in cui c'era la rassegnazione degli uomini che «han
passato l'età» e che provano gioia di sentirsi
circondati da un po' di primavera. Certo, vicino a quella
ragazza doveva rimpiangere in cuor suo di non aver
vent'anni di meno...
Venne l'ora del
mangiare. Il mio stomaco da qualche tempo invocava, con
un brontolio... poco rassicurante, la pastasciutta il cui
profumo soavissimo circolava per l'aria.
Allo squisito pranzo privo di quei fronzoli culinari in
odio al mio stomaco sano, non assisteva la signora del
marchese rimasta in letto per un disturbo avuto nella
notte.
Oltre me e il marchese, erano a tavola il fattore e un
suo figlio collegiaIe in vacanza.
La graziosa servetta, trasformata in leggiadra cameriera,
seguitava a dimostrarmi la sua simpatia con tante piccole
attenzioni che mi commuovevano sempre più. Le lanciavo
degli sguardi pieni di riconoscenza, resi forse più
intensi dall'azione di certi vini che il marchese curava
con le sue proprie mani.
Una buona riposata in una camera ferocemente decorata con
striscioni verticali gialli e rossi, mi fece per un po'
dimenticare la ragazza, che mi venne a svegliare all'ora
stabilita per fare una passeggiata col marchese e il
fattore nei boschi vicini. Aveva bussato leggermente alla
porta e, alla mia risposta, mettendo dentro la testa,
disse col suo solito fresco sorriso:
- Sono le quattro.
- S'accomodi signorina - potevo invitarla perché ero in
letto quasi vestito - il marchese è pronto?
- L'ho svegliato adesso.
- E il fattore? - le dicevo queste cose per tentare di
trattenerla. - Entri, entri, ha forse paura di me?
Ero ormai sceso dal letto e andavo verso di lei
invitandola ad entrare. Le presi una mano.
- Vuol sapere una cosa? -. le dissi con una audacia di
cui non mi credevo capace - sa che se mi trattenessi un
altro giorno qui, m'innamorerei seriamente di lei?
Mi lanciò una bella risata, che però troncò subito
perché, tenendole una mano, con l'altra le facevo sul
braccio nudo-bruno-sodo uno studio di... tattilismo. E
l'avevo percorso quasi tutto ed ella mi lasciava fare,
quando, ad un tratto, il suo nome, lanciato di sotto dal
marchese, salì rimbombando per la volta delle scale.
Mi sgusciò via, lasciandomi contrariato ed estasiato.
Una bella passeggiata nei boschi, qualche colpo di fucile
alle tortore e ai merli numerosissimi, il ritorno nel
delizioso meriggio di mezz'agosto.
Cena all'aperto sotto il pergolato superbamente carico di
grappoli di uva squisita. Assisteva anche la signora
ormai rimessa dal malore della notte passata.
L'odore appetitoso delle vivande non m'impediva di
fiutare la scia di profumo di carne calda che la servetta
lasciava girando dall'un commensale all'altro. La signora
doveva darle un po' di soggezione, perché le occhiate
che mi lanciava erano più furtive, più brevi di quelle
della mattina.
Con alcune sigarette, caffè e conversazione, venne l'ora
d'andare a letto.
Mi accompagnò lei con una candela accesa al secondo
piano, attraverso un lungo corridoio.
Con quella gradevolissima bambina accanto, mi sentivo
veramente commosso e le rivolgevo dei piccoli complimenti
che accettava con quel sorriso schietto. lo, che non sono
affatto audace con le donne, giunsi perfino a prenderla
per la vita e a tirarla a me per baciarla mentre, con
voce che mi sembrò incerta, mi diceva che il ritratto
appeso sopra una porta raffigurava il bisnonno del
marchese...
- Lei dove dorme, signorina? - le chiesi.
Mi indicò con un po' di titubanza una porta verniciata
in grigio come tutte le altre.
- Vicino alla sua, che è questa - disse, e aprì la
porta della camera che m'era destinata. - Non è
contento?
- Ma si figuri, dormire vicino a lei. Potessi esserle
ancora più vicino! In certi momenti è cosi triste
dormir soli... E lei sta bene, sola?
- Se dormo si.
- E se non dorme?
- Allora mi prende la voglia di alzarmi, di uscire, di
cantare, di ballare...
- Senta, se io non dormirò, verrò a bussare alla sua
porta e se anche lei non dormirà ci faremo un po' di
compagnia, vuole?
Rise del suo riso bianco e fresco.
- Ma dorma, ché domattina dovrà alzarsi presto per
partire...
- Ci siamo intesi - le risposi - arrivederci bel
tesorino!
Usci, chiuse la porta, poi la riapri, mise dentro la
testa, e scappò via senza girar la maniglia.
Appena rimasi solo mi
buttai sul letto. Sentivo il cuore battermi forte
dappertutto. La bella ragazza non mi aveva detto di no.
Io potevo andare tra poco da lei: passar con lei, con
quel bel fiore di monte, qualche momento delizioso.
Oh, non le avrei mica fatto alcun male: me la sarei
stretta un po', l'avrei baciata sulla bocca un po' di
più... senza farle male, però... Era così fresca e
pura!
Avevo il fuoco addosso. Andai alla finestra: si sentiva
la voce del marchese e quella del fattore dall'altro lato
della casa. Notai appena la meravigliosa notte d'agosto
intessuta di stelle cadenti e di grilli e di stridii
semi-spenti : Ma perché non se ne andavano a letto?
Perché i bisognava aspettare che tutti dormissero?
« Oh cara, cara! Sento che m'innamorò veramente di te
», mi sorpresi a mormorare.
Mi svestii, rimasi in mutande e mi buttai sul letto
aspettando che il tempo passasse. Che febbre!
Finalmente sentii un passo - tuffo di sangue nella testa
- ma era troppo pesante, per essere il suo. S'avvicinò.
E sentii aprire una porta poco distante dalla mia. Era
senza dubbio il garzone che andava a letto.
« E lei, quando? Che sia già in camera? »
Ritornai alla finestra. Silenzio completo. «E lei?.. »
Ad ogni modo era troppo presto per tentare la sortita. Se
mi fossi potuto addormentare per un'ora sola! Nemmeno a
pensarci.
Mi avvicinai alla porta semichiusa ad' ascoltare. L'aprii
leggermente e constatai con soddisfazione che non faceva
il più piccolo rumore. Cacciai fuori la testa: tutto
buio e silenzio, solo il battito sordo delle mie tempie.
Rinchiusi e ritornai alla finestra. Stetti per molto
tempo ,ad ascoltar la notte. Notai davanti a me, sul
monte nero, un piccolo lume rosso che appariva e
scompariva sempre nel medesimo punto. Vidi il lume rosso
per cinque volte, poi mi ritirai, spensi la candela,
andai all'incerto lume della notte verso la porta,
l'aprii con un piccolo urto tremante ed uscii nel
corridoio. Li per Il non vidi nulla, poi, assuefacendomi
al buio, vidi la finestra in fondo da cui entrava un
bagliore lievissimo; stetti un po' fermo e incerto, mi
avviai quindi risolutamente - in punta di piedi per
quanto fossi senza scarpe - verso la sua porta,
accompagnato dai tuffi sempre più feroci del sangue
nella testa.
Mi fermai davanti alla porta cenerina assalito da
interrogativi improvvisi.
« E se facesse rumore? Se avesse chiuso a chiave? Se non
ci fosse ancora? »
Il frastuono indiavolato di tuffi, di battiti, di ronzii
che c'era dentro di me m'impedì, forse, di sentire il
rumore della maniglia che avevo girato e delIa porta che
avevo semiaperto.
Entrai di traverso.
La donna che aspetta non ha bisogno di sentire il rumore
per notare la presenza delIa persona aspettata.
« Dorme », pensai, e prov,ai un'impressione di
contrarietà. « Se si aspetta e si desidera, non ci si
addormenta ».
Sentii distintamente il suo respiro calmo.
« Povera cara, lavora tanto tutto il giorno che non è
possibile, non è umano che la sera non ceda alla
stanchezza».
Dopo questa riflessione, fui più tranquilIo.. Era buio
quasi completamente.
« La chiamo? », mi domandai, « non è forse più belIo
svegliarla con un bacio? ».
Incominciavo a vedere il fondo del letto. Mi avvicinai e
risalii verso il capo...
Mi curvai e cercai la testna adorata...
Balzai. indietro inorridito. Guidato dal respiro m'ero
chinato e avevo sfiorato con la bocca un paio di baffi
che puzzavano di pipa: da quei baffi era uscito una
specie di grugnito.
Ero entrato di certo nelIa camera del garzone e questi
stava svegliandosi e frugava per cercare forse i
fiammiferi. Stavo impietrito in mezzo alIa camera, quasi
nelI'impossibilità di muovermi.
Alla minaccia delIa luce mi scossi, ritrovai me stesso e
la porta, che infilai non senza urtarci leggermente,
mentre il garzone che aveva acceso il lume gridava: «
Ch'è? Ch'è? » con la sua vociona che sentii rimbombare
per tutte le volte delIa vecchia casa.
Rientrai sbalordito
nella mia camera, rinchiusi la porta senza pensare al
rumore che fece, mi misi a letto con un gran freddo
addosso e aspettai gli eventi.
Il garzone ebbe dato l'allarme, sarebbero venuti anche da
me.
« E se mi ha veduto uscire, quell'imbecille, dalla sua
camera? »
Passò un tempo che non potei definire e niente di
anormale accadde, tranne l'abbaiare d'un cane poco
lontano.
Allora ripresi un po' d'animo, mi svestir e incominciai a
riflettere.
Come diavolo ero potuto entrare nella camera del garzone?
Che avessi veramente sbagliato camera oppure la ragazza
dagli occhi assassini m'aveva giocato un tiro feroce? No,
non era possibile. Certo m'ero sbagliato. Senza dubbio,
tra il buio e l'emozione, avevo confuso le porte.
Cercai di rifare mentalmente la strada che avevo fatto
con lei per venire a letto, ma non la ritrovai.
Ero disorientato e rimandai l'esame alla mattina.
La calma era completa nella casa. Volli assicurarmene e
riaprii la porta cacciando con una certa emozione la
testa nel corridoio. Tutto silenzio.
Richiusi, ritornai a letto e, dopo un'altra oretta
di fantasticherie, mi addormentai.
Mi svegliai che la
camera era tutta rossa da un bel sole nascente. Avevo il
corpo intorpidito e mentre mi vestivo m'avvicinai allo
specchio e mi ritrovai gli occhi pesti e un pallore come
se avessi passato davvero la notte con una donna ardente!
Una risata limpida e fresca mi fece correre alla finestra
e, senza sporgermi, udii il garzone che stava
raccontandole come nella notte qualcuno era stato in
camera sua, l'aveva toccato sulla faccia, aveva urtato le
seggiole e la porta... Il gatto? Gli spiriti? Chi sa? E
lei rideva.
Quando uscii dalla camera atteggiandomi tutto a una
completa indifferenza, potei constatare con certezza
assoluta che la camera nella quale ero entrato era quella
stessa che la sera la ragazza m'aveva indicato come sua.
Scesi a far colazione. Risposi di aver riposato
magnificamente alla ragazza che me lo cbiedeva mentre mi
serviva il caffelatte e ascoltai, impavido, il racconto
degli « spiriti » che mi fece il garzone mentre mi
andava preparando il somaro che m'avrebbe portato via.
Lasciai i saluti per il marchese e per la signora, salii
in sella e, salutata con un «arrivederci presto » la
ragazza, partii non senza un certo senso di sollievo.
Dal fondo del viale mi giunse il canto della ragazza che
mi lanciava, forse, l'ultimo festevole saluto:
« Ecché
m'importa a mee
se non son bellaa
tanto l'amante mioo
fa il pittore... »
tratto da
Due racconti di Gerardo Dottori
a cura di M. Ponti e A. C. Ponti
Perugia 1980
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