Vilardo :: tutti dicono Germania Germania

 

Prima della Rivoluzione francese - annotava Gramsci - prima cioè che si costituisse organicamente una classe dirigente nazionale, c'era un'emigrazione di elementi italiani rappresentanti la tecnica e la capacità direttiva, elementi che hanno arricchito gli Stati europei col loro contributo. Dopo la formazione di una borghesia nazionale e dopo l'avvento del capitalismo si è iniziata l'emigrazione del popolo lavoratore, che è andato ad aumentare il plus-valore dei capitalismi stranieri: la debolezza nazionale della classe dirigente ha così sempre operato negativamente. Essa non ha dato la disciplina nazionale al popolo, non l'ha fatto uscire dal municipalismo per una unità superiore, non ha creato una situazione economica che riassorbisse le forze di lavoro emigrate, in modo che questi elementi sono andati perduti in grandissima parte, incorporandosi nelle nazionalità straniere in funzione subalterna. Sempre così negativamente operando, la classe dirigente italiana si è data, dopo l'Unità, a un recupero di tipo sciovinistico delle glorie italiane in terra straniera, cioè di quegli elementi che nel campo delle invenzioni, delle scoperte, dell'arte militare avevano contribuito alla grandezza e ricchezza di altri Stati: e resta esemplare la questione sull'italianità di Colombo, che ha dato luogo a tutta una letteratura che Gramsci definisce «completamente inutile e oziosa. Ma un tale chauvinisme, praticato a livello di un certo giornalismo, di una certa erudizione, aveva in effetti una funzione: la classe dirigente nazionale lo dava come una specie di viatico - il solo che fosse capace di dare - al popolo lavoratore che massiccia mente emigrava. Già Cesare Balbo aveva auspicato «una storia intiera e magnifica e peculiare all'Italia» degli italiani, dei grandi italiani, fuori d'Italia; e proprio nel momento in cui una delle più grosse ondate di emigrazione dall'Italia si riversava sulle Americhe, sugli Stati Uniti e sull' Argentina in prevalenza, usciva un Dizionario degli italiani all'estero che partiva dall'anno 1000. Con lo stesso criterio, negli anni del fascismo si inaugurava - suggerita da Gioacchino Volpe - una pubblicazione in più volumi su. L'opera del Genio italiano all'estero: ufficiale, governativa. La classe dirigente italiana, e la cultura che la rappresentava, era talmente occupata a cercare le orme del genio (Genio) italiano in terra straniera, dall'anno 1000 alla Rivoluzione francese, che non si accorgeva delle centinaia di migliaia di italiani che, bestialmente stivate, continuavano a lasciare le Itale sponde. Non voleva accorgersene, cioè non voleva curarsene. Erano italiani senza genio (Genio): sapevano soltanto lavorare con le braccia, e duramente. In altro luogo Gramsci osserverà: e perché questa classe dirigente, la sua cultura, la sua letteratura, dovrebbe occuparsene quando sono all'estero, dei lavoratori italiani, se nemmeno se ne occupa quando sono in Italia?

Ma in Italia, bene o male, paternalisticamente o meno, tra scapigliatura e verismo, il popolo lavoratore era entrato nella letteratt!ra. Riguardo all'emigrazione, era però tutt'altro affare. E valga l'ironica osservazione che Dominique Fernandez fa a proposito dei Malavoglia: «Il maggiore dei Malavoglia, sin dal tempo in cui è ancora un bravo ragazzino e sta alla larga dalle osterie, si mette in testa di lasciare Acitrezza e tentare fortuna altrove. L'autore, lungi dall'incoragglarlo in questa sana decisione, l'accusa di voler abbreviare i giorni di sua madre, di abbandonare alla deriva i suoi fratellini, di infischiarsi del focolare domestico, e infine d'essere un ambizioso, un pretenzioso, che sarà punito per aver disprezzato l'onorevole miseria di cui i Malavoglia si sono sempre accontentati... I Malavoglia apparvero nel 1881. Ebbene, in quello stesso anno, l'Europa mandava 85.000 emigranti in America; tre anni dopo 200.000; nel 1900 l'Italia, da sola, 200.000, di cui circa una metà siciliani... Fernandez chiama quella di Verga «une bévue historique de taille», una grossa cantonata storica. E non il solo Verga l'ha presa. Non c'è nella letteratura italiana, infatti, un solo libro che rappresenti la condizione degli emigranti per come è stata, per come è. Solo in questi ultimi anni abbiamo avuto dei documenti diciamo ricreati: le lettere di un emigrante pubblicate da Antonio Castelli in Entromondo; queste storie messe in versi da Stefano Vilardo.

Vilardo è nato a Delia, in provincia di Caltanissetta, e a Delia è vissuto per tanti anni, insegnando nelle scuole elementari. Poeta, per così dire, in proprio (un paio divolumetti pubblicati in edizione limitata: poesie di idillio, poesie d'amore), ad un certo punto si è dato a raccogliere e ricreare queste storie (alcune ne ha pubblicate sul numero 15, luglio-settembre 1969, di Nuovi argomenti). E non è stata un'operazione facile. Per quanto, leggendole, non sembri, la mediazione del poeta c'è stata. La ricreazione, appunto. E che non sembri, è il maggior merito di questo libretto.

Leonardo Sciascia

[2]
Sono partito per la Germania
il due ottobre del millenovecentosessantuno
ché qui non potevo più campare
io e la famiglia con quattro bambini
Sono partito da clandestino
e non ho passato le montagne a piedi come tanti altri
ma d'intrallazzo con le macchine
Cento mila lire tutto mi è costato
denari prestati al venti per cento
ma Dio mi ha aiutato
e ora alla posta ho qualche milione
Sebbene in Germania il denaro si guadagna
uno è sempre disperato
ché non si può sopportare
stare lontani dalla famiglia dalla moglie dai figli
soli sempre soli
La prima città dove arrivai fu Sabrik
e trovai subito lavoro
ché allora c'era il blocco di Berlino
e tutti gli italiani scofIavano
e lavoro ce n'era abbastanza
Lavorai in una ditta per diciotto mesi
facevamo strade ponti canali
Lavorai anche in altre ditte
una vita disperata
Ora a Manaim lavoro in una fabbrica di chimica
dove la passerei tanto bene
se non fosse per i colori che mi fanno male alI.o stomaco
Lavoro di notte e fa freddo j
ché la temperatura non è la nostra
e anche questo è male ;
Questo io vorrei
che ci dessero lavoro in Italia
ché siamo stufi della Germania
e di tutti i paesi del mondo
Dormo nelle case della fabbrica
e pago trenta marchi al mese
Otto persone in una stanza
non si può vivere così
ché tanti fiati ad una persona fanno male
ognuno di noi ci abbiamo un fiato diverso
fa infezione
Prima abitavo in una baracca
dove la polvere si mangiava le persone
Oggi mi trovo meglio
Certo non è che ci abbiamo la donna
come qui in Italia
e a tutto dobbiamo pensare noi
fare la spesa farci da mangiare lavarci la biancheria
il cervello si sfrutta
non si può più vivere così
Faccio dodici ore di lavoro
un'ora per mangiare
undici ore nette di lavoro
e guadagno centoquarantamila lire al mese
alla famiglia mando centodiecimila lire
e con il resto tento di arrangiarmi
E' da cinque anni che non vedo Pasqua
ché lavorando dodici ore al giorno
Pasqua e Natale sono come tutti gli altri giorni
Da cinque anni che non vedo la Scinnenza
né quella bella festa dell'incontro del Salvatore con la Madonna
con la banda che suona un'allegria
Lì fanno festa in chiesa
Più festa fanno per Carnevale
Una festa speciale
Si vestono di elefanti di cammelli di tigri
una festa importante
io ci sono andato l'anno scorso
I tedeschi sono bravi
ma non sono uomini d'onore
non sanno tenere un segreto
Questo sono i tedeschi
spioni forti sono
Quando vedo una cosa io non parlo mai
dovessero ammazzarmi
Quelli invece non sono capaci cc
Non lo fanno apposta
forse sarà la temperatura
non so
perché tutti i tedeschi sono uguali
Non ho altro da dire io
[16]
Avevo una piccola casa
che non potevo abitarla
e stavo in casa d'affitto
Un giorno dissi
voglio andare in Germania
a tentare la sorte
Lì mi trovai malissimo
Lavoravo in una fonderia
che mi sembrava di essere all'inferno
ma costretto dal bisogno mi adattai
Dopo tre mesi
ricevetti un telegramma da Delia
ché mia sorella era molto grave
Lasciai il lavoro e me ne ritornai
Dopo pochi giorni mia sorella moriva
Non avevo più voglia di ripartire
ma il contratto dovevo rispettarlo
Trovare unp, casa a Manaim
era un problema
La ditta mi aveva alloggiato
con altre sei persone
in una piccola baracca
d'inverno morivamo dal freddo
d'estate dal caldo
Nel marzo del sessantadue caddi ammalato
e mi portarono in ospedale
locali belli puliti ordinati
uno specchio
ma non capivo niente di quello che dicevano
a quel mangiare non ero abituato
come un cane
paesani non riuscivano a trovarmi
ché chi non sa parlare è come un cieco
ne la vidi veramente brutta
non capivo gli infermieri
non capivo il dottore che veniva a visitarmi
ni facevano delle punture
ni davano a bere acqua colorata
così dopo quindici giorni fui dimesso
senza aver saputo
c:he male mi avessero curato
[22]
Già nel millenovecentoquarantadue
pensavo di emigrare
ma mia madre si ammalò
e non mi riuscì di andare in Francia
Poi
qualcosa si smosse in Venezuela
e subito preparai i documenti
con Francesco Picipici
Calogero La Rizza
e Giovanni Cumbo buon'anima
Andammo a Roma per il nulla osta
e quando mi chiesero
che mestiere fai
il manovale muratore risposi
mi sembrò uno scherzo
ma dopo venti giorni
avevo il nulla osta
Ero già pronto per partire
quando mia madre si aggravò
e tutto finì lì
Ho avuto sempre voglia di emigrare
qui non posso più campare
la vita è male
e appena seppi della Germania
incominciai a brigare per i documenti
ma successe che morì mia madre
e rimasi a casa
solo come uno zingaro
Mi sposai
Ci dividemmo coi miei fratelli
quel poco di roba che c'era
e a me toccarono duecentomila lire
mi prestai settecento mila lire
e mi comprai la casa paterna I
così rimasi sotto debito
Come faccio mi dissi
qui con la campagna mai riuscirò a pagare il debito I
Allora subito partii per Sommatino
ché seppi di un tale
che pagandolo
mi avrebbe portato in Germania da clandestino
Eravamo in nove
Vi devo avvisare io per la partenza
ci disse
Passarono sei sette giorni
e un silenzio di tomba
Poi lo vedemmo arrivare tutto misterioso
domani si parte e silenzio
non deve saperlo nessuno
Va bene
La sera facemmo la macchina
ognuno di noi si portò
un tovagliolo e un pezzo di pane
e per strade diverse
chi dal carcere vecchio chi dal canale
arrivammo al luogo d'incontro
al di là del cimitero
Trovammo sul posto chi doveva farci espatriare
Il patto era
che dovevamo dargli sessanta mila lire
e lui ci assicurava il lavoro
Partimmo da Caltanissetta
con il treno delle quattro
Una vita dannata
che quando lasciavamo il treno
camminavamo a piedi di notte
come anime del purgatorio
tra foreste e valloni
Ma Dio ci diede grazia e arrivammo a Nizza
Da Nizza dovevamo passare in Germania
e ci fu bisogno della macchina
mettemmo altre cinque mila lire l'uno
Passammo di notte
Ci lasciarono in una cava di pietre
ché le montagne dovevamo passarle a piedi
Pioveva
oh acqua Signore
Attendemmo il ritorno della guida
bagnati come pulcini
Quanti sacrifici Signore
per buscarci un pezzo di pane
Quando Dio volle la guida tornò
ci rimettemmo in cammino
e pioveva pioveva
Dovevamo superare una montagna così
e buio che non si vedeva ne' cielo ne' terra
Chi a branciconi
chi con bastoni di fortuna
tentavamo di passare la montagna
tutti infangati
morti di sete e di fame..
E a un riflesso di luce lontana'"
ci buttavamo a terra
ché avevamo paura delle guardie
e l'acqua che ci cadeva addosso
a infradiciarci tutti
Camminammo tutta la notte
ed era il diciassette maggio
Di giorno ci fermammo ad una casa
tutta sporca di merda parlando con rispetto
Eravamo morti di freddo
tutti bagnati
Uno voleva accendere il fuoco
con una porta tutta sfasciata
Se ci vede la polizia siamo fottuti
disse la guida
lasciammo perdere
ci asciugammo tutta quell'acqua addosso
Poi la guida
ci portò fuori da quell'inferno
Arrivammo a Francoforte
Alla stazione trovammo un paesano
e fu come se mi fossi trovato per miracolo
al mio paese
in piazza con gli amici
L'indomani andammo a trovare Smit
quello che ci doveva imbocciare
Con questo stetti dieci mesi a lavorare
ma mi tirava lo sgarro sulla paga
Lavoravo in una fabbrica di colori
riempivo dei vasi
mi riducevo come un facchino
sempre qualche schizzo mi sporcava
La sera facevo il bagno
ma per sgrasciarmi ci voleva almeno un'ora
Poi
sputavo colore parlando con rispetto
ma c'era il bisogno
e quando nella busta della paga
ogni settimana trovavo trentamila lire
che io a Delia
non li pigliavo manco ogni tre mesi
non so cosa mi sembravano quei soldi
e non pensavo se quel lavoro mi facesse del male
Per trentatre mesi ho resistito
e facevo il bagno ogni sera
ma quando tornavo in baracca
pisciavo colore
Andai da un dottore italiano
uno dei dottori della fabbrica
E' niente mi disse
ma mi cambiarono lavoro
e mi assegnarono alla penicillina
dove lavorano i tedeschi
Mi trovavo da signore
una pulizia da sembrare in paradiso
Lavoravo con un'aspirapolvere
che portavo come una carriola
per tutti i locali della fabbrica
Non facevo che mezz'ora di lavoro
e me ne pagavano otto
Non avrei voluto allontanarmi più
manco a pietrate
Ma siccome la vita è male
la sera quando tornavo dal lavoro
dovevo anche cucinarmi lavarmi la roba
rattoppare le camicie le calze
e non ne potevo più
ché se uno avesse la fortuna
di trovare una casa per la famiglia
non tornerebbe più dalla Germania
A me il direttore della fabbrica
mi aveva promesso la casa
ma io come dico il bene dico il male
e dico che non mi diedero la casa
perché sapevano che ero ammalato
e volevano farmi stufare
e ci riuscirono bene
Avevo bisogno di riposo
e volevo tornarmene a casa per un poco
dai miei figli da mia moglie
respirare la nostra aria
scaldarmi al sole del paese
Così mi dissi
vado a parlare al direttore
e gli dico che mia moglie è ammalata
e devo portarla in ospedale
sarei tornato entro cinque mesi
Così feci
Bene rispose il direttore
per il momento ti pigli le carte
poi si vede quando ritorni
io misi la firma e mi rovinai
ché non sapevo d'essere ammalato
A Delia caddi come una pera fradicia
mi portarono in ospedale
e stavo quasi per morire
Senza il libretto della Cassa Mutua
mi stavo mangiando la casa
e i trentatremesi di sudori della Germania
Disperato
appena mi sentii meglio
decisi di tornare in Germania
la Germania mi ha rovinato
e la Germania mi deve aiutare
Partii con mio cognato
Se fossi riuscito a imbocciarmi
loro mi dovevano curare
Mi presentai alla visita e mi respinsero
ché ero ammalato
Sono ammalato io dissi
non mi ha rovinato forse questa fabbrica
ora se ne accorgono che sono ammalato
Scemo tu che hai firmato mi dissero
E ora sono qui
ad aspettare la pensione
come mi ha promesso l'Onorevole Volpe
me la dovranno dare per forza
i signori tedeschi
Ma sono già otto mesi
e questa pensione non la vedo
[29]
Tutti dicono Germania Germania
e se ne riempiono la bocca
come fosse la manna del cielo
a me non ha portato che sfortuna
ma io sono cocciuto come un mulo
e andrò in Germania fino a quando crepo
I primi giorni tutto mi va bene
trovo lavoro casa
e guadagno che non mi posso lamentare
poi il diavolo ci mette la coda
e vado a finire in ospedale
come quella volta che mi cadde addosso
un sacco di cemento
e mi ruppi tre costole che ne risento ancora
Parlano della Germania come fosse il paradiso
come se i soldi te li regalassero
invece se non ti sfianchi di lavoro
per dieci dodici ore al giorno
a casa non manderesti che pidocchi
Ultimamente le cose mi andarono bene
e misi da parte un buon gruzzoletto
a Delia mi dissi
che il Natale mi aspetta
Me lo fece fare certo il diavolo
Ero tranquillo
ora sono nei guai
ché sopra il treno litigai con un disgraziato
e sono tutto foruncoli per lo spavento
ché il sangue mi diventò acqua
quando quello voleva spararmi
Non faccio che andare dai medici
e pago le visite di sacchetta mia
perché ho dimenticato in Germania
il grandsciai internazionale
che è come il libretto della mutua
Ho scritto ad un cugino
ché me lo faccia rilasciare dalla ditta dove lavoravo
ma ancora non ho visto niente
intanto i soldi se ne vanno come fave

da Stefano Vilardo
tutti dicono Germania Germania
Garzanti 1975

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