Viktor E. Frankl, un testimone della ricerca di significato dell’esistenza
Cesare De Monti

 

Viktor Frankl nasce il 26.03.1905 a Vienna, da genitori ebrei. Manifesta precocemente interesse per gli interrogativi ultimi della vita: un’amica di famiglia, tempestata dalle sue continue domante, lo chiamerà il piccolo "pensatore".

Al ginnasio di Vienna si occupa molto di scienze della natura, ma viene sottoposto a un insegnamento riduttivo: l’insegnante di scienze sostiene che la vita, in ultima analisi, non è altro che un processo di combustione, un processo di ossidazione, e Viktor Frankl si ribella.

Inizia la sua opposizione a ogni riduzionismo.

Quando un compagno di liceo viene trovato morto suicida con un libro di Nietsche tra le mani, si convince ancor più del legame che esiste tra concezione filosofica, visione del mondo e modo di intendere la vita.

La lettura di Schopenauer lo richiama a scegliere Psichiatria all’Università. Entrato nel Partito Socialista nel 1924, svolge funzioni di Segretario e si allena coi compagni in lunghe discussioni: Marx o Lenin, Freud o Adler?

Entrato nel circolo di Adler, pubblica nella sua rivista l’articolo "Psicoterapia e visione del mondo" e si allontana sempre più dalla posizione di Freud, che ritiene "inconsistente, anzi patologico, il problema del significato": "Nel momento in cui ci si interroga sul senso e sul valore della vita si è già malati, giacché i due problemi non esistono in senso oggettivo; si è solo riconosciuto che si possiede una provvista di libido insoddisfatta" (Freud, 1960).

Ma ben presto anche lo psicologismo dell’associazione Adleriana gli va stretto e si trova allontanato (egli parlerà di "esodo") anche da quel gruppo.

Nel 1930 si laurea in medicina. Frattanto riesce a fondare vari "Centri di Consulenza" per la gioventù che presentava sempre più crisi di disadattamento in quel periodo di grande depressione economica: disoccupazione, fughe da casa, suicidi, ecc.

Ma nel 1936 si specializza in Neurologia e Psichiatria e nel 1937 riesce ad aprire un suo ambulatorio privato, oltre che lavorare in un Ospedale Psichiatrico di Vienna.

Dopo alcuni anni di proficuo lavoro inizia per Viktor Frankl l’"Experimentum crucis", egli chiama così la prova estrema cui viene sottoposto. Nel 1938 i nazisti invadono l’Austria e iniziano le persecuzioni razziali; nel 1942 egli ha sposato Tilly, pure ebrea, sperando, come medico d’ospedale, di sfuggire alla terribile sorte dei più.

Una prima scelta, carica di conflittualità morale, s’impone a Frankl: mettersi in salvo, come insistono i vecchi genitori, oppure restare, per assisterli. Ottiene un visto per gli Stati Uniti, ma col lasciapassare in mano non riesce a decidersi. Una sera esce di casa e va in cattedrale, vi rimane a lungo, assorto in preghiera.

Al ritorno a casa, vede sopra la radio un pezzo di marmo che il padre ha raccolto tra le rovine della sinagoga distrutta. Porta scolpita la prima lettera del IV Comandamento (onora il padre e la madre).

Frankl lascia scadere il suo visto, interpretando l’episodio come una risposta al suo problema.

Un altro dilemma Frankl risolve, a suo modo, per sua moglie Tilly il giorno della cattura (novembre 1942): l’unicità della situazione gli pare richieda la scelta di scioglierla dalla fedeltà coniugale: "Rimani in vita a tutti i costi. Fai qualsiasi cosa pur di sopravvivere" sono le ultime parole che le dice.

A questo primato di fedeltà alla vita è da collegare anche la decisione del primo giorno di lager: non sarebbe mai corso al filo spinato (come facevano alcuni per farla finita).

"Quando la vita diventa sofferenza, sopravvivere è trovare un senso a questa sofferenza" scriverà più tardi.

Tra i motivi che lo tengono in vita c’è l’amore per la moglie, la missione di medico e psicoterapeuta fra i compagni di sventura e la speranza di ricomporre il manoscritto confiscatogli dalle SS (l’aveva cucito nell’orlo del cappotto), che racchiudeva le scoperte e le riflessioni di quei primi anni di professione sulla logoterapia.

Dal campo di Theresienstadt a quello di Auschwitz per due anni e mezzo affronta l’esperienza del sopravvivere, accettando le sfide momento per momento. Rischia di morire mille volte, forse l’ultima, la più grave, è proprio nei giorni della liberazione, colpito dal tifo e ridotto a 36 kg. di peso: nel delirio della febbre notturna riesce a scrivere su dei pezzi di carta alcuni tratti della ristesura della sua opera.

Tornato a Vienna, unico sopravvissuto della sua famiglia (con una sorella emigrata a suo tempo in Australia) non accetterà mai il concetto di "colpa collettiva", ma, fedele alla sua filosofia, farà sempre risalire alla responsabilità individuale qualsiasi operato: aveva constatato che certi Kapos, quanto a disumanità e comportamento selvaggio, erano stati peggio delle SS tedesche.

Altre conferme alla sua visione dell’uomo gli erano venute dal lager: per esempio, che anche in quella situazione di assoluta deprivazione di tutto, l’uomo poteva mantenere un suo margine di libertà, poteva ancora decidere come portare quella sventura. C’era un disperato regredire a forme di ferocia inusitata, sottraendo il pane ai compagni o rubando gli indumenti e gli stivali ai moribondi. E chi invece trovava ancora la forza di assistere gli altri o sostituirsi ai compagni nelle situazioni più disagiate (cfr. l’eroismo di Massimiliano Kolbe che si sostituisce a un condannato a morte). C’era chi, per sopravvivere, barattava una sigaretta in cambio del pane; e chi si fumava l’ultima sigaretta per poi lasciarsi morire di inedia...

Per capire adeguatamente l’esperienza di Viktor Frankl del campo di concentramento si può leggere il suo "Uno psicologo nei Lager" (Ares, Milano, 1967): racconto toccante non solo di una pagina di storia, ma del percorso dell’Autore, dall’annullamento totale del lager verso una pienezza significativa, grazie a una fede incrollabile in un senso, comunque, dell’esistenza umana. Quando la vita è ridotta ai minimi termini e tutto appare ormai perduto, rimane ancora una libertà fondamentale: quella di scegliere con quale atteggiamento affrontare il proprio destino. Tale scelta forse non cambia il destino, ma certamente la persona.

Ecco allora, alcune acquisizioni, intraviste prima e maturate poi,attraverso la prova dell’olocausto:

  • ogni realtà ha un senso;
  • la vita non cessa mai d’aver un senso, per nessuno;
  • il "senso" è una cosa molto specifica e cambia da individuo a individuo e, per ogni individuo, da momento a momento;
  • ogni individuo è unico, irripetibile , insostituibile e ogni vita contiene compiti e incarichi unici che vanno scoperti ,e a cui si deve rispondere;
  • è la ricerca dei propri incarichi , e la risposta che si dà loro, che crea un senso;
  • la felicità, l’appagamento , la pace della coscienza, sono il risultato di questa ricerca (non il fine, e quindi non quello che va cercato primariamente);
  • il senso di vuoto e di inutilità è inevitabile se non si trascende se stessi, se non ci si consacra a qualcosa (creatività) o a qualcuno (amore);
  • la sorte avversa non ci impedisce di affrontare il dolore come una prova, un compito, e una sfida : l’atteggiamento dipende da noi.

Spesso Frankl si rifà al Vecchio Testamento e agli antichi autori ebrei: c’è un passo del maestro ebreo Hillel (contemporaneo di Gesù) che lo ha molto influenzato. Dice questo maestro ai suoi discepoli:

"Se non lo faccio io, chi lo farà?

Se non lo faccio ora, quando sarà il momento di farlo?

E se lo faccio per me, chi sono?"

E’ in queste tre domande l’essenza della logoterapia (o analisi esistenziale) elaborata successivamente da Frankl:

la prima dice: io sono insostituibile, unico, non posso delegare (se io non sarò me stesso, chi lo sarà per me? ) ; la seconda: ogni momento è irripetibile, poi passa, è perduto,per sempre, non c’è più; la terza: se faccio una cosa solo per me, tradisco la mia natura umana che è fatta per trascendersi, andare oltre.

"La vita non è qualcosa, ma l’occasione per far qualcosa"

(Frederich Hebbel, poeta tedesco)

Schematicamente, ecco il massimo di responsabilizzazione e di impegno per la vita:

 

Chi, se non io?

 

Dove, se non qui?

 

Quando, se non adesso?

 

Per chi, se non per altro? Per un amore, per un opera, per Dio, per una causa, per un senso fuori di me...

Ecco gli interrogativi di base che ogni persona ha da porsi per mettersi autenticamente alla ricerca di un significato della vita.

Sintetizzando la teoria frankliana, sottolineamo alcuni concetti (Fizzotti, 1974).

L’uomo è una unità, un tutto psico-fisico-spirituale: un essere caratterizzato dalla singolarità, dalla irripetibilità, dalla relazionalità, dalla finitudine. Ma l’essenza di questa esistenza umana si trova nel proprio autotrascendimento: essere uomo vuol dire essere sempre rivolto verso qualcosa o verso qualcuno. L’uomo si protende all’esterno ed effettivamente oltrepassa se stesso e raggiunge il mondo, un mondo cioè denso di esseri da incontrare e di significati da realizzare. L’esistenza umana non è autentica se non è vista in termini di autotrascendenza. Questo aspetto specifico dell’uomo è il perno dei tre pilastri della visione antropologica tridimensionale di Frankl: la libertà della volontà, la volontà di significato e il significato della vita. Questi tre pilastri considerano l’uomo nella dimensione fisico-psichico-spirituale.

Infatti:

  • l’uomo è soggetto a condizionamenti, siano questi biologici, psicologici o sociologici. Frankl, però, proclama la libertà come una qualità esclusivamente umana, la quale permette di superare ogni limite biologico, psicologico o ambientale. L’uomo per effetto di questa libertà può distanziarsi da qualunque situazione e anche da sé; egli è capace di scegliere il suo atteggiamento verso se stesso perché capace di sollevarsi al di sopra di ogni fenomeno condizionante. L’uomo per la sua libertà della volontà è "libero da ...", il che lo rende capace di autodistanziamento;
  • questa libertà, secondo Frankl, va legata intimamente alla responsabilità; infatti l’uomo è libero da... e allo stesso tempo è "libero per...", poiché l’uomo è responsabile nei riguardi della realizzazione dei valori. Ecco perché la volontà di significato è concepita come una "tensione radicale dell’uomo a trovare e realizzare un significato e uno scopo" ;
  • Frankl è convinto che c’è sempre un significato della vita alla cui ricerca va l’uomo. Sta nel potere dell’uomo intraprendere la realizzazione o meno di un tale significato. L’uomo è responsabile nel dare la giusta risposta ad una domanda, nel trovare il giusto significato di una situazione. Ecco che la coscienza è la grande guida, la guida più adatta per il comportamento dell’uomo: essa infatti è la capacità intuitiva che scopre il significato unico e singolare nascosto in ogni situazione. In una parola ,essa è organo di significato. Attraverso la coscienza ("coscienza di ...") la vita dell’uomo diventa compito e "quanto più l’uomo sentirà la sua vita come compito, tanto più essa gli apparirà significativa. Chi non è consapevole di questo dovere, accetta la vita come puro e semplice fatto; chi lo conosce,invece, l’assume come consegna". 

 Bibliografia

Fabry Joseph, "The pursuit of meaning", 1968.

trad. "Introduzione alla logoterapia, Astrolabio, Roma, 1970

Fizzotti Eugenio, "La logoterapia di Frankl"

Un antidoto alla disumanizzazione psicoanalitica

Rizzoli, Milano, 1974

Lucas Elisabeth, "Dare un senso alla vita"

Logoterapia e vuoto esistenziale, Cittadella Ed., Assisi 1983

"La sofferenza di una vita senza significato"

Atti del II° Congresso internazionale del CISSPAT, Ed. CISSPAT, Padova, 1978

Frankl Viktor E., "Psicoterapia nella pratica medica", Giunti-Barbera, Firenze, 1974

"Logoterapia e analisi esistenziale", Morcelliana, Brescia, 1977

"Teoria e terapia delle nevrosi", Morcelliana, Brescia, 1978

"Fondamenti e applicazioni della logoterapia, SEI, Torino, 1977

"Alla ricerca di un significato della vita", Mursia, Milano, 1980

"La sofferenza di una vita senza senso", LDC, Torino, 1982

"Uno psicologo nei Lager", Ares, Milano, 1982

"Psicoterapia per tutti", Edizioni Paoline, Roma, 1985

"La vita come compito", Appunti autobiografici, S.E.I., Torino, 1997

Giussani Luigi, "Il senso religioso", Rizzoli, Milano, 1997

 

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