La Storia delle Corti

La storia dela presenza umana nei territori dell'Appennino Orientale Parmense comincia nel Paleolitico inferiore, circa 130.000 anni fa.
Ma è solamente con l'avvento della popolazione di origine celtica dei Ligures, attorno al 300 a.c. che l'Appennino viene colonizzato fin nei suoi territori più elevati; questo popolo antenato dei nostri montanari, ha saputo reistere a lungo alla conquista romana, completata solo nel primo secolo avanti Cristo.
L'origine di molti nomi di località e di elementi geografici, testimoniano come i Romani si fossero spinti fin qui per stabilizzare le loro conquiste con la costruzione di presidi militari in zone di confine.

Con la caduta dell'Impero romano e la venuta dei barbari non fu risparmiato nemmeno il nostro territorio.
I Longobardi pian piano dislocarono presidi militari anche in questa parte di Appennino, attraverso il sistema politico-militare delle "arimannie".

Ma è intorno all'anno Mille che troviamo la "Storia delle Corti".
In questo periodo ci furono molte donazioni alla Chiesa, la nostra valle venne quindi a trovarsi sotto la giurisdizione del Vescovo di Parma.

Le "Corti", da cui il nome attuale, erano formate da 14 villaggi.
Il centro più importante era Monchio. Qui risiedeva il "Podestà", che governava per conto del Vescovo. Era aiutato per l'ordine pubblico da uno "sbirro" e, in ogni corte, da un Campanaro, custode dei campi e dei pascoli.
Gli abitanti eleggevano ogni anno, per ogni Corte, il Console ed un numero di Consiglieri variabile da uno a tre.
L'insediamento dei Consoli avveniva il secondo giorno della Pasqua.
I vecchi Consoli, riuniti nel palazzo del Podestà, davanti a lui, gli davano l'elenco dei nuovi eletti, i quali, dopo il giuramento, venivano invitati ad una colazione offerta dal Podestà.

Essendo le Corti proprietà feudale del Vescovo, non ci dovevano essere soldati, perciò la difesa dagli invasori era curata dagli arcipreti, con il crocefisso come arma.
Fu proprio grazie a quest' "arma" religiosa e alla fierezza dei Cortesani, così gelosi della propria autonomia (pochi tributi, pochi fastidi e soprattutto contrabbando sicuro con le terre vicine), che un corpo di soldati, mandato all'inizio del XVIII sec. dal Duca Francesco Farnese, fu costretto a ritornare sui suoi passi.

Ma le insidie non finirono qui: rafforzatasi l'autorità centrale del Ducato, con la regolarizzazione delle dogane e delle leggi, la popolazione delle Corti veniva danneggiata anche se provvista di tutti i crismi della Chiesa.
Ci fu un tentativo di soluzione concordata tra il Duca e il Vescovo, ma la popolazione mandò una delegazione a Roma dal Pontefice il quale, colpito dal calore delle argomentazioni, stabilì di mandare a Monchio per una inchiesta l'Arcivescovo di Bologna.
L'esito positivo di questa vicenda per gli abitanti delle Corti, ispirò l'estro poetico di uno di essi: don Lorenzo Guatteri, che scrisse un poemetto in latino sulla vicenda, intitolato "Cuculo di montagna".
Eccovene un brano:

"aspra regione son le Corti, avvolta
quasi in perpetuo dal furor dei venti
ospizio di procelle e nevi. Quivi
l'inverno boreal metà dell'anno
rivendica per sè; maligno infuria
con ampi soffi e con spietati dardi"

Fu costretto a desistere anche il famoso ministro francese Du Tillot, che al servizio dei Borboni inviò nel 1767 dei soldati, nel tentativo di eliminare questa ecclesiastica vestigia feudale.

Solo con l'abolizione di ogni traccia feudale, voluta da Napoleone nel 1805, le Corti ebbero fine.
Ma ancora oggi i quattordici borghi sembrano volerci ricordare con orgoglio le pagine della loro storia.

Nel periodo 1816-1859, i Duchi di Parma possiedono anche le Corti. Particolarmente amata dai monchiesi fu Maria Luigia, che finanziò la ricostruzione di Rigoso e Aneta dopo un incendio, e che fece anche ricostruire il ponte vicino al Muncipio.

Il 31 luglio 1859, gli anziani di Monchio prestarono giuramento in favore di Vittorio Emanuele II.




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