Posto all’estremo meridione della Sardegna, il Territorio del Comune di Teulada è uno dei più vasti dell’Isola: ben 23.967 ettari, che a S e SO trovano i propri confini naturali col mare, a O e NO col Sulcis, a E con il territorio del comune di Pula, e a SE con quello di Domus de Maria.

Prima di passare alle vicende paesane che dalla Preistoria si sono succedute fino ai nostri giorni lasciando non poche tracce, ci sembra doveroso accennare brevemente alla geomorfologia del territorio di Teulada.

I terreni teuladini sono tra i più antichi  dell’isola: risalgono infatti al Paleozoico e, precisamente, al Cambrico Medio o Acadiano e sono litologicamente costituiti, dal basso in alto, da scisti arenaci, da calcari o dolomie, da calcecisti argillosi e micacei.

Questi terreni sono stati sottoposti in tempi relativamente più recenti (nel terziario) ad intensi movimenti di frattura, segnalati dalle creste di porfido, granito e quarzo che si insinuano tra gli scisti Paleozoici: movimenti di frattura “a maglia” che avrebbero causato lo sprofondamento della Sardegna Sud Occidentale.

Per chi, da Cagliari, si immettesse nella statale 195, una volta superato il paese di Domus de Maria,e dopo il valico Nuraxi de Mesu (quota 301 m s.l.m.), si presenta lo spettacolo dell’ampia vallata sulla quale si distende il paese di Teulada.

Il paesaggio è vario: sulla desta si stagliano i graniti che culminano con il Monte Maria, a sinistra dominano le arenarie accedine sulla quale è incisa la valle di Teulada. Il paese fu edificato per gran parte sulle alluvioni del Rio Launaxiu.

Questo corso d’acqua prosegue poi verso SO e all’altezza di Sant’Isidoro curva verso S per immettersi nel mare del Porto di Teulada dopo aver formato, con le sue alluvioni, la “Tuerra”.

Tuerra, lo stagno e il Porto sono incisi tra i graniti di Monte Idu a O, e le arenarie cambriche a Oriente,che si prolungano per tutta la costa fino alla pianura di Chia, già oltre il territorio di Teulada. Dopo Capo Malfatano predominano comunque i graniti.

All’interno, appena usciti dal paese, vi sono le formazioni calcareo dolomitiche del M. Calcinaio e di Punta Sardoru.

Il calcare riaffiora poi nel M. sa Palma, poco dopo il bivio per il porto, e ancora lo si ritrova nel M. Lapanu, Punta de Su Portu, Porto Scudo ed infine nel Capo Teulada.

Calcare – si sa – è come dire carsismo, ed uno dei fenomeni più studiato nell’ambito di quest’ultimo è quello delle formazioni speleologiche.Attualmente si conoscono per il territorio di Teulada circa 25 grotte, per la maggior parte poco sviluppate in lunghezza e in profondità data la scarsa potenza del calcare. Sono tutte grotte che, per quanto entrate nella maggior parte nella loro fase senile (ricordiamo che la loro formazione risale al cambrico superiore) si presentano ricche di vita: si conoscono, infatti, varie specie di insetti e diversi tipi di muffa che provengono da esse.

Noi ne prenderemo in considerazione una in particolare, e precisamente, la grotta del m. sa Cona.Appena ad un chilometro a SO dal paese, vicinissima alla strada che conduce al porto, la grotta è difficile da trovare per chi non ne conoscesse la precisa ubicazione, in quanto il suo ingresso è talmente ridotto da permettere appena l’entrata di una persona. Una volta entrati, si procede a fatica per una decina di metri e, sulla destra, si apre un piccolo anfratto che fu sfruttato in età nuragica come luogo di sepoltura.

Nello stretto e basso corridoio che funge da ingresso, tra la terra nerastra del pavimento, biancheggiano numerosi resti di ossa lunghe e di cranio umani accompagnati da ceramiche d’impasto nuragiche che una volta fungevano da corredo funerario.

Procedendo ancora verso l’interno, il soffitto si rialza notevolmente, tanto da permettere una posizione meno scomoda al visitatore, fino a sollevarsi oltre i 3 metri, e si complica pure la stesura della grotta con ramificazioni laterali che almeno nel primo tratto sono sempre interessate da deposizioni di età nuragica.

Una decina di metri più in alto si trova l’imboccatura di un’altra cavità, già sfruttata nell’ultima guerra per costruirvi un fortino, che ha restituito materiali riconducibili ad orizzonti della cultura prenuragica di Bonnannaro.

Fino a questo momento è l’unica segnalazione che abbiamo  riguardo al Prenuragico. La mancanza di altri dati sulle culture prenuragiche nel territorio di Teulada – del resto variamente e riccamente distribuite in tutta l’isola – va attribuita alle lacune della ricerca scientifica, tanto più gravi quando si pensa all’azione molto più spedita e sicuramente dannosa dei “cercatori di tesori”.

D’altro canto, che l’habitat teuladino fosse congeniale all’insediamento umano preistorico è dimostrato dalla congrua presenza di numerosi nuraghi nel territorio. Un calcolo sulla densità ci da una cifra compresa tra 0.1 e 0.35 per Kmq. E’ una cifra che, per quanto approssimativa, ci può dare alcune utili informazioni. Si può dire che si tratta di una densità media; infatti, abbiamo cifre molto più alte per la Sardegna centrooccidentale. Ma la densità è notevole se la si considera con i dati che abbiamo per le restanti regioni della Sardegna meridionale.

La disposizione delle torri nuragiche – essendo queste torri di difesa – segue la morfologia del territorio ed è chiaramente volta a proteggere le vie naturali di penetrazione verso l’interno.

Così, sembra di vedere una catena difensiva che corre poco più a O dell’attuale confine orientale del comune, volta a difendere la vallata che dal valico di Nuraxi de Mesu porta all’attuale paese. Simile è il sistema difensivo occidentale a difesa delle vie di penetrazione dal Sulcis.

Così è altrettanto interessante la disposizione dei nuraghi che stanno a N del Porto di  Teulada e che proteggono la via che, seguendo il corso del Rio Launaxiu, porta verso l’interno. Tra questi, doveva avere una funzione di avamposto il nuraghe S. Isidoro, ormai quasi completamente distrutto: un nuraghe complesso costruito con tecnica veramente “ciclopica”.

Già sul finire dell’Età del Bronzo (XII sec. a.C.) le coste sudoccidentali della Sardegna vedono approdare naviganti provenienti dalle coste orientali del Mediterraneo e diretti verso le coste dell’Iberia e della Francia alla ricerca di metalli. Sono infatti relative a questo periodo le ceramiche micenee ritrovate presso il nuraghe Antigori a Sarrok.

Nei primi secoli dell’Età del Ferro, intorno al IX – VIII sec. a.C., le coste sarde sono costellate di insediamenti Fenici che da scali stagionali vanno trasformandosi in veri e propri centri stanziali urbani. Nascono così Nora, e forse più tardi, Bithia.

Ad ovest di Bithia è un pullulare di insediamenti di probabile origine fenicia o quantomeno costruiti dai Punici che dopo le campagne militari condotte dai Magonidi sul finire del VI sec. a.C. conquistarono gran parte della Sardegna.

Così, nella regione di Malfatano – già identificato dal Lamarmora come il “Portus Herculis” degli antichi – sono state trovate le tracce di un centro abitato suddiviso nelle sue due parti essenziali: una zona commerciale col porto (da identificare con l’insenatura occidentale) e i ruderi di un tempio; una zona sacra (il “tophet”) che, ripetendo la stessa situazione verificata per Bithia nell’isola di Su Cardulinu, fu costruito nella prospiciente isola di Tuerredda.

Più a O sono state ritrovate, in località Piscinnì, delle cave puniche per l’estrazione di materiale da costruzione.

Altre rovine sono state localizzate a S. Isidoro pertinenti ad un abitato fenicio – punico. In questa località, ricca di testimonianze che vanno dal periodo nuragico fino a quello pisano, alcuni vi hanno voluto riconoscere il sito dell’antica Tegulae.

Le tracce della civiltà punica proseguono ancora nel Capo Teulada (antico “Chersonesus”) e nella regione di Zafferano.

Nei pressi della torre di Porto Scudo sono appena evidenti i resti di una fortezza punica costruita con grossi blocchi, in posizione dominante rispetto al porto ed alla piana di Zafferano. Per questa fortezza è stata proposta una datazione intorno al VI sec. a.C.

Meno ricca di testimonianza di età punica è la piana di Ballestreris poco a N di Zafferano.

Dell’epoca romana non restano, purtroppo, che testimonianze assai scarse:sono quasi inesistenti, infatti, le opere edilizie di una certa importanza (resti di strade e acquedotti). Se si fa eccezione per la già citata fortezza in località S. Isidoro, abbiamo resti di mura presso Rocca Corti, rovine presso “Antigori” e resti di edifici vicino a Chia. Ci sono rimaste, invece, diverse monete di vari imperatori: Massimino, Marco Aurelio e Teodosio; una fibula gernierata a becco; alcune tonbe presso la vetta dell’altura di S. Isidoro e in località Zafferano.

Tegola doveva comunque essere compresa come tappa nella strada che si snodava lungo la costa occidentale e di cui erano altre tappe: Chia, Nora e Sulci. Tuttavia, dove passasse precisamente la strada non ci è dato sapere; né in agro di Teulada, per ora, è stato trovato alcun miliario.

Del resto, si sa per certo che il centro che oggi si chiama Teulada e che nel corso della storia spesso ha cambiato nome, ha mutato molte volte anche sito. Ricostruire gli spostamenti urbani nel tempo sarebbe compito di intense campagne di scavo, che finora non hanno potuto aver luogo soprattutto per problemi di natura economica, ma anche militare, essendo una vasta zona del comune teuladino – soprattutto costiera – in regime di servitù militare.

Sappiamo comunque che il centro di Tegula nel Medio Evo fu abbandonato a causa delle incursioni saracene. I suoi abitanti preferirono ritirarsi nell’interno, in un luogo più sicuro, nel territori di S. Isidoro, alle pendici di un sistema montuoso boscoso e fertile.

Nel ricordo comune rimane solo un nome, legato al non lontano promontorio, nome che venne nel tempo e col mutare della lingua cambiato in Tarlai, Talaro, Taular, Tablada, Teglada e infine Teulada, dal nuovo centro abitato.

In periodo giudicale la villa di Teulada fece parte del giudicato o regno di Cagliari, e fu compresa nella curatoria di Solci o Sucis. Il suo territori – allora – aveva un’estensione pari a 321.260 starelli sardi ed un perimetro di notevole lunghezza, misurato in 27.343 trabucchi (il trabucco sardo corrisponde a m 3.15).

Nel 1257 – 58 lo stato cagliaritano fu abbattuto con la forza da una coalizione sardo – pisana e smembrato in tre parti: la parte orientale (Ogliasta, Quirra, Sarrabus, Colostri e, forse, la Barbagia di Seulo con almeno 3/4 del Campidano) fu incamerata dal giudicato di Gallura; la parte centrale (Gippi, Nuraminis, Trexenta, Dolia e forse, la Barbagia di Seulo e Siurgus) fu unita al giudicato di Arborea; la parte occidentale (Cixerri, Sulci, Nora e Decimo) divenne proprietà privata dei Donoratico della Gherardesca, cittadini pisani che assunsero il titolo di “Signori della terza parte del Cagliaritano”.

Nel 1282, dopo la morte del vecchio Gherardo, il territorio dei Donoratico venne così ridiviso: Ugolino si tenne il ricco Sigerro (oggi Cixerri), mentre il vasto ma desolato Sulcis, con Nora e Decimo, andò al figlio di Gherardo, Bonifazio. I discendenti di questi due rami, divennero, così, “Signori della sesta parte del Cagliaritano”.

Dopo la battaglia della Meloria (1284) e i torbidi pisani ad essa succeduti, Ugolino fu rinchiuso nella “torre della fame” dove morì alla fine del 1288 o ai primi del 1289. Il Cixerri passò quindi nelle mani del Comune di Pisa che già possedeva Castel di Castro (attuale Cagliari) con le appendici di Stampace, Villanova e Lapola, e l’immediato entroterra. Possedimenti ben presto perduti dai Toscani nel 1324, dopo l’assedio aragonese di Iglesias, malgrado i tardivi rinforzi di 32 galee inviate da Pisa.

Come si sa, il 4 aprile 1297 il papa Bonifacio VIII per risolvere l’intricato problema della Guerra del Vespro e per far cessare le secolari lotte fra Pisa e Genova creò un regno nominale di Sardegna e Corsica (“regnum Sardiniae et Corsicae”) e lo infeudò, per ragioni politiche ormai note, al catalano Giacomo II il Giusto, re della Corona d’Aragona (vedi F:C: CASULA, Profilo storico della Sardegna catalano-aragonese, Cagliari 1982).

Si trattava, in pratica, di una licentia invadendi guelfa rivolta solo contro i territori sardo – pisani; e cioè: l’ex giudicato di Gallura che da qualche decennio era in mano al Comune Toscano.

Giacomo II, dopo ventisei anni di preparativi diplomatici affidò l’impresa militare al figlio primogenito Alfonso, il quale sbarcò in Sardegna, a Palma di Sulcis, con una potente armata il 13 giugno 1323 e pose l’assedio a Villa di Chiesa (Iglesias).

Una volta assicuratosi della resa totale di Villa di Chiesa (7 febbraio 1324), Alfonso si diresse verso Cagliari che venne presto assediata. Le navi pisane accorse in aiuto della rocca si radunarono e si nascosero nel golfo di Teulada, pronte a dar manforte agli assediati; ma poi alla vista dei legni catalano – aragonesi, non accettarono battaglia e preferirono ritirarsi. Pisa lasciò definitivamente i suoi territori oltremarini sardi il 9 giugno 1326.

Per circa trent’anni comunque le antiche curatorie Sulcis, Nora e Decimo rimasero sotto la giurisdizione feudale dei conti di Donoratico, fino a quando il giovane Gherardo della Gherardesca rimase coinvolto nel dissidio tra il regno di Arborea, i Doria e la Corona d’Aragona, causato dalla difficile coesistenza nell’isola delle entità statuali menzionate.

Durante l’assedio aragonese di Alghero, nel 1354, Gherardo venne catturato proprio a Decimo da Pietro de Atzeni, capitano arborense, e condotto prigioniero ad Oristano dove venne convinto dal giudice Mariano IV de Bas-Serra alla sua causa nazionalista. Liberato nei primi mesi del 1355 morì subito dopo, ed i suoi beni furono confiscati da Pietro IV d’Aragona, detto il Cerimonioso.

Quando il 10 marzo 1355 Pietro IV il Cerimonioso convocò a Castel di Castro il Primo Parlamento del regno di Sardegna e Corsica, Tegula (o Teulada) vi mandò i propri rappresentanti come segno della sua ininterrotta importanza. Risale a quello stesso anno il primo documento che ricorda Teulada nella variante Teulaì: è il documento del 19 novembre 1355 di Olfo da Procida, governatore aragonese di Cagliari, che nomina Antioco Desi, “de villa de Teulaì”, esattore di derrate.

Sempre in quell’anno la villa fu concessa in feudo dal re al catalano Bartolomeo Ces Pujades. Poi, di essa non si sa quasi più nulla perché nel 1364 la Sardegna ripiombò in un clima di guerra generale che terminò, in pratica, il 29 marzo 1410 con la sconfitta del giudicato d’Arborea e dei Sardi nazionalisti, e, per questo, molti paesi si spopolarono e scomparvero senza lasciare ricordo di se negli archivi.

Inoltre, nella seconda metà del secolo XV erano ripresi sulle coste sarde gli attacchi dei pirati barbareschi dell’Africa (che non si ripetevano da quasi mezzo millennio), ed il litorale dell’antica villa di Teulaì ne soffrì in modo particolare. Infatti nella “Chorographia” di G:F: Fara, scritta attorno al 1570, risulta che Teulaì in quel tempo è già villa distrutta, ed è localizzata presso la confluenza del fiume che viene dal Sulcis (“Sa Stoia”) e quello che viene dal territorio di S. Ambrosu (“Leonaxiu”). Questa confluenza avviene presso S. Isidoro.

Si ritiene che la chiesa di S. Isidoro sia stata la sede parrocchiale dell’antico villaggio abbandonato a causa delle continue incursioni barbaresche e ricostruito in una posizione più interna e sicura, con l’attuale nome di Teulada, in un periodo imprecisato ma in piena era spagnola iniziata con l’unione dei regni d’Aragona e di Pastiglia nel 1479.

Ancora verso il 1580, come scrive il Fara,tutta la regione era tristemente deserta. Sappiamo tuttavia che la flotta di Carlo V (o I di Spagna), composta da 400 navi da guerra – di cui 300 erano a vela e 100 a remi – ed altre 200 da carico, comandata dall’ammiraglio genovese Andrea Doria si radunò proprio di fronte a Malfatano prima di partire per l’Africa del Nord, per combattere la pirateria. Le spedizioni che il sovrano fece nel 1535 e nel 1541 contro i Saraceni di Tunisi e di Algeri non sortirono risultati importanti, perché nel tempo continuiamo a trovare notizie di incursioni barbaresche sulle coste sarde. Nel settembre 1606, ad es., alcune località della costa meridionale (Pula, Teulada, etc.) vennero attaccate da brigantini pirati e saccheggiate.

Nel 1626 venne assalita presso Capo Spartivento la nave che portava in Sardegna il visitatore generale del Regno, Martin Carrillo, e si riuscì ad evitare la sua cattura per l’intervento dell’artiglieria delle torri costiere.

Le navi barbaresche, nei primi mesi del 1615, depredarono le soste di Capo Pula e delle isole di S. Antioco e S. Pietro nascondendosi, fra un’incursione e l’altra, nelle piccole insenature ed in alcune grotte marine della costa.

Da altre fonti sappiamo che nel 1513 il territorio era sotto la giurisdizione del barone Franceschino Rosso, e che, dopo la sua morte, non avendo lasciato eredi, i diritti feudali ritornarono alla Corona spagnola.

All’inizio del sec. XVII il feudo fu messo in vendita e quindi acquistato dal barone Pietro Porta con atto dell’8 marzo 1603, dietro versamento di 3000 lire sarde (ne fa fede l’atto conservato nell’Archivio di Stato di Cagliari). Costui era un mercante cagliaritano intraprendente ed attivissimo. All’intuito ed all’innato senso degli affari univa spirito d’iniziativa e qualità organizzative non comuni. A lui si devono sistemi di pesca e di sfruttamento che dettero lavoro e condizioni di vita migliori agli abitanti della zona. Avendo scoperto il passaggio dei tonni, avendo fatto costruire delle tonnare che contribuirono in larga misura all’economia di Teulada. Inoltre, egli è ricordato per aver ottenuto dal re l’autorizzazione a costruire le torri di “Piscinnì”, Porto Budello” e “Porto Scudo”.

Privo di eredi maschi, il 3 ottobre 1620 il barone cedette i diritti della villa alla figlia donna Caterina, la quale gli portò in dote a Salvatore Sanna al momento del matrimonio (4/2/1621).

Intanto, il territorio, nonostante Pietro Porta avesse animato le coste col fervore delle sue attività, rimaneva spopolato. Ad allontanare la popolazione  era ancora una volta il timore delle incursioni saracene, che la costruzione delle torri non era valso completamente a fugare. Proprio per questo Salvatore Sanna chiese ed otenne dal re Filippo IV che tutti coloro che andavano a popolare il centro per un anno, e che avevano contratto un debito superiore alle 300 libbre sarde, non venissero perseguiti.

In “funtana Crobeta”, rione omonimo del villaggio, esiste ancora oggi una fonte custodita in un’edicola con volta a botte. Sul frontone è scolpita una data mutila, leggibile fino a qualche decennio fa: 163…: Teulada, dunque, al più tardi nel 1639 esisteva già in quel sito.

Alla morte di Salvatore Sanna il feudo passò al figlio Agostino (con sentenza del 23 giugno 1646); dopo di lui cambiò di proprietà. Dai documento che ci rimangono non sappiamo se Agostino Sanna sia morto senza lasciare eredi oppure se abbia contratto qualche grosso debito che l’abbia costretto a vendere i suoi beni. Questo perché, di sicuro, si sa che il 3 novembre 16667 il feudo fu posto all’incanto dal viceré, marchese di Camarassa.

Il 7 luglio 1688 fu acquistato da don Antonio Catalan dietro versamento di 26.250 lire cagliaritane. Quest’ultimo si prodigò per migliorare le condizioni di vita nel suo feudo, fondando anche una nuova villa denominata “Su Benatzu” che successivamente andò popolandosi.

Non sappiamo descrivere ampiamente il suo dominio per mancanza di fonti; si sa, comunque, che nel 1669 il barone subì una condanna per essersi fregiato del titolo e del feudo senza aver pagato il laudizio di 2000 scudi sardi. Si rifiutava di pagare tale somma in quanto – diceva – egli l’aveva acquistato ad una pubblica asta e, come tale, non doveva essere soggetto ad alcun carico. I documenti relativi a questa causa sono conservati presso l’Archivio di Stato di Cagliari.

In seguito alla donazione avvenuta il 5/6/1683, il figlio don Serafino Catalan prese possesso della baronia il 27/2/1696.

Serafino Catalan ebbe due mogli – la prima, Paola de Cutis e, la seconda Atonia Asquer – dalle quali ebbe sei figlie: due dalla prima e quattro dalla seconda. Il 17 gennaio 1719 fece testamento a favore delle figlie e dei figli nascituri. Poco dopo infatti, nacque un figlio maschio, al quale vvenne dato il nome di Antonio Giuseppe (lo testimonia l’atto di battesimo stilato ad Iglesias il 15/7/1719).

Costui divenne il nuovo barone.

Don Antonio Giuseppe morì senza eredi, e, nel suo testamento del  7 luglio 1736 lasciò in eredità la baronia alla sorella Maria Grazia. Si era già da sedici anni in epoca piemontese.

Il nuovo Procuratore fiscale non riconobbe questa successione e intese revocare il feudo in nome del sovrano Carlo Emanuele II di Savoia. Nell’affare si ebbe l’intervento diretto dello stesso re di Sardegna che prese posizione a favore di Maria Grazia lasciandole il feudo. Così, la baronia potè passare per via matrimoniale a don Gian Battista Sanjust.

Riguardo alla gestione, le notizie sul feudo sono scarse. Sappiamo, comunque, che i baroni col diritto di imporre e riscuotere tasse del territorio loro affidato disponevano di grandi risorse ed avevano, inoltre, una grande autorità. Infatti, in virtù dei patti feudali il re non poteva emanare leggi nei territori infeudati ne poteva impartire ordini diretti ai feudatari ed ai loro vassalli. In caso di guerra, però, il barone doveva scendere in campo con le sue truppe e combattere al fianco del sovrano.

Erede di Gian Battista Sanjust fu il figlio Francesco. Alla sua morte, avvenuta il 5 luglio 1810, il figlio Enrico divenne possessore di tutti i suoi beni. In armonia con le regole testamentarie del padre egli versò annualmente la somma di 25 scudi sardi per festeggiare la Madonna del Carmine; inoltre, pagò la solita “limosina” ai sacerdoti per celebrare le messe cantate e le processioni.

Ultimo rampollo della casata fu il barone Carlo Sanjust.

Costui per difendere gli abitanti del suo feudo dalle incursioni barbaresche, fece costruire una fortezza all’imboccatura della valle e sulla strada che dal mare conduce al paese, in grado, se non proprio di far retrocedere il nemico, di preavvisare i Teuladini dell’imminente pericolo.

Per iniziativa di Carlo Sanjust, inoltre, fu costruito il nuovo cimitero sull’area che egli stesso aveva donato; fu abbellita la chiesa parrocchiale e, in seguito a violente pressioni popolari, fu edificato un ponte per unire le sponde del torrente che attraversava il paese. Fu anche istituita la prima scuola elementare e furono realizzate numerose altre opere sociali. Nel 1839 il regime dei feudi fu abolito da Carlo Alberto e sostituito con i Consigli Comunicativi.

La nostra ricerca finisce qui. La storia di Teulada, da allora in poi, appartiene alla storia di oggi, ed è una storia che meglio di noi potranno raccontare i Teuladini che l’hanno vissuta e la vivono nel ricordo del passato.