La filosofia è giudice di un'epoca;
brutto segno quando essa ne è invece l'espressione.
HUGO von HOFMANNSTHAL
MUSICA E FILOSOFIA
Parte prima
Il rapporto tra musica e filosofia, tra qualcosa che ogni uomo incontra
tutti i giorni e molte volte al giorno dalle sue forme elementari alle
più raffinate, e qualcosa che moltissimi uomini, la maggioranza,
non incontrano mai in tutta la loro vita, esiste sotto il segno di un paradosso.
Nella cultura universale, musica e filosofia non si collocano in gradi
di diverso rango all'interno della stessa scala gerarchica, ma occupano,
ciascuna su una scala diversa e indipendente, il rango più alto.
La filosofia non è una scienza particolare, tale da penetrare profondamente
in un settore della realtà come disciplina specializzata: ad essa
è sempre stato attribuito il compito di unificare tutte le conoscenze,
proponendosi come conoscenza suprema, e il suo linguaggio specialistico,
là dove appare, è motivato dalla necessità di concetti
adatti all'unificazione del sapere. La musica, a sua volta, è un'arte
diversa dalle altre: è un'arte-scienza (se ne ha un sommo esempio
nell'ultima fase dell'opera di Johann Sebastian Bach), e in alterne epoche
della cultura è stata riconosciuta come arte-sapienza. La collocazione
di musica e filosofia, sapienze parallele, nella zona più alta dell'intelligenza,
sarebbe la condizione ideale perchè l'una possa fondersi con l'altra,
o almeno esserle di potente ausilio per illuminare meglio la comprensione
ultima e definitiva del reale. Questa intesa si è realizzata in
brevi momenti della storia intellettuale, e in pochi uomini. L'armonia
perfetta, il nodo indissolubile tra le due supreme forme di sapienza, promessa
di una conoscenza penetrante fino alle cose ultime e quasi sovrumana, sarebbe
un paradiso dell'intelletto, ma il suo realizzarsi è stato effimero,
e il suo equilibrio instabile. Nella storia della cultura, quasi sempre
il rapporto tra filosofo e musicista è stato difficile, o almeno
vissuto con freddezza da entrambe le parti; musica e filosofia, eccettuate
rare e fuggevoli circostanze ideali, si sono ignorate, e come forme di
conoscenza hanno mostrato la tendenza ad escludersi a vicenda.
Questo fenomeno storico, nelle sue ragioni a volte palesi e più
spesso nascoste, è un oggetto di discussione, e come tale lo offriamo
ai lettori. Non c'è dubbio, tuttavia, che noi tendiamo a vederlo
da un angolo ristretto e parziale, quello della nostra tradizione
culturale, che non è l'unica, anche se cade spesso nella tentazione
di credersi tale. La nostra tradizione, per una sua deformazione visiva,
è eurocentrica ("Europa" significa, in senso estensivo, "Occidente")
e modernocentrica. Esiste una sorta di razzismo metaforico che privilegia
un determinato spazio e un determinato tempo. Con la parola "filosofia",
la persona di media cultura uscita da studi liceali e universitari intende
d'istinto la filosofia "classica" occidentale, non ha idee molto chiare
sul pensiero che precede Platone e le grandi redazioni scritte, trascura
la tradizione orale fondata assai prima di Socrate e della sofistica sull'intelletto
simbolico e mitico, e, in senso opposto, si orienta con difficoltà
sul pensiero odierno, quello del tardo Novecento; soprattutto, ignora nella
generalità dei casi le filosofie non occidentali. Con singolare
ma tutt'altro che casuale parallelismo, il pubblico di medie conoscenze
musicali, frequentatore di concerti e magari educato alla musica come professione,
si orienta con agio in un periodo ristretto della musica occidentale, dall'età
barocca al primo Novecento, ma ha nozioni lacunose e incerte di musica
antica e medievale, o di musica recente e oggi militante, e ignora per
lo più la musica nata nelle grandi aree culturali diverse dall'Occidente.
Così, quella che è detta con enfasi "cultura musicale"
o "cultura filosofica" è in realtà una conoscenza magari
precisa e profonda, ma ritagliata come una piccola parte dal tutto, e ristretta
a un settore del contesto interculturale e a una tranche cronologica;
anche sulle ragioni di questa settorialità educativa, e sui problemi
che essa genera, potrebbe aprirsi una lunga discussione. Ma poiché
in un contesto organizzato e articolato la parte riproduce i caratteri
del tutto e ci dà risposte eloquenti quando la analizziamo, è
possibile osservare anche da un angolo ristretto alcuni comportamenti culturali
che, allineati e accostati, appaiono stranamente contrastanti e danno la
misura del difficile rapporto tra musica e filosofia. Ne enunciamo i tre
principali, riferiti esclusivamente alla cultura d'Occidente.
a) La nascita della filosofia e il sorgere delle teorie musicali
sono eventi contemporanei e strettamente collegati. Il periodo cui alludiamo
è la civiltà ellenica matura che confluisce nella più
ampia e composita civiltà ellenistica. E' una fase in cui tra musica
e filosofia esiste un'intesa ideale, e spesso il filosofo e il musico o
il teorico della musica si uniscono nella stessa persona: Pitagora, Platone,
Aristotele, Filone d'Alessandria. Il legame, che ha per lo studioso moderno
un fascino irresistibile, non può essere ridotto, come alcuni
pretendono, soltanto al suo appartenere a una fase "aurorale", in cui i
rami della sapienza sono confusi e indistinti. Esso è motivato anche
da una qualità di fondo, ossia dal carattere precristiano di quella
cultura: anche su questa dichiarazione dovrebbe svilupparsi un dibattito.
Il cristianesimo, che fu inizialmente avverso alla musica e spinse talora
la sua avversione fino all'odio, alla censura e alla persecuzione, intuendo
la natura demoniaca dell'arte musicale e considerando moralisticamente
peccaminoso il suo altissimo edonismo, si trovò disarmato dinanzi
alla realtà dei suoni organizzati in linguaggio, privo di strumenti
culturali capaci di affrontarla e di rielaborarla. Ciò avvenne anche
perché il cristianesimo non riuscì a possedere una
filosofia propria, e attinse paradossalmente, per propria difesa intellettuale,
alla filosofia ellenica ed ellenistica precristiana, a Pitagora, a Platone,
ad Aristotele, a Plotino, a Seneca. Di conseguenza, l'atteggiamento della
"filosofia" cristiana di fronte alla musica si frantumò, scegliendo
nella prima fase del cristianesimo intellettuale un'intelligente e colta
subordinazione alle dottrine antiche (è il caso di Boezio), e allontanandosi
con indifferenza dalla musica nella fase scolastica della filosofia medievale.
Nella cultura europea del tardo medioevo, la dissociazione è quasi
completa: Zarlino e Glareano sono lontani da Tommaso e Bonaventura. Filosofi
scolastici da un lato, teorici del discanto o dell'ars nova dall'altro,
operano in sfere diverse e non comunicanti.
b) la filosofia moderna nella sua linea "classica" (quella oggi
studiata nelle scuole sui manuali, per intenderci) si occupa della musica
di rado, o con indifferenza, e tende a sottovalutarla. Cartesio è
un'eccezione, ma Spinoza, Hume, Kant, Croce rientrano nella regola di una
sostanziale estraneità. Hegel sembra dare molto spazio alla musica,
ma soltanto per coartarne la definizione, subordinandola al proprio sistema
concettuale. Non è un caso che i tre filosofi europei dominati dal
fascino della musica, Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, siano stati
odiati e respinti (come "non filosofi") dall'establishtnent filosofico
professorale e universitario, soprattutto dagli eredi dello hegelismo.
In parallelo, i massimi musicisti della tradizione classica e romantica,
Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Brahms, ricambiarono i filosofi
dei secoli XVIII e XIX con un atteggiamento di analoga estraneità.
Certe più attente curiosità, come nei casi di Schumann o
di Mahler, si limitarono alla sfera personale e a letture frammentarie.
L'attenzione sistematica di Wagner per Schopenhauer è un caso isolato,
una simmetria a specchio rispetto alla celebrazione della musica compiuta
da quel filosofo. L'interesse del giovane Richard Strauss per Nietzsche
si spense interamente in anni maturi. S'impone un giudizio d'insieme: non
c'è quasi possibilità d'intesa tra la musica e la filosofia
orientata (come appunto quella "classica") verso il cosiddetto "pensiero
forte", ossia sistematico, articolato da cima a fondo in categorie onnicomprensive,
tendenti a definire in maniera organica tutto il reale, la natura fisica
e la sfera logica, la psiche e il mito, la politica e l'arte.
c) La possibilità d'intesa è invece molto forte
quando la musica entra in rapporto con il cosiddetto "pensiero debole",
ossia elastico, non sistematico, prevalentemente analitico: con il fenomenologismo
di Husserl, con Heidegger e la sua dottrina esistenziale-ontologica, con
il marxismo eretico di Adorno, con l'indagine critica sulla cultura condotta
da Ernst Bloch. A questo proposito, il legame tra Schönberg e Adorno
è esemplare, ma lo è non meno quello tra Bergson, Debussy
e Proust.
I tre comportamenti descritti rivelano, nella loro contraddittorietà
e mancanza di correlazione, immensi vuoti, come sempre accade quando si
allinea una serie di constatazioni. E' ciò che tocca, in ogni romanzo
giallo, al povero detective posto per la prima volta dinanzi al delitto.
E' nostra ambizione compiere almeno il tentativo di colmare quei vuoti,
allargando doverosamente l'orizzonte nel tempo e nello spazio, e uscendo
dalla visione eurocentrica e modernocentrica. Il tentativo esige però
che si faccia luce su tre premesse.
1) I tre comportamenti che abbiamo colto scorrendo la storia
dei rapporti tra musica e filosofia sono, appunto, "storici", e sottintendono
un divenire tormentato e pieno di conflitti intellettuali. Ma il divenire
è una caratteristica della cultura d'Occidente. Altre tradizioni,
in cui la filosofia ha raggiunto altissimi enunciati e la musica un altissimo
grado di elaborazione teorica, non hanno conosciuto simili trasformazioni,
o le hanno subite in misura minima. In Occidente, ogni forma di cultura,
e in particolare la filosofia e la musica di cui ci occupiamo, è
stata arricchita e complicata da un'evoluzione il cui peso è immenso.
Di conseguenza, è immensa l'importanza della componente storica
e delle coordinate spazio-temporali che di volta in volta la definiscono.
Nelle civiltà di origine extraeuropea l'evoluzione è stata,
nell'ambito teorico, debole o inesistente. Ciò non è affatto
il segno di un'inferiorità, bensì di una diversità
(che in taluni casi può anche essere superiorità) della quale
dovremo tener conto con la massima attenzione. Per fare un esempio, il
fatto che nella tradizione musicale dell'India moderna il sistema delle
gamme e l'impiego degli strumenti sia quasi identico a quello delle età
più antiche, che non ci sia stata un'evoluzione contrappuntistica,
che non si sia sviluppato un organico orchestrale di tipo wagneriano, non
indica "povertà", ma soltanto continuità e fedeltà
all'origine: è il prezzo pagato al persistere in una vasta riconoscibilità
e comunicabilità sociale della musica. Per la tradizione occidentale
potrebbe valere il discorso opposto.
2) Quali tradizioni non occidentali dovremo esaminare? La filosofia,
è stato detto, nasce dallo stupore di fronte al mondo, e come tale
è un atteggiamento innato in ogni uomo. Ma al nostro discorso è
utile esclusivamente il considerare quei casi in cui la filosofia diventa
una disciplina autonoma, e in quanto "disciplina" può essere elaborata,
ordinata, insegnata e trasmessa. Dobbiamo evitare ogni confusione tra filosofia
da un lato e religione, cosmogonia, teologia, mitologia dall'altro. Le
aree che ci interessano sono soprattutto l'Estremo Oriente (Cina, Giappone),
l'India, l'Islam, la tradizione ebraica, la quale tuttavia è intermedia
tra le antiche culture del vicino Oriente e il mondo ellenistico e cristiano.
Accanto a queste aree, e non in contrasto con esse (tanto meno, in un rapporto
di eminenza), l'Occidente, al quale però dev'essere riservato di
necessità maggiore spazio proprio a causa della sua continua diversificazione
nel tempo e delle molteplici forme che esso, in nome dell'evoluzione che
gli è propria, ha assunto nella storia.
3) Preliminare ad ogni considerazione parziale sarà la
definizione dell'essenza che, nelle varie civiltà, definisce il
rapporto tra musica e filosofia, e, prima ancora, sarà necessario
capire in quali varie forme sia stata dichiarata l'essenza della musica
da un lato, della filosofia dall'altro.
Il nostro prossimo intervento sarà quindi una ricognizione storica
e interculturale in cui tenteremo di disegnare una mappa ordinata e il
più possibile esauriente del rapporto musica-filosofia nelle sue
varianti e combinazioni, così come le grandi aree culturali lo hanno
intuito e voluto.
Quirino Principe
(Musica Viva, Anno XIV n.1, gennaio 1990)