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PREFAZIONE
"E' dei letterati credere che scrivere in modo difficile significhi
pensare in modo profondo. Quando si vogliono comunicare idee nuove,
dice Einstein, i problemi dell'eleganza vanno lasciati al sarto e al
calzolaio"
Le prefazioni si saltano: č classico.
Le prefazioni sono inutili: č consueto.
Le prefazioni sono noiose: č inevitabile.
Dunque, saltatela pure: perņ se perdete il filo del racconto, invece di
buttare il libro,(navigare altrove?) tornate qui e leggetela.
Forse non recuperete il filo, ma potrete consolarvi dicendo che č colpa
mia.
Sibič vuol dire se stesso
Primo vuol dire primo
Dino č l'abbrevviato di Secondino e vuol dire secondo
Drei in tedesco vuol dire tre
Citirie in russo vuol dire quattro
Quintilio sta per quinto
Sisto vuol significare sesto
Settimio, capito il giochetto, sta per settimo
Otto č otto
Nino sta per nono
e Decio č decimo
Dieci personaggi diversi che vivono casualitą simili o dieci vite di un
solo personaggio che vive casualitą diverse, a seconda della vostra
filosofia.
Quell'uomo ha cuore:
ma il cuore č una pompa.
Quell'uomo ha fegato:
ma il fegato č una ghiandola.
Quell'uomo ha stomaco:
ma lo stomaco č un sacco digerente.
Quell'uomo ha cervello:
no, č quel cervello che ha uomo.
CAPITOLO 1
"Se tiro un dado e faccio sei non č casuale, č un evento che si verifica
con certezza in media una volta ogni sei tiri, se tiro un dado e faccio
sette perchč il dado si spezza in due e mostra un quattro e un tre,
questo č davvero casuale."
Banji č un cane ma come tutti i cani non sa di esserlo. Nel suo mondo di
odori, nell'infinito presente della sua consapevolezza di esserci, Banji
registra milioni di essenze diverse divise in categorie di utilitą, di
pericolo, di piacere, di curiositą, di territorio, di sesso, di
dominanza, di sottomissione.
L'odore acidulo sebaceo chiaro chiaro chiaro dei capezzoli della madre
dą il via al programma del succhiare nel baluginare viscido e peloso
della formazione dei contorni dell'universo. Le zampe si muovono per una
routine genica che eccita i neuroni motori portando il naso vicino alle
sorgenti degli odori prima che le aree della sua corteccia visiva
riescano ad estrarre senso dal flusso di fotoni che brilla sfocato sulla
rčtina degli occhi.
Sul naso Banji riceve il primo segnale di offesa-dolore dall'unghia di
una gatta col capezzolo odorante acidulo sebaceo chiaro-scuro-chiaro e
che il cucciolo ha confuso con quello acidulo chiaro-chiaro-chiaro della
madre. Dall'altrove scende una grande zampa che lo solleva fuori dalle
normali dimensioni degli odori per riportarlo a contatto del pelo riccio
materno dal lussurioso effluvio di sebo rancido vellutato.
Nell'intrico delle dendriti del cervello quasi vergine di Banji si
rafforzano i contatti di una consapevolezza: la grande zampa appartiene
ad un Grande Cane inconoscibile che odora da dio.
Banji ha innati sia i moduli di comportamento di un debole cucciolo che
quelli di un forte maschio e quando l'unghiata della gatta sul naso non
gli fa pił male, il dolore rimane presente nella sua prospettiva senza
profonditą di tempo.
Il suo cervello č consapevole del proprio mondo interno: sente le sue
quattro zampe, la sua coda, il pelo sulla pelle,il battito del suo cuore
e il fresco dell'evaporazione sulla lingua. Riceve le stimolazioni dal
mondo esterno attraverso i sensi: una cangiante caledoscopio di segnali
odorosi, una cacofonia di suoni, infrasuoni e ultrasuoni, una gamma
infiniti di grigi che portano dal bianco accecante al nero assoluto, perņ
Banji non sa di avere dei sensi. Il mondo esterno č interno a lui, chiuso
in un grande spazio luminoso limitato dai ciuffi pelosi delle orecchie e
dalla morula sfocata del naso che vede al centro in basso di ogni panorama:
non sa di essere un cane, non puņ astrarre il sč dal non sč.
Banji č un sistema omeostatico molto progredito: le cellule nervose del
cervello profondo hanno ben ramificate le mappe del suo benessere
ereditate per via genetica. Le vaste percezioni dell'ambiente in cui si
trova a sgambettare attivano le unitą di intelligenza collegate fra
loro da milioni di fibre nervose che portano i segnali avanti e indietro
fra nuclei e lamine cerebrali dell'ippocampo, del setto e dell'amigdala,
correlando le reti ereditarie fondamentali dei canidi con quelle
dell'esperienza che si memorizza nella corteccia temporale e parietale.
Gli stimoli dell'ambiente originano categorie senza prospettiva temporale
selezionando connessioni adeguate nell'immensa rete casuale che collega
tra loro i miliardi delle sue cellule cerebrali, privilegiando alcune
mappe a danno di altre e producendo neurotrasmettitori che rendono pił
intensa la risposta di quella prescelta. La somma di questo confronto di
intelligenze chiamato Banji non ha il concetto di tempo. Egli avverte le
sue emozioni come stimoli oggettivi, non dovuti al funzionamento del
proprio organismo, e le registra nei circuiti dell'amigdala che ha vie
pił veloci di trasmissione coi neuroni motori che comandano i muscoli:
pronto a scappare, ad aggredire o a far festa agitando la coda prima che
arrivi il risultato dei confronti che avvengono nella sua corteccia.
Intorno a lui č tutto un abbaiare, un latrare, un ringhiare, un guaire,
un gemere, un mugolare articolato veloce e senza senso. Grandi Cani si
muovono su due zampe, posizione assurda scomoda e pericolosa che Banji
assume di tanto in tanto per ottenere da loro un guaiolare festoso e
premiante. Tutte le entitą del reale sono sovrastate dal Grande Cane
supremo e padrone Primosibič. Non c'č altro Primosibič fuori di lui.
Il suo unico Primosibič ha poteri di mutare la realtą in modo
incomprensibile e trascendente: Egli dą ed Egli toglie. Dą e toglie
migliaia di volte nello stesso istante perchč tutta l'esperienza di
Banji č un solo lungo istante. Il Grande Cane trascura gli odori e
modula in modo complicato il suo mugolare. Abbaia e ringhia con scoppi
vocali che lo terrorizzano per impedirgli di marcare il suo territorio,
come gli impone la sua omeostasi interna, con profumatissimi schizzetti
di urina.
A volte lo innalza al centro della Sua attenzione, a volte ignora la sua
esistenza, spesso lo punisce infilandogli il naso graffiato dalla gatta
nella merda che qualcuno ha fatto in salotto e che odora di suo come
altre infinite merde passate inosservate: dio č incomprensibile per
definizione.
Nella Tana Grande non c'č pił la madre ma Banji ne cerca l'odore ogni
volta che la provvidenza gli riempie la ciotola di latte che non ha il
sapore acidulo sebaceo chiaro-chiaro-chiaro del latte materno.
Il Grande Cane ha l'odore del Tutto. Abbaia obbedito nella Grande Tana,
le budella gonfie di bolle di idrogeno solforato e altri deliziosi
personali aromi che vaporizzano dalla fermentazione del cibo in
assorbimento, variegati dalle secrezioni delle molte ghiandole che gli
bagnano la pelle dai pochi peli, ungendola di essenze caproniche e
capriliche esaltate dall'urea. Banji sente da cento metri di distanza
l'effluvio del Grande Cane punteggiato dalle olezzanti zampe chiuse in
scatole di pelle di vacca morta, venato dalla fragranza dei gas
solfidrici bloccati nel colon e rigato dalle sventolate balsamiche di
rancido e di salato provenienti dalle zone erogene .
Questi odori da dio mettono in moto programmi eccitatori di benessere e
Banji gią raspa l'uscio d'ingresso e mugola di piacere quando il Grande
Cane arriva nel cortile sulla sua Piccola Tana mobile tanfante di
ossidi letali.
Il piacere diventa paradiso quando il Grande Cane gli permette di
annusare qualche chilometro di strada e di far conoscenza con gli odori
inconfondibili di centinaia di altri cani che hanno pisciacchiato qua e
lą lasciandogli messaggi di saluto. A volte il messaggio puzza di
prepotenza, pił spesso di curiositą o di voglia sessuale. Banji č
portato a seguire ognuno di questi odori fino alla sua origine ma il
Grande Cane lo strattona con l'anello di pelle morta che gli č cresciuta
a tale scopo intorno al collo. Ogni incontro č guidato dai nasi:
la cagnetta bianca č affascinata dalla sua ammoniaca salata di canfora e
odorosa di sperma e Banji č attratto dalla scia eccitante di un vecchio
mestruo che riempie l'aria di feromoni dal delicato sapore di pesce
marcio. Naso contro naso per confrontare la profonditą delle sensazioni,
naso contro vagina per assicurarsi dell'origine dell'eccitante aroma e
permettere al pene di indurirsi e asciugarsi. Banji sente la smania di
bagnarlo, di sfregarlo contro qualcosa, di infiggerlo in un luogo umido
e olente. C'č un solo luogo che risponde a quest'intinto e Banji lo
raggiunge salendo sulla schiena della cagnetta. Quindici secondi di
raptus e il bisogno si spegne. La cagnetta scodinzola via, rinfrescata
dallo sperma di Banji, pronta a nuovi incontri, deliziata come quando si
gratta dove prude e Banji sta gią esplorando disgustato il fetore
dolciastro di una margherita. Parassiti, in assoluto incognito, i geni
di Banji si coniugano con quelli della cagnetta per compiere il loro
stolido compito sublime: produrre nuovi captatori di puzze.
Varietą di odori ma un solo odore dio. Tutti gli odori sono creati da
Lui che dice "Sia l'odore."
Primosibič lo coccola, lo gratta, lo solleva per le zampe anteriori, lo
strizza, lo picchia, gli abbaia contro furioso e gli mugola suoni dolci
ma sopratutto lo mantiene avvolto nell'odore della vita.
Il comportamento di Primosibič č fuori dalla capacitą di categorizzazione
di Banji che neppure avverte il problema perchč identifica la propria
esistenza con quella del Grande Cane: il suo č un dio che pesa ottanta
chili e permea l'universo intero col suo odore. Banji annusa e non ha
bisogno di credere.
Banji ricorda il passato ma senza sapere che sia passato, registra il
presente come una specie di ricordo anch'esso, e non ha alcuna cognizione
dell'esistenza di un futuro e quindi della sua morte.
Banji č un cane felice.
CAPITOLO 2
"Il caso porta alla perfezione: la somma delle casualitą contiene tutti
i destini"
Una notte Primo Sibič era tornato da teatro sbattendo forte la portiera
dell'auto. Si stava preparando un temporale e il pelo di Banji era
ritto per l'elettricitą statica dell'aria. Aveva captato l'odore della
pelle del padrone, acre di cortisolo, prima che infilasse la chiave
nella toppa della porta d'ingresso e quella percezione aveva eccitato
una serie di mappe neurali dell'amigdala che aveva comandato i muscoli
caudali, costringendolo a mettersi la coda fra le gambe. Quando aveva
visto la faccia del padrone con le sopraciglia aggrottate a doppia esse
e la curva contratto-convessa della bocca, aveva abbassato la testa e
assunto un atteggiamento sottomesso, senza attendere il responso
corticale.
Primo si era chinato su di lui e gli aveva dato uno scappellotto fra le
orecchie:
-Beato te che quando ti piace una cagnetta te la fai e chi s'č visto
s'č visto...- .
Aveva parlato con un tono di voce basso. I confronti con le mappe del
ricordo avevano bloccato i comandi lungo il tronco-encefalico di Banji,
annullando la reazione di paura e il cane aveva dato tre colpi di coda
a ventaglio che erano stati interpretati dal padrone come un cenno di
assenso.
Primo s'era buttato sul letto. Banji era rimasto immobile, incerto per i
segnali divergenti fra le sue mappe cerebrali. Poi aveva sentito odore
d'acqua e la pelle del padrone aveva emanato puzza di dolore. Quel grande
cane-dio, a cui era collegato il proprio benessere, stava soffrendo.
Il presente ricordato coincideva col passato ricordato: il cane-dio non
uggiolava ma quando i suoi occhi si riempivano d'acqua e la sua pelle
aveva quell'odore, Banji sapeva che aveva bisogno di amicizia.
Il programma motorio d'aiuto era scattato automaticamente e Banji si era
trovato a leccare la mano che il padrone aveva lasciato ciondolare fuori
dal letto. Quella mano si era capovolta e le dita l'avevano grattato fra
le orecchie eccitando i suoi circuiti del piacere. Ma non era una
grattata festosa, era una grattata lenta, distratta, e di nuovo i neuroni
dell'amigdala avevano suonato l'allerta nel cervello di Banji che era
rimasto ritto sulle gambe coi muscoli pronti alla fuga. La mano di Primo
era scivolata lungo il muso del cane e si era stretta a pugno nel suo
pelo. Il cane aveva inarcato la schiena, incerto se scappare o
sottomettersi, cercando un confronto mnemonico chiarificatore per il
comportamento del suo primosibič.
Banji non ha sentimenti consapevoli ma il suo benessere č il riflesso di
quello del dio: uno e bino.
Primo aveva inanellato ciuffi di peli dell'animale fra le dita, riandando
col pensiero alla serata e poichč la sua pił ampia corteccia cerebrale č
in grado di distinguere il passato dal presente prevede un futuro di
solitudine. Neppure lui č consapevole del funzionamento del proprio
cervello che lo tiene vivo e respirante producendo una continua caotica
proposta di immagini e di sensazioni e si č abituato ad accettare i
propri pensieri come nascenti da un sč nascosto dentro di lui.
Con quel sč interiore ha continui dialoghi, confronti e liti ma non ne
avverte la natura composita e la creativitą biomeccanica alimentata sia
dal caso che dalla struttura.
Le mappe globali della sua corteccia danno la possibilitą al due per
cento del cervello di riconsiderare le immagini interiori e, a differenza
del cane, Primo puņ correlare le esperienze con le zone semantiche e
simboliche anteriori e posteriori del suo emisfero sinistro, dove il
linguaggio fornisce mappe atte a ricategorizzare i ricordi, i suoni,
le immagini, i concetti, con milioni di rientri neuronali in molte aree
cerebrali consentendogli di simulare dentro di sč azioni future
alternative e dare nuovo ordine ai fonemi e alla loro successione.
Primo non č conscio del lavoro di selezione e simulazione che avviene
nel suo cervello, solo la ricapitolizzazione dei processi affiora alla
consapevolezza e, come tutti gli umani, chiama questo affiorare idee.
Primo ha coscienza del sč, staccato dal mondo, il passato pesa su di lui
col peso del tempo e del dolore per gli errori commessi.
Le occasioni perdute e la sensazione della propria inadeguatezza gli
danno angoscia abbassando il livello degli scambi umorali ed elettrochimi-
ci del corpo, dai neurotrasmettitori al sistema immunitario.
Primo ricorda il passato e sa di dover morire.
Primo č un uomo infelice.
CAPITOLO 3
"Molecole casuali autoreplicantesi per miliardi di anni hanno prodotto
il cervello dell'uomo, perchč dovrebbe esserci qualcosa di trascendente
in esso?
-Fanculo il Piccolo di Milano!- aveva urlato Primo fuori dal teatro
Sociale quando Dino gli aveva detto che non sarebbe pił partito -Non hai
le palle! Io non mi rimetterei con Lisa neanche se....- e non aveva
trovato parole abbastanza umilianti per quella ragazza che amava anche
lui.
Erano diventati amici perchč entrambi respinti da Lisa. Ma quella sera
le labbra di lei si erano alzate per Dino scoprendo i denti piccoli e
aguzzi. Che ricchezza di messaggio in quel piccolo segno!
Invano Primo aveva supplicato l'amico di non buttar via quella borsa di
studio vinta all'universitą di Roma e costata estenuanti anticamere
negli uffici dei potenti.
-Vuoi fare il bancario a vita?- gli aveva gridato scrollandolo per il
bavero della giacca.
Dino si era lasciato scuotere con un sorriso da miracolato che gli
tirava la bocca come una paresi. Aveva voglia di correre per le strade e ballare dentro il cerchio di luce che il sorriso di Lisa gli aveva riacceso intorno.
-Mi ama...- aveva esclamato in adorazione ricevendo da Primo una manata
aggressiva e una parolaccia che aveva rotto la sincronia delle loro
anime: la gioia dell'uno era diventata la sofferenza dell'altro.
Primo non poteva pił camminare a fianco di Dino, l'amico era tornato sul
pianeta dei luoghi comuni: la luna era romantica, le foglie degli
alberi fruscianti, l'erba rorida di rugiada, gli usignoli gorgheggiavano
tra gli arbusti e piloti dagli occhi azzurroliala portavano fasci di
rose rosse alle commesse della Rinascente.
Quando Lisa, seduta dal Caso accanto a Dino sui velluti rossi delle
poltrone di platea, gli aveva sfiorato il ginocchio coperto di vigogna
con il suo velato di nylon nero, gli attori sul palcoscenico avevano
rallentato i movimenti, le loro voci eran divenute rauche e lente mentre mappe locali nell'emisfero sinistro del cervello globalizzavano scariche elettrochimiche addensandole nell'ippocampo, in stretto contatto coi centri del piacere del mesencefalo e con le aree edoniche dove milioni di anni di evoluzione avevano accumulato i valori tendenti a massimizzare il benessere dell'organismo. Possenti segnali uscivano dai gangli basali e dal tronco cerebrale per poi friggere lungo i neuriti motori, facendogli contrarre il cuore come per tetanģa mentre il sangue ipercompresso rischiava di sfondargli le arterie.
Dino aveva sfiorato la mano di Lisa con dita umide e ne aveva ricevuto
una stretta segreta che valeva una promessa. Da quel momento ogni
stimolo visivo, uditivo, sensitivo era arrivato come lontana eco
negli strati alti della sua corteccia cerebrale, filtrato da un programma
di selezione primitivo, deviato dalle reti neuronali del talamo a
sollecitare il nucleo laterale dell'amigdala per diffondersi nelle aree
emotive primarie, attenuando i risultati della valutazione logica.
-Fanculo il Piccolo di Milano!- gli aveva ripetuto Primo furibondo.
Dino non aveva voglia di andare a teatro quella sera. Era stato l'amico
a insistere perchč recitava quella nuova compagnia milanese di cui si
diceva un gran bene. Gli aveva perfino regalato il biglietto e Dino si
era trovato seduto accanto a Lisa.
Tre giorni dopo sarebbe dovuto partire per Roma. Si era licenziato dalla
banca sull'onda della disperazione in cui galleggiava dal giorno in cui
Lisa gli aveva detto di non amarlo pił: nei suoi occhi grigi c'era il
riflesso rosso della sua camicetta e una luce d'intelligenza ironica che
gli era penetrata nel cervello, attraverso le pupille, come un ferro da
calza.
Per non morire aveva dovuto progettare un cambio radicale dell'esistenza
e cercare una via di fuga che desse alla sua immaginazione una prospetti-
va in cui credere.
Per mesi aveva continuato a lavorare nella banca in cui era impiegato dal
giorno del diploma, in totale assenza d'animo, lasciando che gli
automatismi dei gangli basali eseguissero il programma motorio
coordinando la percezione visiva delle cifre sulle cambiali con il
movimento delle dita sui tasti della sferragliante macchina elettromecca-
nica per il calcolo dello sconto.
C'era una maniglia inchiodata sul muro e quando le braccia erano stanche
Dino si attaccava lą, "a far maniglia" come dicevano i colleghi.
Rideva alle barzellette dell'impiegato grasso: "La colomba č l'uccello
della pace, la donna č la pace dell'uccello e il vecchio č l'uccello in
pace", e al capo ufficio che lo rimproverava ogni mattina perchč "Si
metta la cravatta! La cravatta č una divisa, caro lei! Voi giovani non
avete pił rispetto per niente!" ogni mattina rispondeva "La cravatta č un pezzo di stoffa colorata che lei si lega al collo come un selvaggio per sentirsi accettato dalla tribł!", ma usava per questi rapporti la parte meccanica di sč.
La ripulsa di Lisa, inaspettata e devastante, aveva sconvolto vecchie e
nuove sinapsi, selezionando circuiti obsoleti, influenzando la produzione
di dopamina che gli aveva portato crisi di tremori come per astinenza da
droga. Il sesso non aveva avuto parte in questa tortura, la crisi era
dovuta all'implosione dell'universo sognato che aveva reso evidente, ma
inaccettabile, l'evanescenza soggettiva di ciņ che a lui era parso
solido come il granito della Balma. Nell'infinita componibilitą delle
mappature cerebrali, il cervello di Dino non riusciva a trovare quelle
giuste per incasellare l'evento e ottenere risposte adeguate.
Dino non aveva mai trovato il coraggio di baciare Lisa, sapeva che
avrebbe dovuto farlo e questo gli aveva messo dentro un'ansia che
gli aveva tolto il desiderio. Le sue uniche esperienze sessuali le aveva
fatte al casino, quando dopo due volte di umiliante impotenza, era
riuscito a fottere una giovane rossa che con dolcezza aveva sciolto
il suo blocco e poi riso, quella meravigliosa puttana, perchč l'aveva
montata quattro volte di seguito. Credeva di essere innamorato di Lisa,
pronto a morire per lei come per la patria e il proprio onore. Credeva
di amare i suoi occhi allegri, i suoi capelli stretti a coda di cavallo,
il suo mento appuntito, il suo corpo scattante, le sue gambe lunghe e
sottili, ma non avrebbe saputo disegnare la forma del suo seno o delle
sue natiche. Credeva di essere innamorato di lei per l'estasi di
comunicazione totale che provava parlandole negli occhi, una lunga
affascinante masturbazione spirituale fantasticata cosģ bene da dargli
un assoluto senso di realtą.
L'aveva sentita fremere sotto le dita una notte che le aveva stretto le
mani intorno ai fianchi e un'immensitą gli aveva dilatato il petto: ma
non era eccitazione sessuale, era tanto gentile e tanto onesta pare, il sogno schizofrenico di un adolescente non educato a capire che Dante, potendo, avrebbe chiavato Beatrice perchč la monta era Amore. La letteraria A maiuscola era tutta culturale e il daltonismo della giovinezza gli aveva impedito di comprendere che maiuscola era la gioia di darsi e di prendersi che aveva sentito sopra la sua allegra puttana.
Nessuno lo aveva condizionato in modo esplicito all'equivalenza
sesso-peccato, ma tutto il suo mondo girava intorno a quel cardine: a
messa la folla salmodiava in onore di una vergine, i preti giuravano
castitą e chi non fotteva veniva fatto santo, la madre aveva chiamato
puttana sua sorella il giorno in cui aveva scoperto che si era data a un
ragazzo, l'area proibita per le femmine andava dalla gola a sotto il
ginocchio mentre per i maschi si restringeva dall'ombelico a metą coscia,
al cinema gli attori si baciavano il mento e poi l'immagine fondeva in
un lungo grigio e nelle scene seguenti non parlavano mai di quel grigio.
Il prete dell'oratorio, nella confessione domenicale voleva sapere
quante volte si era toccato durante la settimana minacciandolo di cecitą
se esagerava in quella pratica "contro natura". L'allenatore di
pallacanestro intimava ai giocatori di non farsi delle seghe la notte
prima delle gare perchč sarebbero scesi in campo fiacchi e vuoti di
energie e quella proibizione rendeva le vigilie angosciose, piene di
tentazione. Quando Primo era stato convocato per la selezione della
nazionale juniores, aveva passato due ore col fazzoletto steso sul
ventre e il pene stretto in pugno, lottando contro il desiderio.
Aveva vinto: sei milioni di spermatozoi erano rimasti a scalpitare
nei gomitoli dei testicoli e il giorno seguente era stato scartato lo
stesso.
Dino, quella notte, aveva tolto le mani dai fianchi di Lisa e si
era sdraiato sul prato accanto a lei. Lisa aspettava di essere profanata.
Per lei l'amore era desiderio umido come quello che provava da bambina
davanti alle fragole con panna, inquinato e irrobustito dalla visione
proibita del padre che inarcava il culo bianco per piantarsi con forza
in mezzo a due gambe femminili divaricate.
Lisa bambina arrivava col naso all'altezza del letto e girando non vista
oltre uno dei piedi femminili calzati di morigerate scarpette dal tacco
basso, aveva scoperto la faccia arrossata e buffamente sconvolta della
sorella di sua madre.
Il volto scavato di suo padre esprimeva intenso godimento e Lisa aveva
pianto perchč non sapeva farlo cosģ felice. Crescendo aveva capito, aveva
odiato, amato, desiderato e disprezzato.
Quella sera Lisa aveva aspettato per dieci minuti torturata dalla voglia
di essere toccata, sdraiata sul prato umido di rugiada con gli occhi
fissi sulle stelle, i pugni contratti pieni di erba per impedirsi di
frugarlo lei per prima, condizionata dal non si fa e dalla paura di
essere respinta.
Una zanzara l'aveva punta sulla fronte e aveva faticato a dominare la
sua irritazione. Si era levata a sedere, distinguendolo appena, manichino
scuro nel buio: Dino aveva quello che lei voleva ma non glielo avrebbe
dato.
-Andiamo.- aveva detto a bassa voce ma dentro gli aveva urlato
"vai a cagare".
I primi mesi dopo l'abbandono, Dino li aveva vissuti col calendario
dell'anno prima, anno felice, tempo irraggiungibile eppure presente e
devastante, succoso frutto reso perfetto dai falsi colori elettrici
dei ricordi archiviati come felici e continuamente richiamati e
arricchiti in cortocircuiti cerebrali dai sapori paradisiaci immaginati,
come un Tantalo condannato a tormentarsi da solo. Aveva passato
settimane ad analizzare ogni istante del loro esser stati insieme e
aveva capito il suo errore.
A un anno da quella notte l'urlo interiore di lei era penetrato in lui
connettendo le sinapsi in un nuovo meme: bisogna fottere le donne che si
amano.
Capire aveva significato coordinare in modo diverso tutti i dati
rimuginati, scomposti e ricomposti in migliaia di mappe globali finchč
si erano presen