GLI ARTICOLI ON LINE DI FRANCO PELLICCIONI

Il lago Turkana: un "mare di giada" circondato da lava, rocce e deserto. Appunti di viaggio di una spedizione scientifica nel Kenya settentrionale

L'Osservatore Romano, 28 Aprile 2000, 3

1966 - 2006

QUARANTA ANNI DI PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE E DI DIVULGAZIONE SCIENTIFICA  

"Ad ogni passo lo scenario diventava sempre più cupo e completamente desertico. Scoscesi pendii rocciosi si alternavano a gole cosparse di detriti. Questa accecante monotonia continuò fino alle due. Ci aspettavamo ormai di imbatterci solo in qualche piccola e fangosa pozza d'acqua verde, con la quale estinguere la nostra sete quando, salendo un declivio moderato, un enorme e stupendo panorama improvvisamente si aprì davanti a noi. Tale fu la nostra emozione che pensammo che la cosa fosse una mera fantasmagoria. Andando ancora più in alto, gradualmente un picco isolato si erse intorno a noi, con dolci e simmetrici contorni da ogni lato. Era un vulcano. Ad oriente della montagna la terra era uniformemente piatta, una pianura d'oro accesa dal sole. Sempre più ad est la base del vulcano sembrava uscire da una profondità senza fondo, un vuoto che nell'insieme rappresentò un mistero per noi. Ci sbrigammo il più possibile a giungere fino alla sommità della cresta, quando davanti ai nostri occhi stupefatti si affacciò un intero nuovo mondo. Il vuoto, quasi per magia, si riempì di montagne pittoresche dagli aspri dirupi, un guazzabuglio di gole e valli, che si chiudevano da ogni lato a formare una cornice per un lago dalla superficie blu scura, che si estendeva ben al di là del nostro sguardo. Per molto tempo, ammutoliti e deliziati, lo fissammo. Ammaliati dalla bellezza della scena che era davanti a noi…Pieni di entusiasmo e grati per l'interesse dimostrato per i nostri piani dalla Sua Altezza Reale e Imperiale, il Principe Rodolfo d'Austria, il Conte Teleki battezzò la distesa d'acqua, incastonata come una perla di grande valore nel meraviglioso scenario che avevamo di fronte, Lago Rodolfo" (Von Höhnel, The Discovery of Lakes Rudolf and Stefanie, 1894).

Dal nostro diario di viaggio: "Facciamo arrestare la Land Rover e scendiamo nella pietraia infuocata, trenta-quaranta metri più in giù, attraverso un accidentatissimo campo di lava, fino ad arrivare alla sponda del lago. Sono le 4 del pomeriggio. Tocchiamo l'acqua, cogliamo qualche pietruzza sul fondo. E' straordinario, è unico, è grandioso...Un sogno lungo circa vent'anni fattosi improvvisamente splendida realtà. Le sue acque hanno un colore verde intenso. Ora capiamo perché è soprannominato "mare di giada". Ci siamo affacciati in un angolo spoglio che sembra lunare"... (molti anni dopo avremmo provato in Islanda una sensazione analoga…). Scriveremo ancora, sulla scia di un irrefrenabile e indescrivibile entusiasmo: "eppure è fantastico, superbo, grande! E dire che questo incredibile gigantesco specchio d'acqua è un catino infuocato, i cui aspri contorni sono formati da sabbia, pietrame, lava, rocce e deserto. Dove le più diverse specie di serpenti velenosi allignano numerosi. Specialmente nella Baia Elmolo, dove più tardi ci recheremo. E con il pensiero cerchiamo di immedesimarci nei panni dei primi europei, che scoprirono il lago quasi cento anni addietro: Teleki e Von Höhnel. Poiché certo: Elmolo, Turkana, Rendille e i vari gruppi etiopici del nord, tra cui Gabbra e Merille, lo conoscevano. Da sempre…"

Nel bagaglio dei ricordi conserviamo gelosamente quelli riguardanti una regione africana. Che a distanza di tanti anni, da quando la percorremmo, è rimasta profondamente scolpita nella mente e nel cuore. Indelebilmente. Non solo perché il nostro primo e precipuo interesse scientifico (e areale) era allora rappresentato dai popoli dell'Africa sub-sahariana, con particolare riguardo al Kenya e - in seguito - al Sudan. Nemmeno perché in qualche modo contagiati dal tanto diffuso mal d'Africa, che secondo noi va a colpire esclusivamente i coloni di un tempo e i turisti di oggi! Tutt'altro...Quella regione del Kenya settentrionale, che avemmo modo di raggiungere organizzando una spedizione, un autentico safari ("viaggio" in Swahili), rappresentava per noi molte cose. Innanzitutto la nostra stessa giovinezza. E non è poco! Poiché, adolescenti, più volte avemmo modo di avere tra le mani ed ammirare, grazie all'interessamento di uno dei Maestri della nostra disciplina, il compianto Prof. Vinigi L. Grottanelli, alcuni reperti etnografici del Museo Pigorini di Roma provenienti proprio da quelle eccentriche e, per lunghissimo tempo, proibite zone. Aree desertiche e semidesertiche, dominate da infuocate petraie, battute impietosamente da venti soffocanti e violenti. Che facilmente toccano i 50° C all'ombra, del resto difficoltosa a trovarsi! Attraversate solo da poche piste appena accennate, quasi faticosamente "graffiate" nella terra, tra rocce e lava (ma che continuano a seguire gli antichissimi e tradizionali tracciati dei nomadi), e percorse da pochi veicoli audaci (e tenaci). Una terra che è anche zona di vagabondaggio di branchi di animali selvatici. Ad iniziare da quelli più possenti d'Africa, come gli elefanti. O dagli stuoli dei sempre deliziosi e, apparentemente, fragili e snelli gruppi di erbivori (gazzelle, zebre, ecc.), spesso tallonati a debita distanza dagli onnipresenti carnivori (leoni, cani selvatici e tanti altri). Terre popolate da numerosi, seppure sparuti, gruppi di popolazioni nomadi di allevatori di cammelli, la cui cultura e stile di vita era (ed è tuttora) incentrata anche sulle razzie e controrazzie di bestiame. Poiché il bestiame, non solo rappresenta la loro vita, ma è anche simbolo di ricchezza e di potere. Dà la possibilità di far contrarre i matrimoni "giusti" e, quindi, di acquisire nuove alleanze politiche. Consente l'effettuazione delle tradizionali cerimonie collettive. Una dura vita. Spesso ridotta all'osso e contrassegnata dalla quotidiana, faticosa e indubbiamente esasperante ricerca dell'acqua. Essenziale per la stessa sopravvivenza di uomini e animali. E proprio un popolo che vive in questa terra, quello dei Turkana, costituì l'oggetto del nostro primissimo approccio etno-antropologico nella Biblioteca specializzata del Pigorini. Terra difficile, abbiamo detto. Da sempre, infatti, quest'area marginale, con pochi centri abitati permanenti e scarsamente presidiata, è anche terra di rapina. Per la presenza di banditi tout court. Spesso provenienti dagli stati confinanti (Uganda, Etiopia, Somalia: i Ngorok - Somali, Turkana, Karamojong, soprattutto -), che compiono sanguinose incursioni. Un tempo utilizzando armi tradizionali. Ora micidiali armi automatiche. E per quella dei bracconieri. Che per decenni hanno dilapidato il suo ricco e stupendo patrimonio faunistico. Procurando avorio agli euro-americani e corna polverizzate di rinoceronte, dal sedicente potere afrodisiaco, agli asiatici. Proprio perché contrastati con efficacia dalle forze di sicurezza kenyote, in questi ultimi anni i bracconieri hanno diversificato la loro attività. Aggiungendo o, addirittura, preferendo rivolgere le loro bieche attenzioni verso specie di "animali" più innocue e, forse, meno protette: i turisti. In gruppo o singoli. Spesso vittime di cruenti attacchi improvvisi. O verso coloro che, da sempre, hanno cercato di ostacolare la loro attività di indiscriminata distruzione della fauna. Tra cui non possiamo non ricordare un uomo che per moltissimi anni è stato un mito e un simbolo dell'Africa orientale, del Kenya e di queste regioni, in particolare. Anche se solo gli "addetti ai lavori" ne hanno potuto apprezzare la pluridecennale attività, o i tanti illustri personaggi, del passato e del presente, da lui conosciuti. Un uomo che ha dedicato tutte le sue energie all'esplorazione del Kenya e, in particolare, dei luoghi più remoti dell'area di cui parliamo. Oltre a dedicarsi, per la sua attività professionale, alla conservazione del patrimonio faunistico. Eppure il suo nome non dovrebbe essere sconosciuto ai più. Poiché ben presto sarebbe stato egregiamente affiancato da un altro personaggio, che sarebbe diventato in futuro anch'esso un mito. Lui sì conosciuto in tutto il mondo, grazie ai suoi libri e ai films da essi ricavati, che hanno internazionalmente pubblicizzato le, allora, innovative "sperimentazioni" etologiche, con i leoni prima, con i leopardi poi. George Adamson, l'uomo di cui parliamo, nel 1944 sposò infatti Joy, cioè la Joy Adamson di Nata Libera, la leonessa Elsa. E i fatti narrati si svolgono proprio in questa regione, poiché George era il Senior Game Warden di tutto il settentrione del Kenya, che all'epoca coloniale si chiamava Northern Frontier Province. Una regione immensa (120.000 miglia quadrate), che per questioni di sicurezza è stata praticamente off limits ai viaggiatori per lunghissimi anni. Va ancora aggiunto come con la Joy, zoologia ed etologia siano andati di pari passo con l'etnografia. Poiché la Adamson ebbe modo di registrare, nei suoi apprezzati dipinti, ora al Museo Nazionale di Nairobi, costumi e paraphernalia di appartenenti (guerrieri, capi, anziani, stregoni, danzatori, cacciatori, ecc…) alle diverse tribù del Kenya, tra cui quelle settentrionali. E i coniugi Adamson hanno rappresentato una coppia straordinaria. Eccezionale, purtroppo, anche nel loro comune, tragico destino. Poiché l'Adamson sarebbe stato ucciso nel 1989 a seguito di un feroce attacco di bracconieri, mentre la Joy era stata già uccisa nel 1980, nella Riserva di Shaba (dove lavorava con i leopardi), da un suo assistente.

Quindi, dopo quanto abbiamo fin qui premesso, una spedizione al lago Rodolfo (Turkana dagli anni '70) rappresentò anche la più classica delle avventure, imprevisti e rischi inclusi. Noi che già pochi anni prima ne avevamo avuto un "assaggio" non male: per risultati, avventure e disavventure (comunque fortunatamente andate tutte a lieto fine), nel corso della ricerca ad Isiolo (a nord del Monte Kenya) e dei surveys ad essa collegati. Che ci avevano prima spinti verso Marsabit, quasi ai confini con l'Etiopia, poi verso Garba Tula, in direzione della Somalia. La cittadina multietnica di Isiolo è un vero e proprio carrefour delle più diverse genti del nord, da sempre considerato un autentico "Museo Etnologico vivente", con tutte le riserve che un'immagine del genere - che pure rende bene l'idea ad un laico - può suscitare in uno studioso dell'uomo. E da Isiolo parte la pista centrale verso il nord. Subito al di là di una barriera, che consente alla polizia di bloccare i veicoli, la cui targa verrà debitamente registrata. Ad Isiolo per lungo tempo vissero gli Adamson e una scuola elementare è intitolata alla leonessa Elsa.

Ma il nostro viaggio via terra, durato in tutto due giorni, ci consentì di provare emozioni a non finire: dalla partenza a Nairobi, fino a quella che ci colse, come una cascata impetuosa, al momento dell'arrivo al lago. Avevamo infatti deciso di non servirci di un aereo, che in poco tempo ci avrebbe fatto giungere comodamente fino alla nostra meta finale, l'oasi di Loyangalani, a sud est del lago, dove è situata una modesta pista d'atterraggio. Proprio il nostro graduale avvicinamento, il viaggio, il safari, avrebbe costituito per noi la più straordinaria delle avventure.

[http://users.iol.it/f-pelli/f-pelli.africa.turkana.htm]

Creata: 12 marzo 2002

Modificata: 26 gennaio 2006

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