natura e cultura NELL'ALASKA DEL DUCA DEGLI ABRUZZI      (1897)

 

Relazione presentata nel corso del Convegno di Studi tenutosi a Prati di Tivo (TE) nei giorni 13-14-15 Settembre 1996 su "Gran Sasso d'Italia: Omaggio al Duca degli Abruzzi")

 

di FRANCO PELLICCIONI

1966 - 2006

QUARANTA ANNI DI PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE E DI DIVULGAZIONE SCIENTIFICA  

1. PREMESSA

La remota regione americana dell'Alaska sul finire del XIX secolo, cioè all'epoca in cui venne effettuata la spedizione alpinistica del Duca degli Abruzzi al Sant'Elia, venne caratterizzata da un'incessante, frenetica e quasi parossistica attività umana. Molte furono infatti le cause che determinarono il "convulso" andamento, contemporaneamente presenti nell'area. Il 1897, tra l'altro, rappresentava anche il trentesimo anniversario di quella che si sarebbe più tardi dimostrata essere la "fortunata" vendita, agli Stati Uniti, dell'America russa. Cioè di quella che, per oltre due secoli (1741-1867), aveva rappresentato un'imprevedibile, straordinaria appendice zarista in terra americana: un vero e proprio Impero delle pellicce e delle pelli. Che gli statunitensi ribattezzarono Alaska, utilizzando un termine degli autoctoni Aleuti che significa "terraferma", cioè la regione situata ad est delle isole Aleutine. Dove tuttora vive questo popolo di cacciatori artici affine agli eschimesi.

Lasciata la città di Seattle il 13 giugno del 1897, il postale City of Topeka con a bordo la spedizione si addentrò all'interno del cosiddetto Inside Passage seguendo quella che da tempo era diventata l'usuale rotta per queste navi. Superando dapprima l'immensa isola di Vancouver e toccando, di seguito, Wrangell, Juneau[1] e la Glacier Bay. Per tornare infine indietro. Arrivando a Sitka, nell'isola Baranov[2]. E questa cittadina, che ha avuto un ruolo invero non secondario nella logistica dell'impresa alpinistica, un tempo si chiamava Novo Arkangelsk (Nuova Arcangelo). Era stata la capitale del grandioso possedimento russo in terra d'America.

Ma l'anno 1897 non avrebbe rappresentato solo un'importante ricorrenza da ricordare ufficialmente. Gli anni di fin de siècle furono connotati da un andirivieni, quasi affannoso, di un'umanità stracolma di speranze per un futuro migliore. Traffico perciò non limitato al solo transito mercantile o navale tout court! L'Inside Passage, che si insinua anche nell'Alaska di sud-ovest, regione di cui, sia pure abbastanza epidermicamente, ho conoscenza diretta, e che la spedizione avrebbe attraversato, non si limitò a rappresentare la consueta, tranquilla via di navigazione interna. Un "canale di Suez" sui generis verso il nord del continente e lo Stretto di Bering. E quindi verso l'Asia settentrionale. Esso avrebbe costituito una formidabile "via di penetrazione" della "civiltà" dei bianchi. In maniera ben più massiccia e decisa che in passato. Quando era pressoché esclusivamente utilizzato dai russi, e dai loro alleati Aleuti, per lo sfruttamento degli animali da pelliccia, al tempo della Compagnia Americana Russa. Via di penetrazione e di colonizzazione che avrebbe portato sulle sponde del Pacifico prima, e poi verso l'interno montagnoso e pressoché sconosciuto, in terre subartiche ed artiche, migliaia e migliaia di europei. E non solo loro.

E nel 1897 erano già trascorsi alcuni anni (dal 1890) da quando una nutrita flotta di baleniere aveva preso a salpare, regolarmente ogni primavera, da San Francisco. Per andare a cacciare a nord del grandioso delta del fiume Mackenzie, nell'artico canadese. Facendo infine base in quello che, in quel tempo, era considerato "l'estremo limite del mondo civile": l'isola di Herschel. Le prime navi arrivarono nell'isola nel 1889[3]. In dieci anni, tra il 1890 e il 1910, un cospicuo numero di balenieri vi si sarebbe recato, svernandovi[4]. E le loro rotte avrebbero sempre naturalmente seguito, all'andata, come al rientro, il "Passaggio". Ma i balenieri, diretti altrove, erano quasi sempre solo in transito  nella regione. Altra gente, altri uomini sarebbero giunti, per fermarsi e stabilirsi in Alaska. Improvvisamente divenuta la sospirata meta finale di tanti. E l'Alaska avrebbe conosciuto un'intensa attività colonizzatrice, sia da parte degli stessi americani, che da parte di emigranti europei. Non ultimi quelli provenienti dalla Norvegia. Che ricrearono "in loco", in un habitat dalle caratteristiche per molti versi simili a quelle della "terra dei fiordi", strutture insediative analoghe a quelle lasciate nel Vecchio Continente. Come a Petersburg, tuttora considerata una "piccola Norvegia". Coloni ed emigranti che spesso fondarono ex abrupto i propri insediamenti in zone isolate e deserte. Ma più frequentemente edificarono case e moli, innalzarono fabbriche e conservifici di pesce, stabilirono segherie, ecc. in stretta prossimità dei tradizionali insediamenti degli autoctoni: gli indiani del nord-ovest. Un gruppo culturale omogeneo comprendente, oltre ai Tlingit (di cui parleremo in seguito), altri sei gruppi. Che si dividono tra Canada e lo Stato di Washington: i Salish, i celebri Kwakiutl, ma ancora i Nootka, i Bella Coola, i Tsimshian e gli Hàida. Complessivamente essi vengono anche chiamati  "indiani del salmone" (per l'economia un tempo basata sull'acquisizione di tale pesce) o "dei totems" (per le loro imponenti realizzazioni, dallo straordinario valore artistico ed estetico, oltre che socio-culturale). E l'Alaska sud-orientale presenta caratteristiche geo-climatiche ed etno-antropologiche del tutto differenti da quelle dell'Alaska continentale, situata più a nord. Che dal punto di vista demo-etnografico "aborigeno" include eschimesi (Inuit) e Aleuti. Le uniche eccezioni sono rappresentate dagli indiani Tlingit Yakutat e dai Dené dell'interno.

Ben più prodigo di effetti, non del tutto positivi per il tradizionale tessuto socio-culturale degli indiani del nord-ovest fu il ripetersi, spesso improvviso e travolgente, di tumultuose "corse all'oro". Che non poterono che contribuire, in misura determinante, ad accrescere la pressione dei bianchi nella regione. Nel corso della navigazione nel Passage la spedizione avrebbe appreso, in assoluto "tempo reale", che stava prendendo forma quella che nella storia dell'umanità sarebbe diventata  la "corsa all'oro" per antonomasia: "il Klondike" [5]. "Che doveva commuovere il mondo intiero un mese dopo il nostro passaggio" (De Filippi, 1900.:30-31). "By July 1897 this word [Klondike] was on the tongue of every adventurous soul around the world" (Stanton, 1974).[6] Verso le lontane terre dell'Alaska e dello Yukon (al grido di "Ho for the Klondike") si sarebbe in poco tempo diretta, proveniente da tutto il mondo, un'immensa fiumana di gente, i cosiddetti stampeders -alternativamente definiti "argonauti"-. Composti per lo più, non da avventurieri "di mestiere", bensì da uomini ( e donne) "comuni": impiegati, insegnanti, contabili. Insomma cittadini! In numero di circa 100.000 (Satterfield, 1980:18).

L'immenso ghiacciaio Malaspina, che dalla Baia Yakutat la spedizione del Duca avrebbe attraversato in maniera pressoché longitudinale, nel suo itinerario verso la vetta del Sant'Elia, avrebbe perfino costituito, in quell'anno, e nel successivo, uno dei percorsi alternativi (il peggiore) per giungere fino ai giacimenti d'oro. Cento furono i temerari che vi avventurarono. Solo quattro ne uscirono vivi: due ciechi, gli altri con gravi problemi agli occhi (Satterfield, cit. : 64).

Le tradizionali strutture socio-economico-culturali dei nativi sul finire del secolo, e perciò anche al tempo dell'arrivo del Duca degli Abruzzi, stavano subendo profonde, a volte, devastanti ondate acculturatrici, di cambiamento e di disgregazione culturale. Che forse nella loro più che millenaria storia non avevano mai conosciuto o dovuto affrontare. In effetti i primi studi scientifici condotti alla fine del XIX secolo da etnografi professionisti (a parte qualche "illuminato" precursore del passato) sui Tlingit (simili a quelli effettuati tra i Kwakiutl, i Tsmishian, e a tutti gli altri popoli di questo interessante gruppo culturale), fecero luce su quello che eufemisticamente può essere definito un profondissimo disagio culturale. Esse descrissero situazioni che solo in questi ultimi decenni (vedi la III parte della nota n. 17) sono state considerate frutto di un "imbarbarimento", che aveva modellato e impermeato di sé talune usanze, radicalizzandole in maniera "estrema". In particolare mi riferisco ai potlatchs, un tempo solo "Grandi Feste", sul tipo di quelle descritte magistralmente dal Lanternari. In effetti molti colleghi statunitensi cominciarono a rilevare come gli effetti più deleteri di queste feste, ad esempio la gigantesca e assurda distruzione di proprietà e di intere ricchezze, accumulate nel corso degli anni, abbiano caratterizzato esclusivamente un particolare momento storico. Che era perciò quelle che venne esaminato, in quei medesimi anni, da quei primi studiosi. Perciò l'esasperazione di alcune istituzioni culturali andavano riferite ad un'epoca ben specifica e del tutto atipica: quella della fine del XIX secolo. Al tempo in cui l'incontro-scontro tra culture, l'abbraccio "mortale" con la cultura europea, sempre più onnipresente e invasiva, aveva portato le popolazioni indiane ad una profonda crisi esistenziale comunitaria e al collasso culturale. Dove moderazione ed equilibrio erano divenute valenze del tutto obsolete e opzionali,  sostituite com'erano da eccessi sfrenati di megalomania autodistruttiva e da conati annichilatori.

Tutto il percorso della spedizione italiana si dipanerà, quindi, nell'Inside Passage, attraverso l'Alaska sud-orientale, che è terra degli indiani Tlingit. Che costituiscono la tribù più settentrionale degli "indiani dei Totem". Alla quale appartengono gli Stikine di Wrangell, i Sitka (da cui il toponimo della città alaskana) e gli Yakutat, che parteciparono alla spedizione alpinistica in qualità di portatori.

2. INTRODUZIONE STORICO-GEOGRAFICA

La catena montuosa americana del St. Elias venne scoperta poco più di un secolo e mezzo prima dell'arrivo degli italiani dall'esploratore-navigatore danese Bering[7] nel corso della sua seconda esplorazione del 1741 al servizio dell'Impero. Poco più di venti anni prima lo Zar Pietro il Grande aveva infatti manifestato concretamente  la volontà di ampliare la conoscenza geografica delle terre situate al di là della Kamchakta. Desiderio che alla sua morte venne attualizzato dalla vedova, Caterina I.

Subito dopo il rientro in Siberia, nel 1743, dei superstiti della spedizione del Bering, i primi cacciatori di pellicce (promsyshlenniki) a bordo delle loro shitik sarebbero partiti in direzione della nuova terra. Al ritorno dalle loro prime esplorazioni di caccia, essi propalarono la notizia che le isole che vi si trovavano (come le Aleutine) fossero ricche di animali da pelliccia. Nel 1783 veniva creata una compagnia privata, la Golikov-Shelikhov, che inviò in America navi e uomini. Nel 1784 nell'isola Kodiak venivano gettate le fondamenta di un villaggio che avrebbe costituito la base americana della compagnia. In quel tempo il più vicino centro abitato da europei era il modestissimo insediamento di San Francisco (creato nel 1776). Successivamente l'establishment russo cominciò ad interessarsi a quelle terre. Approvando nel 1799  la "carta" di un'impresa commerciale che, sulla falsariga dell'onnipotente Hudson Bay Company, avrebbe avuto il monopolio e la proprietà sulla terra americana, la Compagnia Americana Russa. Il primo suo Glavnyi Pravitel  (Governatore o " Direttore Capo") fu il Baranov. Nel tempo egli sarebbe stato in grado di consolidare, e poi di sviluppare questa straordinaria appendice zarista in territorio americano denominata "America Russa". Ciò nonostante quelle che apparivano le numerose minacce di aggressione provenienti dall'esterno e la costante presenza di commercianti europei (e, in seguito, americani), alcuni dei quali continuarono ad esercitare i loro traffici illegali di armi ed alcool con gli indiani. Le pelli avrebbero costituito, ancora per molti decenni, l'insostituibile ricchezza della colonia. Esse a migliaia, a centinaia di migliaia,  sarebbero state "raccolte" dalle nordiche isole Pribilof giù fin sulla costa settentrionale della California, a Forte Ross, costruito nel 1812.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Una stretta fascia costiera esistente tra Canada e Oceano Pacifico, dove è situata Juneau, dal 1959 capitale del 49° Stato USA forma l'Alaska sud-orientale. Essa con le numerose isole ed arcipelaghi adiacenti delimita il "Passaggio Interno", una storica via d'acqua ben più agevole da percorrere rispetto a quella dell'Oceano aperto. L'Inside Passage si prolunga a sud fino a toccare Seattle, nello Stato americano di Washington, dopo aver costeggiato la canadese Colombia Britannica. Tra  Seattle e Skagway (il capolinea settentrionale) ci sono 1838 Km di sicuri canali posti tra continente e mondo insulare.

E' questo un paesaggio caratterizzato dalle infinite frastagliature della linea costiera che stretti e canali separano da mille isole, isolotti e scogli, punteggiato da immensi boschi[8] e "verticalizzato" da imponenti montagne. Qui superbi ghiacciai, impetuosi fiumi, cascate e laghi vanno ancora a rifinire, abbellendolo, l'intero ed "unico" dioramico panorama. In effetti la natura  assume in questi paraggi un'importanza determinante. Il paesaggio, anche se di quando in quando umanizzato, continua tuttora ad essere l'interprete principale dell'intera rappresentazione poiché, pressoché ovunque, riesce abilmente a dissimulare, all'interno della propria rigogliosa, straripante natura ( aiutato in questo anche dalle numerose giornate contrassegnate da pioggia e nebbia), i segni dell'uomo: cittadine e villaggi, strade, abitazioni e monumenti storici, totems, imbarcazioni e idrovolanti, ecc... E' quello un ambiente ancora abbastanza "incontaminato" e dimenticato dal turismo di massa, ma ricco di imprevedibili testimonianze storiche e di vitali presenze appartenenti a culture "altre da noi".

Al censimento del 1890 gli abitanti dell'intera Alaska erano appena 32.052 (di cui oltre 23.531 indiani, 4223 "tra mongoli e meticci" e solo 4298 bianchi) (De Filippi, 1900:18)[9]

3. INTRODUZIONE ETNO-ANTROPOLOGICA: GLI INDIANI DEL NORD-OVEST, I TLINGIT

I Tlingit "sono ora circa 4500, e sono quelli che si sono più modificati pel lungo contatto coi bianchi" (De Filippi, cit.:19)

"I rari villaggi di pescatori indiani, addossati al bosco, dinanzi ai quali si aggirano le piroghe leggiere e qualche barca con una piccola vela triangolare concorrono a dare al paese come una singolare impronta di verginità" (p.24).

"I Thlinket sono schamanisti o feticisti (...) Molti indiani sono ora convertiti al cristianesimo (...) molti vestono come i bianchi, alcuni parlano l'inglese, e pochissimi hanno imparato a scrivere e leggere. Certo, esteriormente, la loro civilizzazione pare ben poco progredita. Non sono più feroci come un secolo fa; è quasi scomparsa l'abitudine del tatuaggio e di portare anelli alle labbra o al naso, ma il loro aspetto e il loro modo di vivere sono ancora presso a poco quali li descriveva Vancouver nel 1794" (p. 26-27).

Un viaggiatore, come era appunto il Duca degli Abruzzi, che nel XIX secolo fosse in navigazione nelle relativamente tranquille acque del "Passaggio Interno" e che intendesse  avvicinarsi e sbarcare sulla costa, sarebbe stato notevolmente impressionato e fortemente attratto dall'aspetto, non solo del paesaggio naturale, del tutto invasivo e sorprendente, che lo circonda in ogni dove. Un complesso, intricato, forse anche "caotico", blend  composto da mare, terra, cielo, alte montagne innevate, profondi fiordi, frastagliate isole, foreste sterminate, ghiacciai... Con ogni probabilità, come si legge nelle relazioni di quei navigatori, ma anche di tutti coloro che ne esplorarono per primi parti del suo itinerario, ciò che li attendeva sottocosta era, forse, ancora più affascinante dello stesso ambiente. Gli insediamenti delle popolazioni autoctone erano tutti localizzati nelle immediate adiacenze delle spiagge, e ad esse parallele. I frontali delle loro lunghe case e gli alti totem commemorativi, fatti costruire dai capi più importanti riuscivano spesso a filtrare al di là della cortina nebbiosa che fa parte integrante di questi luoghi così insoliti per un europeo. Avrebbe, quindi, via via intravisto le punte degli altissimi alberi di conifere, seguite dai tetti delle grandi case costruite fin sulla  spiaggia. Poi avrebbe individuato la diffusa presenza di decine di alti pali, superbamente scolpiti, posti davanti e ai lati di quelle abitazioni. Infine sarebbe riuscito ad osservare le lunghe e agili piroghe da guerra e da pesca. Gli altri particolari sarebbero giunti in seguito.

Allorché alcuni anni addietro ebbi modo di essere in qualche modo "iniziato" a queste culture marittime, avvicinandomi ad esse nell'unico modo possibile, che è tuttora quello di una volta: per via d'acqua, e la nave si stava ormai avvicinando, attraverso una forte pioggia estiva e nella spessa nebbia, ad uno dei loro più importanti insediamenti (in Canada), tanto che se ne riuscivano a distinguere i primi manufatti, mi trovai inaspettatamente a pensare, forse anche con un pizzico di invidia, alla "fortuna" di cui avevano goduto quegli etnologi che vi avevano lavorato nello scorso secolo, come il grande Franz Boas. Essi avevano avuto la possibilità di potersi accostare a queste comunità, che sorgono in luoghi così affascinanti e suggestivi, che a quel tempo ancora conservavano, abbastanza "integre", la propria struttura culturale, moltissime  istituzioni e numerosi elementi culturali tradizionali. In quel tempo essi continuavano a perpetuare il loro "unico" modulo abitativo.

Il moderno viaggiatore può solo tentare di andare con l'immaginazione a ciò che rappresentava, in quell'epoca, una vera e propria stupenda e spettacolare introduzione a queste comunità indiane, se tali aggettivazioni possono essere in qualche modo consentite ad uno studioso dell'Uomo!  D'altra parte lo scenario nel quale esse sono calate, l'habitat naturale e gli specifici aspetti geo-climatici, non hanno subito modifiche, se non impercettibilmente. Il paesaggio naturale, l'avvicinamento dal mare, le nebbie che tutto avvolgono e nascondono: sono queste variabili indipendenti, le stesse che trovò nel 1897 il Duca degli Abruzzi.  E' l'aspetto culturale delle comunità, compreso quello insediativo, che si è ovviamente trasformato nel corso del tempo, a volte  anche radicalmente. Per quanto riguarda il villaggio, esso, ove non sia stato abbandonato definitivamente, ha in genere subito un lieve spostamento verso l'interno. Molti degli alti totem sono stati lasciati completamente in balia delle intemperie e dell'erosione degli agenti marini, molti altri sono stati restaurati, posti anche all'interno di strutture museali grandi e piccole, "in loco", o altrove, nella regione o nei grandi musei nazionali. Ancora oggi continuano ad essere costruiti, perpetuando così nel tempo le tradizioni storiche, di cui è parte fondamentale l'attaccamento alla propria identità individuale, famigliare, clanica e di gruppo.

Ogni studente di etnologia e/o di antropologia culturale, durante il proprio corso studiorum prima o poi avrà modo, più volte, di toccare letteralmente con mano, sfogliandole, pagine e pagine di brillanti analisi e approfondite ricerche che in questo ultimo secolo e mezzo sono state focalizzate sulla cultura di questi  indiani.  E ciò per tutto un concatenamento di cause facilmente individuabili. Non solo l'intera economia di questo gruppo era - ma lo è ancora oggi - correlata al mare e all'ambiente marino. Esso, dal punto di vista socio-culturale, ma anche da quello più prettamente e concretamente estetico ed artistico, è caratterizzato dalla costruzione di alti totem commemorativi stupendamente intagliati e, infine, da complesse e rituali attività ludiche, cioè dai potlatchs "grandi feste". Naturalmente non fini a se stesse. Esse avevano lo scopo principale di   affermare con determinazione personalità, ruolo e importanza dell'organizzatore, con notevoli risvolti a carattere economico. Il tutto, come è nell'ordine delle cose, trovava una sua sistematizzazione, una sua integrale ed integrata organizzazione, nell'ampio alveo culturale. Ecco quindi che salmoni, totem, potlatchs, insediamenti marittimi, ma anche "monete" di scambio (rami, coperte, ecc.) formano un unico lunghissimo filo conduttore che, anche se è andato incontro a più o meno rapidi cambiamenti e trasformazioni, conservando pressoché "intatto" quello che costituisce lo "zoccolo duro" di ogni patrimonio tradizionale (pensieri, atteggiamenti, comportamenti, reazioni all'ambiente ed agli "altri"), ha saputo condurre e guidare questi popoli attraverso il tempo, fino ad oggi, fino alla soglia del III Millennio. E ciò nonostante, in passato, ci si sia accaniti più o meno volontariamente su questi gruppi umani ( coercizioni da parte di individui e di governi - quello canadese e quello americano e, prima ancora, di quello della Compagnia dell'America Russa: traffico illecito e quindi diffusione di alcool, attacco alle istituzioni "cuore" di queste culture, come la lunga proibizione di effettuare i "potlatchs", migrazioni invasive di europei, permanenti -coloni- o temporanee - corse all'oro, ecc.)[10]

L'etnonimo Tlingit, gli indiani che il Duca avrebbe incontrato durante tutto il suo itinerario nell'Inside Passage: a Wrangell, come a Sitka, come a Yakutat[11], al pari di tanti altri significa "gente". Essi etno-linguisticamente appartengono al gruppo Koluscha (dal russo kalyuska, il "pezzo di legno" che un tempo si infilavano nel labbro inferiore), e come gli altri gruppi sono divisi in tribù: Chilkat, Sitka, Stikine, Yakutat, tra le altre. Assieme ai più settentrionali Aleuti, i Tlingit furono tra i primi popoli, appartenenti a questo settore nord-Pacifico a venire avvicinati dagli europei[12]. E dobbiamo ad un russo, il missionario ortodosso Veniaminov (che sarebbe diventato prima Vescovo d'America e Siberia e, infine, Metropolita di Mosca), i primi originali contributi etno-antropologici su questa popolazione[13]. Il salmone era alla base dell'alimentazione di questo popolo ed ancora oggi i Tlingit, oltre al lavoro nelle segherie, sono impiegati nella  pesca e  nella correlata industria conserviera. I  sempre più frequenti contatti con i bianchi risultarono a volte nefasti per gli indiani del nord-ovest, che vennero decimati da epidemie di vaiolo, oltre che da tubercolosi e sifilide. I Tlingit Sitka furono gli unici indiani ad opporre una qualche resistenza ai bianchi ( nel 1802 e nel 1804)[14], se si eccettua qualche lieve scaramuccia (nei confronti di russi, inglesi e americani) innescata dagli Stikine (di Wrangell). Nelle loro case lunghe, costruite con i lunghi tronchi di cedro, si raccoglievano centinaia di persone contemporaneamente. Nei lunghi mesi invernali i capi davano grandiosi festeggiamenti, che si traducevano in vere e proprie orge alimentari, durante le quali, festeggiando un matrimonio, celebrando una vittoria o ristabilendo relazioni d'amicizia con gruppi rivali, si dilapidava in breve tempo un immenso patrimonio consistente in cibo, olio di pesce diritti di pesca, schiavi, canoe, coperte e lastre di rame. Era questa  indubbiamente una delle occasioni in cui i capi avrebbero fatto erigere totems commemorativi, il cui lavoro sarebbe andato avanti anche per anni. Successivamente i potlatchs avrebbero gradatamente perso gran parte della loro frenesia orgiastica, tanto da diventare, già prima della loro proibizione[15], diverse cose: "un modo di ereditare la propria  posizione dallo zio, di prendere il nome, diventare adulto, inaugurare una nuova casa, essere commemorato al momento del decesso" (Hassett, 1982:4)[16].

4. CENNI DI ANTROPOLOGIA URBANA: STORIA E SVILUPPO DEGLI INSEDIAMENTI

WRANGELL

"...si arriva a Fort Wrangell (...)  il primo centro importante d'Alaska. S'intende che l'importanza è relativa. Il paese ha poche centinaia di abitanti, in maggioranza indiani Thlinket che hanno le loro case disposte lungo la riva, accanto alle abitazioni migliori, a due piani, dei bianchi. Il paesetto è dominato da una palazzina, sede dell'autorità governativa. Dietro le capanne indiane sono le tombe di qualche Schaman o stregone, guardate da tronchi alti venti o trenta metri, sormontati da figure di animali, rozzamente intagliate (...) Sono i Totem, o colonne ancestrali, veri stemmi famigliari degli indiani (...) La loro sudiceria è rivoltante; nelle case e fuori c'è un tanfo insopportabile per le immondezze che si accumulano dentro e attorno di esse " (p. 25-26).

Wrangell (attualmente ha circa 3000 abitanti) è sita sull'omonima isola. I russi nel 1833-4 vi costruirono il Forte Dionisio (arrivandovi in estate a bordo del brigantino Chichagoff comandato dal Tenente Dionysius Zarembo) per tenere alla larga i sempre più invadenti e numerosi trappers  della Compagnia della Baia di Hudson. Il nome del forte sarebbe poi cambiato in Stikine (dal nome della locale tribù Tlingit) allorché la Compagnia ottenne in leasing la zona dai russi. Quando gli americani arrivarono nel 1867, esso venne ulteriormente ribattezzato in Wrangell, dal nome del barone estone d'origine germanica, Ferdinand Von Wrangell, già Governatore della Compagnia Americana Russa. Wrangell sarebbe divenuto uno dei principali punti di partenza per i cercatori d'oro diretti verso il Cassiar ed il Klondike.

Al tempo del Capo Shakes, il più importante nella storia del gruppo degli Stikine,  si verificarono notevoli attriti. Dapprima con i russi, poi con gli inglesi (1840 e 1844) e infine con gli statunitensi(1869). I Tlingit ricorsero ai loro lunghi coltelli e a vecchi moschetti. I bianchi risposero dal forte con colpi di cannone, di fucile e con l'impiccagione dello sciamano Scutdoo.

Il Muir (il geologo scopritore dell'omonimo ghiacciaio nella Glacier Bay) in un articolo del 1897 ricorda come gli indiani occupassero entrambe le estremità della cittadina, posta parallelamente lungo la costa. Dove pure si trovavano spiaggiate numerose piroghe, tutte simili tra loro, dalle alte prue a becco d'uccello, che potevano trasportare fino a venti-trenta persone. I circa cinquanta residenti bianchi abitavano invece nel centro della cittadina[17]

SITKA

"Alle due e mezzo pomeridiane del 20 giugno (...) il "City of Topeka" entrava nel porto di Sitka, allora animatissimo (...) La città... ha 1200 abitanti ed è ora sede del Governatore e della Corte distrettuale d'Alaska. Solo nel 1884 gli Stati Uniti stabilirono un governo regolare nell'Alaska; esso ha sede alternativamente a Sitka e Fort Wrangell. Sitka non ha altre risorse che la pesca del salmone e la conciatura di pelli; l'estate fresca e la posizione ridente della città attirano ogni anno un discreto numero di persone che vi passano la buona stagione" (p. 42).

Le condizioni del viaggio di ritorno della spedizione verso Sitka, dopo la conquista del Sant'Elia, sarebbero state totalmente diverse, all'indomani dell'inizio della corsa all'oro del Klondike: "Le acque dell'arcipelago, così solitarie quando le avevamo percorse in giugno erano ora solcate da un grande numero di piccoli piroscafi, stracarichi di gente, di cavalli e di merci, che navigavano tutti verso Nord. Era l'emigrazione di tutto un popolo che correva affannosamente e tumultuosamente verso il paese dell'oro, l'Yukon ed il Klondike. Era trascorso poco più d'un mese dacché la notizia delle scoperte di ricchissimi giacimenti nel bacino dell'Yukon era arrivata negli Stati uniti, e già l'Alaska riempiva di sé le riviste e i giornali di tutto il mondo" (p. 189)

Sitka (8588 ab.) sull'isola Baranov, si trova a nord-ovest di Wrangell. Nel 1799/1800 vi venne infatti fondata, con il nome di Novo Arkangelsk, la futura capitale dell'America Russa. Agli esordi l'insediamento avrebbe sperimentato l'estrema pericolosità dei  Tlingit, che si ribellarono ai russi nel 1802 e li ingaggiarono in un combattimento.  Molti russi e Aleuti persero la vita, molti furono catturati e resi schiavi. Il forte dovette essere abbandonato. Il Baranov, l'autentica mente della straordinaria epopea russa in America, nel 1804 riconquistava Nuova Arcangelo, da allora promossa a capitale coloniale.

Nel 1808 c'erano di guardia già sessanta cannoni e l'insediamento era protetto da un'imponente palizzata. Erano stati costruiti molti edifici e le strade avevano marciapiedi in legno. Un faro brillava all'ingresso del porto, dove esisteva un piccolo cantiere navale. Il "castello di Baranov", un imponente edificio a due piani, troneggiava su tutto. All'interno aveva una sala per banchetti, oltre ad una biblioteca di 1200 volumi. Ogni anno circa cinquanta navi  facevano sosta a Nuova Arcangelo, poiché il suo porto di fatto era l'unico attrezzato a nord delle Hawaii. Un'orchestrina intonava spesso l'inno della colonia: "Lo Spirito dei Cacciatori Russi". Intorno al 1817 vi funzionava una scuola. Molti giovani, tra cui i figli dei capi Tlingit, venivano inviati in Russia per imparare navigazione, contabilità, ecc. La città di Nuova Arcangelo  avrebbe attraversato un lungo periodo florido, tanto che fu denominata la "Pietroburgo del Pacifico". I traffici commerciali dovevano ampliarsi notevolmente. Il territorio della colonia arrivò fino ai 54° 40' Lat S. E dire che le navi militari che, sia pure saltuariamente, cominciarono a pattugliare quei mari, ma anche quelle che in futuro avrebbero comunque assicurato dalla Madre Russia la regolarità nei rifornimenti, dovevano quasi circumnavigare il globo per potersi ancorare nella sua rada. Nel 1841 si varava il primo vascello a vapore del Pacifico, il Nicholas I e iniziavano i lavori per la cattedrale ortodossa (ultimati nel 1848). Furono installati osservatori meteo e pubblicate le prime carte idrografiche. Nel 1859 vi esisteva un collegio, dove venivano insegnate lingue moderne, matematica, scienze, astronomia, navigazione, contabilità. Nel 1860 i cantieri di Novo Arkangelsk varavano 60 navi. Nel 1861 la città raggiungeva i 2500 abitanti, aveva un teatro al piano superiore del "Castello", con rappresentazioni in francese e russo, oltre a quattro  scuole inferiori, una biblioteca pubblica, due Istituti scientifici (uno zoologico e l'altro per lo studio del magnetismo terrestre) bei giardini pubblici. Le navi della Compagnia  arrivavano a Shanghai, New York e San Francisco, ma si ancoravano anche nei porti di Brema, Amburgo e Londra.

Il 18 ottobre 1867 90 marinai e 180 soldati di un reggimento siberiano  componenti la guarnigione della città marciarono in parata al suono dei tamburi fino al Castello di Baranov. Contemporaneamente soldati statunitensi, sbarcati dalle loro navi presenti in rada, si sarebbero portati in prossimità dei russi. I  rappresentanti dei due Stati effettuarono lo scambio delle consegne, mentre veniva ammainata la bandiera zarista ed innalzata sul pennone quella a stelle e strisce. L'America russa era stata acquistata, grazie al fine operato del Segretario di Stato USA Seward, per 7.200.000 dollari. Anche se per molto tempo, come sappiamo, si sarebbe parlato di questo "affare" come della "follia" di Seward , o dell'acquisto di un'immensa "scatola vuota". Ma già nel 1861 "Buck" Choquette aveva trovato l'oro nel Cassiar. Nel 1873 si sarebbe aperta la corsa all'oro nel Cassiar da parte dei sourdoughs[18]. Poi sarebbe venuto il Klondike... Dopo, Nome. Infine, il petrolio...

Dieci anni dopo l'acquisto dell'Alaska, nel 1877, allorché i soldati statunitensi dovettero essere rapidamente trasferiti nell'Idaho allo scopo di sedarvi una rivolta indiana, a Sitka vivevano ancora 400 russi, oltre a 200 meticci e 1200 indiani (Wood, in Oppel, cit.:116).

Oggi nel Sitka National Historical Park possiamo ammirare numerosi totems Tlingit e Hàida sparsi nella foresta, nonché l'annesso museo, che raccoglie  parecchi manufatti ed oggetti Tlingit e russi. E nelle vicinanze, la foce dell'Indian River dove, nell'area del Kiksadi Tlingit Fort,  si svolse la sanguinosa battaglia (1804) tra Tlingit e Russi[19] La città è comunque e naturalmente bella di per sé. La sua Silver Bay sorge in un posto incantevole circondata com'è da alte montagne boscose, disseminata da tanti meravigliosi isolotti. Guardando ad est, oltre le cime delle decine e decine di alberi delle imbarcazioni alla fonda, si ha un'inaspettata sorpresa. In effetti si prova l'incredibile illusione di aver forse sbagliato continente e di essere arrivati...in Giappone! Un vulcano, dal cratere sempre innevato, l'Edgecumbe, troneggia maestoso ad una quindicina di miglia oltre il Sitka Sound e assomiglia notevolmente al tradizionale Fujiyama.

SKAGWAY[20]

Skagway (850 abitanti), venne fondata nel 1895 da un certo capitano Moore (come Mooresville). Il nome deriva Skaguay, un termine dei Chilkat Tlingit (è una loro area tradizionale), che significa: "casa del vento del nord". Attualmente è il terminale settentrionale dell'Alaska Marine Highway System (Southeastern Route), così come dell'Inside Passage. Skagway è stata la naturale base di partenza per le migliaia di cercatori che, superando il Chilkoot Pass[21] corsero alla ricerca dell'oro del Klondike (Yukon) negli anni 1897/98[22]. Mentre la ferrovia del White Pass and Yukon Route venne terminata "fuori tempo massimo" [23]. Nel 1898 la popolazione della cittadina toccava i 20.000 abitanti. Era una città senza legge, una tipica città mineraria di frontiera, dove frequenti erano gli omicidi, i suicidi e le rapine e dove regnava il gioco d'azzardo, la prostituzione, l'alcoolismo. Venne descritta come "the worst hell hole on earth". Tutto ciò si dovette alla presenza di un solo uomo e della sua banda: Jefferson Randolph "Soapy" Smith. Che venne infine ucciso da Frank Reid in un "classico" duello, nel luglio del 1898 . Smith morì subito, il suo rivale, ferito mortalmente, dopo quasi due settimane. Quando l'ordine e la legalità avevano finalmente ottenuto cittadinanza a Skagway. Di rilievo l'arteria principale, Broadway, i cui edifici circostanti- il Golden North Hotel, lo Skagway Inn, il Soapy Smith Parlor, e tanti altri - con la loro muta presenza ci narrano l'incredibile epopea dell'oro. Mentre a circa 7 Km di distanza dal centro cittadino troviamo il cimitero del Gold Rush. Dove, oltre alle tombe dei duellanti, riposano quegli anonimi cercatori che non arrivarono mai nello Yukon canadese, non riuscendo ad avverare i loro sogni di ricchezza. Poiché rimasero bloccati, e per sempre, dagli stenti[24], dalle malattie, dal gelo o da incidenti mortali. Come nell'aprile del 1898, quando diverse decine di cercatori furono travolti da una valanga.

5. BIBLIOGRAFIA

C.L. ANDREWS, Wrangell and the Gold Of The Cassiar. A tale of Fur and Gold in Alaska, Seattle: The Shorey Book Store, ristampa anastatica, 1981 (1937).

N. BANCROFT-HUNT, Popoli dei Totem. Gli indiani della costa americana nordoccidentale, Novara: De Agostini, 1979 (1979).

R. BENEDICT, Modelli di cultura, Milano: Feltrinelli, 1960 (1934).

R. BIASUTTI, "Gli indiani del nord-ovest e della California", in R. Biasutti, Le razze e i popoli della terra, vol. IV, Torino: 1967IV, pp. 396-422.

F. BOAS, Ethnology of the Kwakiutl, 35° Annuario del Bureau of American Ethnology, Smithsonian Institution, Washington:Government Printing Office, 1921.

H. CHEVIGNY, Russian America. The Great Alaskan Venture, 1741-1867, Portland:Binford & Mort, 1979 (1965).

X. de CRESPIGNY, "Esploratori e cercatori dell'Artide ", in I Popoli della Terra, XV°, Evans-Pritchard E. ( a cura di), Milano: Mondadori, 1975 (1973), pp. 38-47.

F. DE FILIPPI, La Spedizione di Sua Altezza Reale Il Principe Luigi Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi al Monte Sant'Elia (Alaska) -1897-, Milano: Hoepli, 1900.

G.T. EMMONS, "Native Account of the Meeting between La Perouse and the Tlingit" , in Selected Papers from the American Anthropologist, 1888-1920 , F. De Laguna (a cura di), Washington: American Anthropological Association, 1976 (1966), ma 1911, pp.760-764.

F. FUNSTON, "Over the Chilkoot Pass to the Yukon", in Oppel, Tales...pp. 281-294.

M. HARRIS, L'evoluzione del pensiero antropologico. Una storia della teoria della cultura, Bologna: Il Mulino, 1971 (1968).

B. HOLM, Northwest Coast Indian Art: An analysis of form, North Vancouver, J.J.Douglas, 1978.

J.A.JACOBSEN, Alaskan Voyage 1881-1883. An Expedition to the Northwest Coast of America, from the German Text of Adrian Woldt, Chicago and London:The University of Chicago Press, 1983 (1884).

D. e N. KAIPER, Tlingit, Their Art, Culture and Legends, North Vancouver: Hancock House Publishers Ltd 1981 (1978).

R.KENNEDY SKIPTON, "Le genti dell'Alaska", in I Popoli della Terra, XV°, Evans-Pritchard E. ( a cura di), Milano: Mondadori, 1975 (1973), pp.18-37.

V. LANTERNARI, La Grande Festa, Milano: Il Saggiatore, 1959.

V. LANTERNARI, Movimenti religiosi di libertà e di salvezza dei popoli oppressi, Milano: Feltrinelli, 1974 (1960).

R.W. MEADE, "Alaska", 1871, in Oppel, Tales....,pp. 179-193.

P. MERCIER, Storia dell'antropologia, Bologna: Il Mulino, 1972 (1966).

M. MILA, "Cento anni di alpinismo italiano", in C.- E. Engel, Storia dell'alpinismo, Milano:Mondadori, 1969 (1950), pp. 303-430.

J. MUIR, "The Alaska Trip", 1897, in Oppel, Tales..., pp. 201-214.

F. OPPEL (a cura di), Tales of Alaska and The Yukon, Secaucus: Castle.1986 [ristampa anastatica di numerosi articoli pubblicati tra il 1871 e il 1910].

F. PELLICCIONI, "Balene e balenieri tra artico e subartico. Nell'emisfero boreale tra avvistamenti di balene, vecchie stazioni, attuali cacce e... gli eschimesi", Rivista Marittima, CXXIX, Maggio, 1996, pp. 97-115.

F. PELLICCIONI, "Viaggio nella terra dei totem: tra gli indiani Kwakiutl , Tsimshian  e Tlingit (Colombia Britannica e Alaska sud-orientale)", L'Universo, in corso di pubblicazione.

F. PELLICCIONI, "In navigazione attraverso l'Inside Passage, Alaska sud-orientale. Viaggio nell'Arcipelago Alessandro nei territori dell'ex America Russa (1741-1867)", Storia e Dossier, in corso di pubblicazione.

A. SATTERFIELD, Chilkoot Pass. The Most Famous Trail in the North, Anchorage: Alaska Northwest Publishing Company, 1980 (1973).

G. SPERONI, Il Duca degli Abruzzi, Milano: Rusconi, 1991.

J.B.STANTON, Ho for the Klondike. A Whimsical Look at the Years 1897-1898, Saanichton:Hancock House, 1974.

L.M. WASHBURN, "A Summer Tour in Alaska", 1894, in Oppel, Tales...pp. 421-431.

C.E.S. WOOD, "Among the Thlinkits in Alaska", 1882, in Oppel, Tales...pp. 115-131.

NOTE:

[1]Fondata nel 1880 da un cercatore d'oro, nel 1890 aveva 1253 abitanti. Era la città più popolosa d'Alaska, "ed è in via di rapido accrescimento" (De Filippi, cit.:29).

 

[2]Questa in effetti da numerosi anni (almeno dall'inizio degli anni '80) era diventata ormai anche la tradizionale rotta seguita, ogni estate, dai vapori. Che lasciavano settimanalmente il Puget Sound, nello Stato di Washington, con  numerosissimi turisti a bordo : "The tourists who every summer crowd the excursions steamers that sail up the long stretches of the inland passage to Alaska..." (Funston, in Oppel: 281). In totale duemila miglia, tra andata e ritorno, in dodici giorni, per un costo di cento dollari. E il turismo avrebbe costituito un'altra delle cause dell'aumento della pressione europea sull'Alaska sud-orientale, che a noi qui interessa (vedi anche: Funston, Muir e Washburn, in Oppel, cit.).

 

[3]Già nel 1850 i balenieri americani avevano scoperto le fisheries dello Stretto di Bering.

 

[4]Gli equipaggi delle baleniere statunitensi erano composti da europei, africani, giapponesi, cinesi e arabi. I Nunamiut, eschimesi alaskani, si mossero lungo la costa per approvvigionare di carne i balenieri. Tutta la regione divenne un gigantesco centro di contatti multirazziali, dove eschimesi alaskani e canadesi, euro-canadesi, europei e membri di ogni razza e nazione vi si mescolavano. I balenieri erano rudi e violenti e l'epoca fu caratterizzata da alcoolismo, crimini e violenze. Gli Inuit del Mackenzie morirono a centinaia, sia perché uccisi da individui ubriachi e rissosi, che per le malattie portate dai bianchi. Una serie di epidemie di rosolia e di vaiolo spazzò via circa la metà della popolazione autoctona. Nel 1910 solo cento trenta individui potevano considerarsi discendenti degli oltre 2000 Karngamalit del Mackenzie del 1850 (Pelliccioni, 1996:114).

 

[5] Viaggiavano "nella seconda classe, insieme colle nostre guide, alcuni minatori diretti alle miniere d'oro dell'interno" (De Filippi, cit.:23)

 

[6]"This occured with the arrival of the SS Excelsior in San Francisco and the SS Portland in Seattle, each with a fortune of gold on board" (Stanton, cit.).

 

[7]Nel giorno del Santo (16 giugno), quando gli apparve "una cosa straordinaria": un monte altissimo "che sorgeva come d'incanto prossimo alla riva del mare". Cinquant'anni dopo il Marchese Malaspina stabilì che era alto 5441 metri (di poco inferiore alla sua reale altezza).  Dal 1886 al 1891 tre spedizioni inglesi tentarono invano di conquistarlo.

 

[8]L'immensa  foresta Tongass, che si estende su un'area di 16 milioni di acri, con abeti rossi e canadesi, cedri e cipressi nordici. E' abitata da orsi bruni e neri, capre di montagna, cervi, lupi e bald eagles, le aquile dalla testa bianca, uno dei simboli degli Stati Uniti. Una delle maggiori popolazioni mondiali di aquile (15.000 esemplari) è qui concentrata.

 

[9]Nell'ottobre del 1867, prima dell'arrivo statunitense, la popolazione dell'America Russa comprendeva circa 50.000 individui, di cui 3000 russi e meticci. Il resto "indiani" (Meade in Oppel:184). Il Meade, i cui articoli risalgono proprio a quel lontano periodo (1871), infatti suddivide questi ultimi in Eschimesi (18.000 unità), Aleuti (5000), Kenayani (20000) e Koloschiani, cioè  Tlingit (5000).

 

[10]Anche se segretamente se ne continuarono a celebrare, l'ordine economico e il modello sociale di distribuzione della ricchezza sarebbe stato totalmente distrutto. I capi avrebbero avuto a disposizione solo quello che guadagnavano e la gente sarebbe dovuta recarsi a lavorare nelle fabbriche conserviere, piuttosto che all'interno delle catene tradizionali di raccolta del cibo.

 

[11]"Alla vista delle navi, gli indiani corsero alla spiaggia agitando torcie di abeti con urla selvaggie...il paese ha poco più di 300 abitanti, che passano la maggior parte della vita, come tutti i Thlinket, in canotto, occupati alla pesca del salmone ed alla caccia di foche e lontre. Il villaggio conta una cinquantina di case ben costrutte" (De Filippi, cit.:46-47). E a Yakutat i russi tentarono, senza successo, di impiantare una colonia agricola, già prima della creazione della Compagnia Americana Russa, nel 1793. Questo sarebbe stato comunque il primo insediamento russo nell'America continentale.

 

[12]Al tempo dei russi i Tlingit assommavano ad oltre 8.000 individui (prima delle epidemie di vaiolo del 1832 e del 1838). Nel 1835 essi sarebbero scesi a 1500 (secondo Veniaminov). Nel 1860 erano ridotti a 697(secondo Tikhmenef). Citati in :Andrews, 1981:4.

 

[13]Ma venne in qualche modo preceduta dalla relazione scritta dal Cook sui Nootka dell'isola di Vancouver.

 

[14]Sembrerebbe che proprio i Sitka in precedenza abbiano attaccato e distrutto, nel 1741, una squadra inviata a terra dal luogotenente di Bering, il capitano Tchirikoff (Meade, cit,:180).

 

[15]Coloro che prendevano parte alle feste vennero multati, imprigionati e i beni confiscati. Nel 1885 il governo canadese con il Canadian Act proibì i potlatchs, che comunque persistettero fino al 1921/22 . L'ordinanza venne revocata solo nel 1951. (Bancroft-Hunt, 1979: 67). Nella stagione invernale, quando i collegamenti venivano a cessare con le stazioni governative (ciò è valido per l'area della grande isola di Vancouver), i potlatchs si sono sempre tenuti. (Cranmer, comunicazione personale, 1983).

 

[16]Tra gli indiani del nord-ovest i Kwakiutl sono forse i più conosciuti, anche dal grande pubblico, poiché sono stati anche tra i più studiati e divulgati. Nella letteratura etno-antropologica, e nella stessa storia dell'antropologia, rappresentano un "modello" di indubbio riferimento teoretico ed euristico, sia per quanto riguarda l'aspetto culturale nel suo complesso, sia per alcune fondamentali e "uniche" istituzioni (e tratti culturali), come quella relativa ai potlatchs, all'edificazione dei totems, al forte afflato economico che ha intimamente impregnato di se questa popolazione, tanto che la si può definire decisamente precapitalistica. E ciò con l'amplificazione, soprattutto negativa, di alcuni suoi aspetti, inseriti all'interno di una società fortemente stratificata: necessità del lavoro degli schiavi, uso spregiudicato ai limiti dell'eccesso egotista e paranoico del potere e della ricchezza, distruzione del potere e della ricchezza altrui grazie alla celebrazione di feste sempre più grandi, nelle quali in poco tempo venivano dilapidate quantità di ricchezze spropositate, in base agli odierni standards europei. Distruzione incontrollata che avrebbe in seguito comportato, per un'esplicita par condicio ante-litteram, un uguale comportamento da parte degli ospiti nel corso di altre feste organizzate per non sentirsi inferiori di fronte al gruppo. I più deboli economicamente si sarebbero prima o poi sicuramente autoannientati economicamente e culturalmente. Era quello un tragico, assoluto, assurdo (ma non troppo, se pensiamo all'attuale condizione delle nostre società capitalistiche) trionfo dell'avere sull'essere portato alle estreme conseguenze: la più completa e drammatica reificazione di "cose", ricchezze e persone.

L'alone di celebrità che circonda il gruppo dei Kwakiutl si deve anche, oltre alla loro "unicità" (del resto condivisa, almeno strutturalmente, anche da tutti gli altri gruppi indiani presenti su queste coste del nord Pacifico), al fatto che esso fu scelto da studiosi già affermati nel loro campo, o che lo sarebbero diventati in seguito, come lo statunitense Franz Boas e numerosi studiosi della sua scuola, tra cui la Benedict. Così che i dionisiaci Kwakiutl ("folli d'ambizione e di mania di grandezza"), assieme ai paranoici Dobu melanesiani, agli apollinei indiani Pueblos Hopi, a partire dagli anni '30 sarebbero andati a costituire proprio uno degli archetipici "modelli di cultura", esaltati da quel classico dell'etnologia che è, appunto, il suo Patterns of Culture . Nonostante i suoi difetti, esso rimane tuttora insuperato nell'ambito della corrente cosiddetta di "Cultura e Personalità" americana, e da tutti, e da tempo, si è ormai consolidato come uno dei capolavori mondiali della letteratura etno-antropologica. A partire dagli anni '50 diversi antropologi hanno duramente criticato sia l'opera della Benedict, che particolarmente quelle del Boas sul Nord-Ovest (Ved. Harris, 1971:403-426 -Boas e 541-547 -Benedict-). In sintesi le critiche partono dal presupposto che all'epoca dell'arrivo del Boas e di altri etnologi americani (e della "lettura" della Benedict), gli indiani del Nord-Ovest, primi fra tutti i Kwakiutl, ma anche i Tlingit, ad esempio, avevano già subito forti ondate acculturatrici. Erano ridotti di numero. C'era un notevole surplus di beni a disposizione, e un'incontrollata voglia di auto-annichilimento proprio perché il vecchio "ordine" era stato coercitivamente stravolto dai bianchi con le loro leggi. Quindi certi eccessi avrebbero connotato solo quel periodo di fine XIX secolo, che sarebbe stato scrupolosamente "annotato" dagli scienziati americani. Fu sempre in quel periodo di disgregazione culturale che anche tra gli indiani del Nord-Ovest si sarebbe propagata una religione salvifica quale lo Shakerismo fondata da John Slocum (Squ-sacht-un), indiano Squaxin del Puget Sound (Lanternari, 1974  :125-131). Per quanto riguarda Boas e Benedict ved. anche Mercier, 1972:87-90,164-165.

 

[17]La maggior parte dei passeggeri del postale sbarcava per vedere i totem di fronte alle case di legno degli indiani e per comprare curiosità: principalmente braccialetti lavorati con l'argento tratto dalle monete da uno e da mezzo dollaro, coperte di lana di capra e pecora (più belle di quelle europee), cucchiai scolpiti, totems in miniatura, sonagli sciamanici, canoe, remi, accette in pietra, pipe, cesti, ecc.(Muir, p. 204).

 

[18]Così venivano chiamati i cercatori d'oro dall'abitudine di portare il lievito per poter fare il pane.

 

[19]Ancora da visitare lo Sheldon Jackson Museum (1888), riguardevole dal punto di vista etnografico, nonché la splendida cattedrale russo-ortodossa di San Michele, replica dell'originaria (1844-48) incendiatasi nel 1966 (le icone e gli altri antichi, preziosi e stupendi arredi religiosi conservati all'interno sono  originali!).

 

[20]Non venne raggiunta dalla spedizione, ma semplicemente "by passata". Ritengo utile darne notizia perché passava per di là la "via diretta" al Klondike.

 

[21]Il numero di coloro che, formando una disperata, faticosissima, lenta catena umana in perenne movimento, riuscirono a superarlo è calcolato in 20.000. Ognuno era obbligato dalla polizia canadese, che attendeva gli stampeders alla frontiera tra Stati Uniti e lo Yukon (solo nel 1900 venne disegnata da una commissione internazionale una linea "provvisoria" di confine), cioè al Passo, a recare con sé (o a far trasportare da appositi portatori, generalmente indiani Chilkat) una provvista annuale di cibo mediamente pesante una tonnellata.

 

[22]Diversi furono i percorsi che portavano al Klondike. Essenzialmente: a) quello "tutto canadese"; b) passando per Wrangell; c) attraverso lo Stretto di Bering, per poi risalire lo Yukon (questa era l'unica via "tutta acquatica"). Ma quella più veloce era costituita dal Chilkoot Trail (Satterfield, cit.: 54-55, 59-66).

 

[23]I lavori ferroviari iniziarono nel maggio del 1898. Essa raggiunse il Passo nel febbraio 1899. Nel luglio del 1900 la linea si congiunse, a Carcross, con i binari costruiti a sud di Whitehorse Fu la fine del Chilkoot Pass. Ma per il trasporto degli stampeders  la ferrovia risultò perfettamente inutile!  Altro oro era stato trovato ad Atlin, nella Colombia Britannica nell'agosto del 1898. In quello stesso periodo i filoni più ricchi del Klondike erano in via di esaurimento. Nel 1899 si sarebbe invece aperta un'altra corsa verso Nome, nello Stretto di Bering (Satterfield, cit.: 154-157).

 

[24]L'inverno 1897/98 fu assai duro nello Yukon. Si dovette metter su con rapidità una spedizione di soccorso (Klondike Relief Expedition). Una delegazione si recò fino in Lapponia. Furono acquistate 539 renne, noleggiati 43 Lapponi, 10 Finlandesi, 15 Norvegesi. Che giunsero nella vicina Haines nel maggio 1898. Mentre le renne superstiti arrivarono a Dawson City solo l'anno appresso, nel gennaio 1899 (Satterfield, cit. : 83-85).

http://users.iol.it/f-pelli/f-pelli.naturacultura.htm

PAGINA WEB CREATA:  3 GENNAIO 2006

MODIFICATA: 26 GENNAIO 2006

LA PRINCIPALE PAGINA WEB IN LINGUA ITALIANA DI FRANCO PELLICCIONI

PROGRAMMA COMUNITA' MARITTIME ATLANTICO SETTENTRIONALE

Tutte le Pagine Web in lingua italiana di Franco Pelliccioni

Ricerche Atlantiche: Shetland e Orcadi, Scozia, Regno Unito / Saint-Pierre, Miquelon (DOM, Francia), Terranova (Canada) / Svalbard, Alto Artico, Norvegia / Isole Faroer, Danimarca/ Ebridi Esterne (Western Isles), Scozia, Regno Unito / Islanda-Groenlandia /

Ricerche Artiche  Ricerche Africane  Ricerche Italiane /

Ricerche messicane

LE BIBLIOGRAFIE: Bibliografia Generale

 AREALI: Africa Occidentale/ AlaskaCanada   /   Carnia / Creta   / EgittoItalia / Kenya /Lisbona, Portogallo /Scozia / Sud Africa / Sudan meridionale /Tunisia 

TEMATICHE Ambiente /Antropologia Applicata Antropologia urbana /Balene Biografie antropologiche / Biografie archeologiche / Esplorazioni / Indiani d'America Inuit (Eschimesi)

L’Avventura al Femminile: Grandi Viaggiatrici, Esploratrici, Antropologhe , Archeologhe

L'immigrazione extracomunitaria e la scuolaMondo Vichingo  / Multiculturalismo /    Musei Marittimi /

Nei Mari del Sud / Naufragi / Pirati e Corsari nell'Atlantico del Nord /  Polo Nord /Razzismo Schiavitù nel Sudan meridionale TreniVulcani / "West"

17 articoli on line di Franco Pelliccioni 

Collaborazioni Rai-TV

Documento 1 /Documento 2/ Documento 3 /Documento 4 /

Uomini, Genti e Culture del "Villaggio Globale": Una Lettura Antropologica dell’Ambiente    

Guerra o Pace: riflessioni di un antropologo su un eterno dilemma

Problemi socio-antropologici connessi allo sviluppo nel Mezzogiorno

Isole e Arcipelaghi dell'Atlantico Settentrionale