Scrivici,
attendiamo le tue considerazioni.

 

 

 

 

 

Aborto!

 

feti di 10 settimane estratti con l'uso dei ferri.

 

 

 

 

 

 

 

“Scelte” non scelte

 

 

 

Ho 21 anni, frequento l'università. Due anni fa sono rimasta incinta. Il mio ragazzo era felicissimo, io sapevo che mi avrebbe "ucciso". Io studiavo, lui era disoccupato. E' stata una stupida leggerezza di due ragazzi ignoranti. Il rapporto con i miei genitori si è sempre limitato a: "Ciao, buonanotte, passami il sale". Non abbiamo mai parlato di nulla, figuriamoci di sesso. Anche lui non aveva grandi rapporti con i suoi. Ma non cerchiamo scuse: siamo stati stupidi.
Ci sono due grandi mali al mondo: i soldi e la vergogna. I miei avevano pochi soldi e molta vergogna, perché la loro figlia era una "prostituta". I suoi all'inizio ci hanno promesso aiuto e poi ci hanno ripensato. Rinunziare a palestra, sigarette e parrucchiere due volte la settimana era troppo. Così le due mamme si sono messe d'accordo e la terza è stata costretta a rinunziare al bambino. Senza soldi non avrei potuto crescerlo.
E' stato come portano una cagna ad abortire quando i cuccioli sono bastardi. Lui mi ha odiata molto e forse mi odia ancora. All'inizio mi sentivo in colpa solo per aver provato un po' di sollievo nel vedere che i miei genitori tornavano a volermi un po' di bene (avevo riparato al danno) e davo la colpa a loro ed ai suoceri. Col passare del tempo quella firma ha cominciato a pesare sempre di più. Potevo salvare il bambino, scappare, rifugiarmi in qualche centro o in un convento, cercare un lavoro qualsiasi. Ho scelto la strada più "facile": mi è costato mio figlio e la felicità. Vorrei urlare a tutte le donne: "NON FARLO", ma non posso parlare con nessuno del mio dolore, sarebbe una vergogna per mia madre. Sono sempre stata una ragazza per bene: non bevo, non fumo, non mi drogo, non vado in discoteca, esco poco e con ragazzi seri, andavo bene a scuola (prima di uccidere il mio bambino). Ho solo fatto l'errore di amare la persona che più di tutti mi ama al mondo. Non è peccato aspettare un bambino. Sapesse quanto mi manca!
Sto male, non riesco più a vivere. Vorrei che Dio mi perdonasse, che il mio bambino mi perdonasse. Ho chiesto perdono ad entrambi. Vorrei confessarmi, ma ho paura di essere cacciata. Entro in chiesa a pregare anche se non potrei (un mio amico prete ha detto che gli assassini non possono entrare in chiesa). Ho bisogno del suo aiuto, di sapere se posso essere perdonata. Non mi abbandoni almeno lei, non ho nessuno. Mi aiuti la prego, non ho più pace.

Da: "Colloqui col padre"
famiglia cristiana 26/1999

 

HO SCELTO DI ABORTIRE, ho perso mio figlio e la felicità

 

 

 

 

 

Imparare sbagliando

 

 

 

Sono una giovane donna di 29 anni e un anno e mezzo fa ho fatto un aborto. Da allora mio figlio vive dentro di me. Ho commesso un grosso sbaglio e non posso più tornare indietro. Ora so che quello che allora mi sembrava impossibile non lo era, anzi era superabile, bastava avere più fiducia in me, nella vita e in Dio.

Chiedo perdono a Dio, alla comunità cristiana, al mio compagno che non ho saputo ascoltare e a mio figlio. Rivolgo questa lettera all'intera comunità cristiana, ma soprattutto a tutte le donne che devono compiere una scelta di vita o no.

A loro dico di tenere con sé il proprio bambino, perché quando un bimbo e neI grembo materno e già in viaggio e non è giusto mandarlo via e non accoglierlo degnamente. Da parte mia ora so cosa è la vita e cosa e' il peccato. Pregherò e spero che anche voi preghiate per me, il mio compagno e per un bimbo mai nato, un angelo custode.

 

Francesca

Famiglia Cristiana n° 14/1999

 

Dopo l'aborto

 

 

 

Maternità “consapevole”

 

 

 

Caro padre, mi chiamo Lara. Ho 27 anni e sono una convintissima soste­nitrice del diritto alla nascita e alla vi­ta di tutti. Non sono cattolica (in real­tà non appartengo a nessuna religione organizzata, ma ho un modo molto personale di rapportarmi a Dio), ma condivido pienamente il vostro punto di vista in materia di rispetto per la vi­ta. E non voglio neppure sentir men­zionare cose come aborto o pillola del giorno dopo. Come donna ritengo che queste cose siano un enorme passo in­dietro. Non riesco davvero a capire come ci si possa sentire “evolute” o “emancipate” avendo potere di vita e di morte su un essere umano comple­tamente indifeso.

Non credo davvero che la “materni­tà consapevole” abbia a che vedere con il sentirsi in diritto di decidere chi può vivere e chi no. Perché è inutile gi­rarci intorno con tanti paroloni: inter­rompendo una gravidanza si interrom­pe una vita. E questo è un dato di fat­to, giacché mi pare che a tutt’oggi ogni singola persona presente sulla terra ci sia a seguito di una gravidanza che qualcuno non ha interrotto.

Chi mi dà il diritto di negare la vita a un bambino indifeso? Un articolo di legge? Ma davvero per sentirsi libera e padrona di sé stessa una donna ha bi­sogno di questo? Che razza di “emanci­pazione” è questa? È vero che sono le donne a portare in grembo un bambino. Ma non lo concepiscono da sole e quindi non è una loro proprietà né, tantomeno, una semplice parte del lo­ro corpo. Personalmente, una nuova vita in arrivo mi sembra una cosa me­ravigliosa, portatrice di gioia e di amo­re: non mi sentirei maggiormente libe­ra se accettassi l’idea che posso dispor­ne come credo.

Ho letto il vostro articolo sulla pillo­la del giorno dopo distribuita nelle scuole francesi: condivido tutte le obie­zioni. Si parla tanto di “consapevolez­za e autodeterminazione” solo per ri­cadere in comportamenti che denotano solo individualismo, egoismo e di­sinteresse totale per le vittime di que­sta iniziativa raccapricciante. Ma dav­vero si pensa che una ragazzina prima o poi non ripensi a quello che ha fatto (per disinformazione e deresponsabilizzazione, più che per reale intenzione

di uccidere qualcuno)? O, per meglio dire, a quello che le hanno dato e alle conseguenze che ha avuto senza porsi alcun problema, mai in tutta la sua vi­ta? L’atteggiamento individualistico mi sembra così diffuso che rispettare la vita sembra quasi fuori moda! Mia mamma, mia sorella e alcune mie ami­che condividono come me il rispetto per la vita. A volte ho l’impressione dì far parte di una ristretta minoranza. Ma sono certa che non è così.

 

Lara, non credente

Famiglia Cristiana 21-2000

 

“Come ci si può sentire “evolute”avendo potere di vita o di morte su un essere umano? Sembra che rispettare la vita oggi sia quasi fuori moda”.

 

 

Non lasciatemi sola

 

 

Io non so bene chi sia stato quello stolto che ha affermato che la vita comincia a quarant'anni". Io posso solo dirle che per me la vita è finita a quarant'anni. Nel giro di poco tempo ho perso mio padre e subito dopo anche il lavoro. E ora mi ritrovo ad avere quasi 43 anni e a non sapere dove andare a sbattere la testa. Non riesco a trovare un lavoro perché non ho più l'età per venire assunta con i contratti di formazione. A nessuno importa se ho un figlio di 7 anni a cui pensare. Nessuno mi considera una "ragazza-madre" perché ho superato i quarant'anni e sono ormai una donna. Una donna sola, triste e disperata come non mai, perché vede la propria vita sfuggirle dalle dita. L'unica nota positiva e mio figlio. Un bambino dolcissimo che e' stato capace di darmi tutto quell'affetto di cui avevo bisogno. Suo padre avrebbe voluto che abortissi e mi aveva chiesto di scegliere fra lui e il bambino. Io ho scelto mio figlio e lui è sparito. Ora sono qui che vivo uno dei miei tanti momenti difficili e chiedo a lei e ai lettori di Famiglia Cristiana una parola di conforto. Voi mi siete sempre stati vicini e ora vi prego di non lasciarmi sola in balia del vento.

 

Alice

Famiglia Cristiana 22-1999

 

O me o il bambino!

 

 

Un mamma disperata

 

 

Sono una ragazza che ha compiuto 33 anni il 9 marzo. Il 30 novembre mi hanno diagnosticato una leucemia mieloide e sono stata subito ricoverata in ospedale e sottoposta a due cicli di chemioterapia. Ora le scrivo da casa. Sono sposata e ho una bimba di 2 anni che amo più di ogni cosa al mondo. Fino al 30 novembre ero felicissima, anche perché aspettavo un altro bambino voluto con tanto amore da me e mio marito e che ora è un angioletto che mi dà la forza per lottare. Mi creda, padre, mi prende lo sconforto a vedere la mia bimba che rischia di crescere senza la sua mamma. Perché? È giusto morire a 33 anni, dover "uccidere” il proprio bimbo che si ha in grembo quando tante donne lo fanno senza che a loro accada niente?

Ho paura che non esista niente al di là della morte, anche perché ho visto in questi mesi tanto dolore negli ospedali che mi viene difficile pensare a un Dio che faccia soffrire tanta gente giovane. Mi scusi per le parole dure, ma sono sconfortata.

 

Maria Grazia

Famiglia Cristiana 21-1999

 

È giusto morire a 33 anni, dover "uccidere” il proprio bimbo che si ha in grembo quando tante donne lo fanno senza che a loro accada niente?

 

 

Al mio angelo mai nato

 

 

Dopo molti anni di una dolorosa storia vissuto sulla mio pelle, ho deciso di chiedere a lei una parola di conforto, se la merito. A quarant'anni, madre di due splendidi bambini, confesso il mio peccato, cosa che non sono riuscita a fare con nessun prete. Questo è la mia dedica di affetto a chi non è mai venuto su questo terra, che ho intitolato AI mio angelo mai nato: «Scoprire che tu, angelo mio, cominciavi a esistere dentro di me, fu un miscuglio di emozioni e disperazione. Se avessi avuto le ali, sarei fuggita per portarti via da chi non ti aveva mai voluto. Sono passati 19 anni, ma per me è come se fosse solo ieri, il ricordo doloroso di quando, su un lettino d'ospedale, sola e smarrita, quel giorno del 23 dicembre 1980, ti hanno strappato dal mio grembo. Perdonami se con l'immaturità dei miei vent'anni lasciai che gli altri decidessero dei nostri destini. Però, angelo caro, sei stato e sarai per sempre la lanterna che mi dà la forza di vedere quella luce lontana, per proseguire il mio cammino nella vita e sarai per me e i tuoi fratelli l'angelo custode che ci sorregge. Con affetto, la tua mamma». Ecco, padre, sano riuscita a dire

a lei il mio tormento. L'unica cosa che chiedo a Dio è di vedere nel mio cuore e di perdonarmi, se c'è un posto nel suo.

 

Giò

Famiglia Cristiana 48-1999

Perdonami se con l'immaturità dei miei vent'anni lasciai che gli altri decidessero dei nostri destini.

 

Chi non li vuole

e

chi li vorrebbe

 

 

 

Parti plurigemellari e mamme adottive.

 

 

Ho seguito con molta amarezza la vicenda della mamma di Trapani, incinta di otto gemellini. È stata definita “errore della medicina”, un caso raro da studiare. Non viene quasi considerato che si parla

di otto vite potenziali, ciascuna con un‘inimitabile ricchezza interiore.

Sono una mamma felicemente in attesa, una lunga attesa, vissuta con molta sofferenza, ma anche con tanta forza. Fra pochi mesi, se tutto va bene, avrò un bambino di quasi due anni, che ho già conosciuto e imparato ad amare. E per il quale inizi erò il difficile mestiere di genitore. Anche noi, come la coppia siciliana, abbiamo scoperto un giorno la quasi impossibilità d’essere genitori naturali. Abbiamo vissuto la frustrazione d’essere “incompleti”. Anche a noi la scienza ha offerto una possibilità (con relative percentuali di insuccesso) di poter fare un figlio. Abbiamo scelto con gioia la via dell’adozione: non è stata una scelta comoda, né priva di dubbi. Ma non è maggiore la sofferenza di chi mette il proprio corpo a disposizione della medicina, con tante aspettative, e si trova a decidere quanti embrioni congelare e quanti no, quante vite preferire e quante ucciderne?

 

Michela, madre adottiva
Famiglia Cristiana 39/2000

Quanti embrioni congelare e quanti no, quante vite preferire e quante ucciderne?

 

 

 

 

 

Imelda, la nostra bambina indiana

 

 

Sono l’autore della lettera firmata pubblicata sul n. 31 del 1996 e ho deciso di scrivere nuovamente per comunicare gli sviluppi che la situazione allora descritta ha preso.

Io e mia moglie superammo le incertezze che allora esposi e proseguimmo la strada intrapresa dell’adozione. Il 5settembre 1997 è entrata a far parte della nostra famiglia Imelda, una bambina indiana proveniente dal “Shishu Bhavan” di Calcutta, l’istituto creato da Madre Teresa e dalle missionarie della Carità. Raramente ho avuto la sensazione come in questa circostanza di aver compiuto la scelta giusta: io e mia moglie non abbiamo alcun rimpianto per non avere cercato risposte ai nostri bisogni nella fecondazione artificiale.

Imelda inoltre è la testimonianza vivente di quanto sia stata facile la strada dell’adozione. Con ciò vorrei incoraggiare tutte le persone che meditano in proposito: si sente dire da più parti di quanto la burocrazia italiana e internazionale ostacolino l’istituto dell’adozione, ma se si escludono i tempi di attesa, secondo me in parte giustificabili, io e mia moglie non abbiamo avuto alcuna difficoltà. Voglio anche sottolineare che non abbiamo avuto alcun trattamento di favore, né avevamo rapporti e conoscenze con le missionarie della Carità. Le suore sono state esemplari nella semplicità, linearità e trasparenza adottate. È importante che una coppia interessata all’adozione sappia che la strada non è così tortuosa come viene presentata spesso, ma è percorribile da chiunque. D’altronde è giusto, e secondo lo stesso spirito della legge dell’adozione, che venga accertata nel miglior modo possibile l’idoneità della coppia all’adozione. E questo giustifica in parte l’attesa.

 

 

Quanti embrioni congelare e quanti no, quante vite preferire e quante ucciderne?

 

Tavolo dei dialoghi