Scrivici,
attendiamo le tue considerazioni.
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La “COPPIA” cristiana
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Ho
detto di no a un collega anche se ero attrattala lui |
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Vorrei
rispondere alla lettera di Help '71 (FC 6). Leggendola
mi sono rivista nella stessa situazione: ero fidanzata da sei anni e da lì a
pochi mesi mi sarei sposata ed ecco che mi scopro attratta da un collega. Non
ho avuto nemmeno il tempo di pensare a questo scoperta che lui mi ha chiesto
di uscire, pur sapendo che mi stavo per sposare, rivelando così i miei stessi
sentimenti. Ho agito d'istinto e ha risposto che lui per me ero solo un
grande amico, ma dentro di me ero in crisi: ci intendevamo anche solo con uno
sguardo; insieme ridevamo come matti, quando ci capitava di lavorare assieme
ottenevamo ottimi risultati. Eppure senza pensarci troppo ho detto di no.
Questo mi ha fatto riflettere profondamente. Amavo veramente entrambi oppure
era solo una sbandata? Perché al suo invito mi sono opposta fermamente
nonostante mi tremassero le gambe? Non ho valuto bruciare il rapporto con il
mio fidanzato che durava da anni e che aveva superato non poche difficoltà.
Non ho voluto bruciare i nostri progetti per un altro rapporto che non era
nemmeno iniziato. Non ho voluto far soffrire il mio fidanzato e nemmeno me
stessa troncando tutto per ricominciare da un'altra parte. Credo che il mio
istinto mi abbia salvata: il matrimonio è una scelta profonda che si affronta
in due e sulla quale non si possono più avere ripensamenti. lo ho scelto di
sposarmi con il mio fidanzato. Ricordo che l'ultimo giorno di lavoro prima
del matrimonio ho salutato il mio collega con una carezza e un bacio sulla
guancia; lui sorrideva ma con un sorriso forzato e nei suoi occhi ho Ietto
una profonda tristezza. Ho sentito una fitta al cuore perché comunque gli
volevo bene e non mi piaceva vederlo soffrire. Da alloro sono passati tre
anni: mio marito e io siamo felicemente sposati e con un bimbo meraviglioso
di cinque mesi. E il mio collega? Si è
fidanzato da poco con una ragazza in gamba ed è felice ma, cosa importante,
siamo ancora grandi amici e ci vogliamo bene come fratelli. A volte usciamo
tutti insieme: in montagna, per una pizza o una partita di calcio in TV e
siamo tutti felici e sereni. Sono quindi giunta alla conclusione che ci sono
tanti modi per amare e che l'amicizia è uno di questi e inoltre che non
dobbiamo permettere a niente e a nessuno di impedirci di portare a termine i
progetti per i quali abbiamo tanta faticato. Ho
voluto raccontarti la mia esperienza nella speranza di esserti di aiuto in
qualche modo, ma sono sicura che la verità sta dentro di te. Devi solo
fermarti ad
ascoltare. Hope Da: "Colloqui col padre" |
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Il matrimonio è una
scelta profonda che si affronta in due e sulla quale non si possono più avere
ripensamenti. |
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«E ora
siamo quasi al traguardo» |
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Festeggiando il 20 aprile i 60 annidi matrimonio,
con i 4 figli e i nipoti, ho fatto la seguente dedica a mio marito: «Caro Angelo mio, abbiamo camminato insieme mano
nella mano per tanti anni, ci siamo amati tanto. La nostra strada non è stata
facile: la guerra, quattro anni di prigionia in Africa senza vederti. Sei
partito che avevamo una bambina di 4 mesi, sei ritornato che aveva 4 anni e
mi diceva: “dov’é il mio papà? Perché io non l’ho ancora visto? Poi sei ritornato e la nostra vita grazie a Dio è
ricominciata. Abbiamo avuto ancora quattro figli, purtroppo uno ora è in
cielo, e prega per noi. Ore di gioia e ore di dolore, ma con l’aiuto di Dio
abbiamo sempre accettato tutto ciò che a lui piaceva. Ora vedi, siamo quasi
al traguardo, le nostre strade dovranno dividersi, ma speriamo di incontrarci
nell’aldilà: la nostra vita è nelle mani di Dio. Mio caro Angelo, la nostra
favola volge al termine. Con te ho trascorso ore bellissime, qualche malanno,
qualche bisticcio, ma tutto è passato. Ora non sei più come prima, ma per me
sei sempre tale. L’importante è che dopo 60 anni di matrimonio ci amiamo
ancora tanto e siamo sempre stati di esempio ai nostri figli. Tutto questo lo auguriamo
anche a loro e a tutti gli sposi». Angela,
amata consorte Da: "Colloqui col padre" |
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Ora non sei più come prima, ma per me sei sempre tale. |
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Cinquecento volte nonni |
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Casa da poveri, stanze piccole, pochi soldi per tirare la
fine del mese. Unici soprammobili, una collezione di bambole vestite da sposa.
Al numero 6 di Tamar Grove, Kingston on Hull, porto sul Mare del Nord, più di
cinquecento bambini hanno trovato una riserva d'amore sufficiente per una
vita intera. L'hanno garantita Sylvia e Bili Hemingway, pensionati sulla
settantina, qualche decina di sterline sopra il livello di povertà, niente
cultura, nessun corso specializzato, soltanto una vocazione naturale, quasi
istintiva, per l'affido. In quarantacinque anni di
matrimonio hanno avuto in affido dai servizi sociali di Kingston on Hull più
di cinquecento bambini. Alcuni sono rimasti qualche mese, qualcuno fino a
tre o quattro anni, lasciati in prestito da genitori in difficili condizioni
o di passaggio sulla via dell'adozione. In questa casa hanno trovato una
serenità quasi infinita. Niente stress, né fretta né urla. Niente capricci o
musi lunghi, nervi o scatti. «I bambini respirano l'amore
come l'aria e hanno bisogno di sicurezza», spiega Sylvia. «La routine
mia e di mio marito - colazione, pranzo e cena a orari fissi, ~ piacere di
parlarsi e stare insieme, le passeggiate al parco, i giochi in giardino -
li tranquillizza. Non si svegliano di notte, non piangono, se non quando
mettono i dentini. Ne abbiamo tenuti fino a sei per volta e non abbiamo mai
avuto problemi. Ho cresciuto i miei figli insieme ai bambini in affido senza
fare differenze». Così è successo a Lloyd, due anni
il prossimo 21 maggio. I suoi enormi occhi azzurri non compaiono nelle
fotografie, perché il bambino è stato adottato in questi giorni e i servizi
sociali di Hull temono che la madre naturale possa riconoscerlo e volerlo
indietro. Nato da genitori violenti, Lloyd era destinato a un'infanzia di
soprusi. «Quando è arrivato, sembrava afflosciato», spiega Sylvia. «La
testa era sempre abbandonata su una spalla. Il dottore sospettava una
paralisi cerebrale infantile». Qualche settimana di amore Hemingway e
il corpicino di Loyd si è rassodato, i muscoli rinvigoriti. «Give us a
smile», "facci un sorriso", così Sylvia invita il piccolo a far felice il gruppo di
visitatori, familiari e vicini, arrivati tutti per l'intervista. E Lloyd
ricompensa con un po' di felicità quelle mani rugose, suo unico nido di
affetto in questi mesi. La ricetta Hemingway? Amore e tenerezza «Per
ogni bambino preparo il "libro della vita"», spiega Sylvia. «La
foto del primo bagnetto, il primo dentino, la prima gattonata e sotto i
commenti inventati da me. Lloyd li leggerà quando sarà più grande». Un sacco
di TLC, "Tender, Loving Care", ovvero "attenzioni fatte di
amore e tenerezza": questa la ricetta Hemingway. Ad applicarla, fra
qualche giorno, sarà la madre adottiva del bambino, che sta prendendo le
consegne da Sylvia. «Mi sostituisce nel dargli da mangiare, nel lavarlo e nel
vestirlo, così la separazione sarà meno dolorosa». È dura farsi da parte?
«Ogni volta che un bambino se ne va, muore una parte di me, ma poi ne arriva
un altro e la vita ricomincia. Me li ricordo tutti, con i loro visi, i loro
caratteri, ciascuno diverso dagli altri», Madre perfetta, la Hemingway.
Tutta amore e tenerezza quando i bambini sono appena arrivati nel suo nido,
ferma le lacrime senza pietà quando se ne vanno. «Bisogna avere un cuore
d'oro quando arrivano e uno di pietra quando vanno via», conferma. Una natura fatta di bambini, quella della signora
Hemingway. Addicted
to chiidren, direbbero gli inglesi. Ovvero, senza bambini questa donna non sa
vivere. Classe 1932, sei fratelli e quattro sorelle, a undici anni Sylvia
spingeva già la carrozzina di famiglia. Biberon, pannolini e omogeneizzati
non l'hanno più abbandonata. Nel 1951 conosce Bili, quattro anni in più,
operaio in una fabbrica di bottiglie. «Giocava a freccette al pub con mio
fratello», spiega lei. Tre anni e mezzo di fidanzamento, tutti trascorsi a
curare i bambini dei vicini. Bili è stato il primo uomo femminista del Nord
Inghilterra. «La gente mi guarda-va a occhi spalancati quando spingevo la
carrozzina. Io non avevo scelta. Se volevo Sylvia per moglie, dovevo im parare a curare i bambini». «Ne volevo almeno quattordici»,
racconta la signora Hemingway, «Ci siamo fermati a quattro. Gli altri sono
arrivati in affido. Negli anni '50 i servizi sociali passavano una sterlina
alla settimana, ma i soldi arriva-vano dai genitori naturali, e spesso non se
ne vedeva traccia. Oggi sono 54 sterline alla settimana, più o meno 160.000
lire, e bastano appena per coprire le spese. I soldi delle prime due settimane
arrivano in ritardo, così dobbiamo avere qualche s6ldo da parte per pannolini
e latte in polvere». Il loro conto in banca è l’albero
genealogico I coniugi Hemingway non sanno cosa vuoi dire accumulare.
Il welfare state ha
garantito in passato che non morissero di fame, anche nel caso avessero
perso il posto di lavoro. Oggi passa 400.000 lire in due di pensione alla
settimana. Il loro conto in banca è l'albero genealogico. Pat, David, Michael
e Alan, i quattro figli oggi sulla quarantina, e una schiera di nipotini tra
i dieci e i vent'anni: Ker'y, Sarah, Laura, Katie, Jonathan, Alice e Elliott.
Più tutti gli altri partiti per il mondo. Fino a cinque anni fa Sylvia e Bill avevano energie
sufficienti per bambini più grandi, in età da scuola. Oggi si limitano ai
neonati e ai primi anni di età. Sono nonni, insomma, più che genitori in
affido. Così li vede senza dubbio la loro nipote più grande, Keny, 21 anni,
che li ha segnalati per la competizione "Nonni dell'anno”. Gli Hemingway
hanno vinto sei milioni di lire e sono andati a Londra per la prima volta
nella loro vita. Nella lettera inviata da Kerry al concorso c era scritto: «Su
Sylvia e Bill noi nipotini possiamo contare in qualsiasi momento della
giornata. Ci hanno regalato un'infanzia di gioia, fatta di pentole
trasformate in tamburi e di giocattoli costruiti col cartone. Ci hanno
insegnato che non c'è bisogno del denaro per volersi bene». Famiglia
Cristiana 48/1999 |
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Quarantacinque anni di matrimonio, quattro figli e uno stuolo di
centinaia e centinaia di bambini in affido: ecco il bilancio di una famiglia
straordinaria. |
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In
questi giorni ci è nato Samuele |
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Sono Alessia, una ragazza come tante altre, piena
di vita e con tanta voglia di divertirsi. Sono in partenza per le sospirate
ferie, dopo un annodi intenso lavoro. Però, prima ho bisogno di comunicare
con qualcuno: ciò che vivo è troppo importante per la mia età di ventiduenne.
Non si tratta di una delusione d’amore, né di un’amicizia tradita, ma dello
stupore della vita, d’un grazie che voglio far giungere alla mia famiglia,
tramite il giornale. Sì, perché sono convinta che i valori presenti nella mia
famiglia, soprattutto in mia mamma, è anche grazie a Famiglia Cristiana che entra
nella nostra casa da quattro generazioni, da quando costava poche lire: ci ha
sempre dato molti valori. Ho un fratello di 21 anni, ma in questi giorni ci è
nato Samuele, quando mamma compiva 42 anni e papà Si. Non è meraviglioso
questo, non è motivo di cantare un inno alla vita e di credere al valore
della famiglia? I miei sentimenti sono di una giovane d’oggi, o devo considerarmi di
un’altra epoca? Non sono stati facili i mesi di attesa, né sono mancate le
voci discordanti attorno a noi. Si diceva che mamma ormai poteva godersi la vita, e pensare a sé
stessa. Mamma in prima persona, e noi tutti solidali con
lei, ha portato avanti questa gravidanza, fidandosi del Signore. Ha seguito i
normali controlli, non ha voluto sottoporsi alle analisi di amniocentesi: la
creatura aveva bisogno di accoglienza e di amore. Comunque fossero andate le
cose, noi l’avremmo accolta come un dono, come parte della nostra vita. Caro
padre, non puoi immaginare quanta gioia c’è negli occhi dei miei genitori, e
quanta pace c’è nella nostra famiglia! Siamo nell’anno giubilare, tempo di
accoglienza, di solidarietà, di grazia, di vita in Cristo, autore della vera
vita. Grazie, padre, per avermi letta: io sono la quarta
generazione che legge la tua rivista, forse la prima a scriverti: mi farai un
po’ di spazio? Alessia, ventiduenne Da: "Colloqui col padre" |
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Mamma in prima persona, e noi tutti solidali con lei, ha portato
avanti questa gravidanza, fidandosi del Signore. |
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