Scrivici,
attendiamo le tue considerazioni.
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LA VITA, LA MORTE, L'AIDS e i pregiudizi di noi credenti tiepidi |
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Il 7 febbraio la Chiesa ha celebrato
la Giornata per la vita. Non capisco perché sia solo una festa della Chiesa,
dovrebbe essere una festa di tutti. Tutti dovremmo fare festa, perché la vita
e' una cosa meravigliosa, è il regalo più grande che ci è stato fatto e che
ci viene donato ogni giorno dalle mani di Dio. Per me, malato terminale di
Aids, la festa avrebbe dovuto essere la Giornata mondiale del malato. Ma io sento di più questa festa
della vita, perché l'Aids non e solo un modo di morire, ma un tempo per
vivere. Guardiamo alla vita con l'occhio e la gioia del terzo giorno, quello
della risurrezione. So che non è sempre facile. Anche a me in questo periodo,
in cui giramenti di testa e vertigini sono all'ordine del giorno, quando i
dolori non mi danno tregua nemmeno per due ore di fila, viene da guardare la
vita con l'occhio del primo giorno, quello della morte. Ma poi mi ritrovo
ancora una volta il Vangelo tra le mani e sarà per colpa degli occhi mezzi
chiusi che leggo: «Chi crederà e sarà battezzato
sarà salvo... e questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono
nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in
mano i serpenti, e se resteranno contagiati dall'Aids non moriranno». Io ci
credo. E intuisco che questo non morire e' più profondo della morte del
corpo. Non morire significa vivere. Significa che l'Aids, la morte, non
prevarrà sulla vita, ma l' amore vincerà: la vita vince l'Aids! E
allora mi viene da leggere così questa lettera antica ma sempre nuova: «Io
ritengo che le sofferenze
del momento presente non sono paragonabili alla gioia che
ci viene rivelata attraverso la vita e attraverso la sofferenza presente». La vita
non è dolore, e gioia. La vita e un alito soffiato dentro di noi. Spesso però
lo lasciamo in fondo al cuore e gli mettiamo sopra dei grossi pesi. Ma se noi
siamo tempio di Dio dovremmo capire quanto la vita e preziosa. Allora perché
ucciderla quando e ancora nel seno materno? Perché non capire che un
handicappato, un anziano, un barbone, un extracomunitario e comunque tempio
di Dio, ha una ricchezza che deve poter sperimentare? Se proprio dobbiamo
arrabbiarci, non facciamolo chi è indifeso. Arrabbiamoci perché non si trova
il denaro necessario per provvedere cibo, acqua, educazione, salute e
alloggio adeguati a ogni persona del mondo. È una cifra molto grossa, ma pari
a quanto il mondo spende in armi in due settimane. Noi dobbiamo scoprire il
segreto della felicità, il segreto della gioia: amando si ha la vita e
condividendo si ha la gioia. E allora la sera, pensando alla giornata
vissuta, alle cose non fatte, alla preghiera non detta, alla gioia non
vissuta, ho tolto dal mio viso il sorriso. Ma poi ho intuito quello che è
veramente importante e ho iniziato a ringraziare il Signore grazie per il
dono della vita, grazie per ogni momento di oggi, per ogni persona che ho
incontrato, per quello che sono riuscito a fare. Ma grazie anche per le cose
che non sono riuscito a fare, per poco amore o forse solo perché non era nel
suo disegno; grazie per la carrozzina della piccola Sandra che mi intralcia
quando cammino nel peccato e nella vanità; grazie per il sorriso di
Mariangela quando mi dice di non tagliarmi i capelli perché sto bene così,
grazie perché lei che è cieca mi fa vedere la strada; grazie per la macchina
che mi ha portato all'ospedale, per il medico che mi ha curato, per la
sveglia che mi ha svegliato, per l'acqua che mi ha lavato. Grazie, Signore,
perché ti posso scrivere, cantare, pregare; grazie perché ci sei. Grazie per
il lavavetri al semaforo che non lascia tranquilla la mia coscienza quando
gli do i trenta denari che ho in tasca, versati per elemosina quando invece
gli sono dovuti per giustizia. Grazie per Rosi, che mi hai messo accanto.
Grazie perché io sono più fortunato di molti altri, per il semplice fatto che
io sono un malato di Aids. Grazie perché attraverso questa" morte mi fai
capire la vita. Stefano Da:
"Colloqui col padre" Famiglia Cristiana n° 11/1999 |
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Un malato terminale ringrazia Dio per il dono che
gli ha fatto, anche in quest'ora: "La mia malattia non è un
tempo per morire, ma per vivere". |
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Sclerosi multipla |
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Compio oggi 41 anni e sono affetta da sclerosi multipla.
Ma felice. E in questa occasione vi spedisco una poesia scritta da me in una
notte di sofferenza: Fiasco con le gambe e lavorare. Perdere la vista e camminare. Sbandare ma vivere. Vedere e spostarsi a tentoni. Pensare e non riuscire a scrivere. Scrivere e avere difficoltà a respirare. Respirare e non deglutire. Deglutire e non mangiare. Soffocare lacrimando,.. tremare. Parlare mentre me la sono fatta sotto o nessuno che ti ascolta, perché non sanno. Impresa: lavarsi e vestirsi. Difficile trovare un braccio come sostegno, o chi ti spinge la sedia. Abbagliarsi di giorno alla luce i come i gatti vedere di
notte ma ne sono felice, perché io ho la sclerosi multipla, e me la sono scelta, eh, che sono malata! È troppo forte averla addosso! Il Signore mi ha premiata ed io aiuterò i sofferenti, tutti. Prima ladv D. di Taranto, ora, mi sento regina della mia vita. Pazzia, no, felicità. Una vita
che si trasforma ogni giorno, ma con tanta gioia di vivere. Da quando sono
in carrozzina mi sento anche più carina. Giusy -
Taranto Da:
"Colloqui col padre" Famiglia Cristiana n° 26/1999 |
Dalla mia carrozzina vi parlo della felicità |
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Una mamma
sconfortata |
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Sono una ragazza che ha compiuto 33 anni il 19
marzo. Il 30 novembre mi hanno diagnosticato una leucemia mieloide e sono stata
subito ricoverata in ospedale e sottoposta a due cicli di chemioterapia. Ora
le scrivo da casa. Sono sposata e ho una bimba di 2 anni che amo più di ogni
cosa al mondo. Fino al 30 novembre ero felicissima, anche perché aspettavo un
altro bambino, voluto con tanto amore da me e mio marito e che ora è un
angioletto che mi dà la forza per lottare. Mi creda, padre, mi prende lo
sconforto a vedere la mia bimba che rischia di crescere senza la sua mamma.
Perché? E' giusto morire a 33 anni, dover "uccidere" il proprio
bimbo che si ha in grembo quando tante donne lo fanno senza che a loro accada
niente? Ho paura che non esista niente al di là della morte, anche perché ho
visto in questi mesi tanto dolore negli ospedali che mi viene difficile
pensare a un Dio che faccia soffrire tanta gente giovane. Mi scusi per le
parole dure, ma sono sconfortata. Maria
Grazia Da: "Colloqui col padre" Famiglia Cristiana n° 21/1999 |
La forza della fede, aiuta a superare il
"dolore", ma non lo elimina. Oltre alla fede serve anche il
conforto e la solidarietà di chi sta vicino. |
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Mia
figlia è handicappata, io sono sola ma serena |
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Sono la mamma di Mario, una
ragazza di 20 anni affetta da sindrome di Down e grave cardiopatia congenita.
Non ci sono parole per descrivere il calvario che abbiamo vissuto in questi
lunghi e terribili anni, la mia bambina, io e il resto della mia famiglia:
ricoveri in ospedale, emarginazione, difficoltà a mantenere un rapporto di
amicizia, altri problemi di carattere sociale. Anche noi, come tanti, siamo
soli nelle difficoltà. Ho chiesto, ho bussato a molto porte, ho elemosinato
aiuto fra i parenti e gli amici, e in special modo nelle comunità cristiane,
ma ho solo suscitato compassione e generato rifiuto proprio da parte di
quelle persone che in chiesa si mettono in prima fila e gioiosamente cantano
nei cori parrocchiali. Sono stata ripresa persino dal parroco, che mi ha
seriamente detto: "Ognuno porti la croce che il Signore gli ha dato,
tutti hanno problemi più o meno gravi in famiglia". Caro padre, lei
parla di solidarietà, di fratellanza; che nobili concetti. Ma dove, se oggi è
tutto egoismo e materialismo? Riguardo alle varie associazioni e poi agli
operatori del settore, non danno alcun aiuto concreto alle famiglie. Tutto si
ferma alla diagnosi e a una recitata comprensione. A me la forza la dà solo
il Signore, affidandomi a lui e offrendo a lui tutta la mia sofferenza,
giorno dopo giorno, la serenità attraverso mia figlia arriva fino a me.
Nell'abbracciare lei, è come se abbracciassi Gesù. Ho trovato così la forza
di fare un altro figlio e, nonostante tutto, ogni mattina vado al lavoro,
mentre Maria frequenta un istituto psico-pedagogico. Purtroppo anche
l'inserimento In una scuola fra i cosiddetti "normali" è stato un
disastro. Ma sono serena perché questa vita è temporanea e noi mamme di
handicappati siamo infine fortunate. Il Signore ci dà la possibilità di
guadagnarci il Paradiso. Una mamma serena Famiglia Cristiana 7/1999 |
Col dolore, il Signore ci da la possibilità di
meritarci il paradiso? |
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Manlio: un vero cristiano d’oggi |
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Manlio Fabbro nasce il 9
agosto 1966 a Tananarive, capitale del Madagascar. Nel 1973, la famiglia Fabbro
rientra in Italia, ad Atina (Frosinone), e pochi mesi dopo si trasferisce a
Pesaro. Questo continuo sradicarsi e instaurare nuove relazioni, accentuano
in Manlio la naturale predisposizione al dialogo e all’amicizia. La
catechista che lo ha preparato alla prima Comunione ricorda che «era avido
di imparare. Gli piaceva la vita di Gesù: voleva assomigliare a Gesù».
Durante il periodo scolare, Manlio si rivela un ottimo sportivo, non solo
come calciatore nella Vis di Pesaro, ma soprattutto per la correttezza e la
serenità che riesce a trasmettere sia ai compagni di squadra che agli
avversari. Dopo aver frequentato l’istituto tecnico commerciale, fa il
servizio di leva. Anche nell’ambiente militare riesce a portare la
testimonianza di un cuore limpido e gioioso. Trascorso il servizio di leva,
Manlio viene ammesso all’Isef. Questo è il suo periodo più intenso: incontra
Stefania e con lei condivide un tratto di strada. «L’ho amato
incondizionatamente», ha scritto lei, «e sono stata ricambiata con la
stessa intensità e sincerità. Dall’inizio del nostro cammino, Manlio guardava
fuori di sé, in alto. Nel più santo e onorabile sforzo e impegno di
trascendere sé stesso, di liberarsi dalle fragilità e dai ricatti della
nostra natura umana». In questi anni Manlio spende tempo ed energie in
molte attività: è allenatore di calcio, animatore del gruppo “Shalom”
passa i fine settimana come volontario presso un istituto per pluriminorati a
Bellocchi di Fano. Un’amica ricorda che Manlio «vedeva veramente Gesù
nell’altro: quante volte durante una festa o un incontro lo vedevo far compagnia
al più solo degli ospiti o ballare con chi faceva fatica a muoversi, o
parlare con interesse sincero con chi faceva fatica a esprimersi o a farsi
capire».
Il suo segreto era la preghiera e l’incontro personale e reale con Gesù nei
sacramenti. Nel 1993, prossimo al diploma universitario, ha un incidente
stradale. Il neurologo diagnostica un tumore al cervello e non gli dà più di
quattro mesi di vita. La malattia non soffoca il suo entusiasmo. Per aiutare
i suoi coetanei in difficoltà, frequenta il “Corso per operatori di base”
organizzato dal Comune di Pesaro, poi il “Corso di formazione sulla
psicoterapia dei tossicomani” dell’Usl di Modena e, ancora, la scuola
interdiocesana per animatori dei giovani. Riesce anche a diplomarsi
all’università. Negli ultimi stadi della malattia a una signora che lo
confortava risponde: «Sia fatta la volontà del Signore. Se lui mi vuole
sono pronto». E alla madre, comprensibilmente devastata dal dolore: «Non
devi rattristarti. Io non ti appartengo; ti sono stato dato in prestito, ma
appartengo a Dio». Manlio si sottopone a otto cicli di chemioterapia e a
tre interventi chirurgici. Dopo l’ultimo intervento perde l’uso delle gambe.
Eppure, quanti lo avvicinano con l’intenzione di confortarlo, escono dalla
sua stanza colmi di conforto e serenità. Il 15 novembre 1998 emette la
professione perpetua nell’Ordine francescano secolare. Il 18agosto 1999, dopo
cinque anni e mezzo di sofferenze, Manlio scala l’ultimo tratto del sentiero
e raggiunge la vetta. La chiesa di San Pietro in Calibano, il giorno dopo,
non riusciva a contenere i sacerdoti e i numerosissimi amici che hanno voluto
salutare Manlio per l’ultima volta. Ha voluto essere sepolto a Lorenzago di
Cadore. Circondato dalle sue amate montagne, continua a testimoniare che la
vita è solo resa invisibile dalla morte, non annientata. Un gruppo di amici |
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