I TEORIA
1.1 Interattiva
1.2 Discontinua
1.3 Disseminata
1.4 Incomputabile
II STORIA
2.1 Precursori
2.2 Contesto geografico, storico, culturale
L’arte
interattiva richiede un nuovo tipo di fruizione: il pubblico non è più
recipiente passivo ma può interagire con voce, posizione e movimenti del corpo.
L’arte Interattiva nasce dalla relazione ravvicinata con lo sviluppo della
scienza e della tecnologia e fa la sua comparsa nella storia dell’arte quando
diviene possibile per il pubblico assumere un ruolo attivo nell’opera
attraverso l’uso diretto del proprio corpo.
Il
carattere unico di questa forma d’arte è che il suo progresso dipende
dall’atteggiamento dell’artista o del pubblico verso la partecipazione. Con
l’arte precedente, il valore dell’opera era congelato al momento in cui
l’artista la realizzava, perciò diveniva oggetto di conservazione e
speculazione. Al contrario l’arte interattiva si nutre d’accumulazione di
messaggi, e fa sì che l’opera cresca come se fosse una cosa viva.
L’entrata dello spettatore nell’opera porta a compimento il processo d’avvicinamento sviluppato nella storia dell’arte dagli albori dell’età contemporanea. La nascita del moderno (secondo la classificazione di McLuhan) coincide con lo sviluppo della prospettiva nel rinascimento. Prospettiva che era la forma simbolica (Panofsky) e referente tecnologico (Krueger) di una società basata sul concetto di distanza.
Nell’ottocento, l’arrivo della tecnologia elettromagnetica sovverte i precedenti parametri spazio-temporali; telegrafo, telefono, automobile, aeroplano annullano il concetto di distanza; dalla società della lontananza si entra nella società della vicinanza.
Conseguentemente la prospettiva viene abolita in arte, ed ha inizio con Cezanne il percorso di avvicinamento dell’artista al motivo, al cuore stesso dell’opera, che porterà alla fusione magmatica e disperata dell’informale, dove l’occhio è alle porte dell’oggetto, in lotta con le fibre della natura che non si lascia possedere (incomputabile).
Allo stesso tempo nelle serate dei Futuristi e Dada prima, nel fenomeno dell’Happening poi, avviene il percorso parallelo d’avvicinamento dell’opera allo spettatore, non più considerato fruitore finale e passivo. Dal 1968 anche le nuove tecnologie informatiche vengono convogliate in questa direzione; come argomenta giustamente Barilli, queste tecnologie possono per loro stessa natura portare ad una liberazione di energie libidiche, primarie.
Alla base dell’arte interattiva è la possibilità di elaborare immagini, suono e quant’altro è percepibile ai sensi attraverso un’elaborazione che avviene a passi discreti, cioè attraverso grandezze che possono assumere solo valori distinti, tipicamente binari (bit).
Una
prima conseguenza, pratica, è che l’opera è riproducibile, programmabile,
modificabile e può essere distribuita. Una seconda conseguenza è che l’opera
è discontinua, mentre il mondo reale, il fenomeno, è continuo. La
rappresentazione digitale quindi filtra la realtà in partenza, la setaccia
attraverso le maglie della sua rappresentazione binaria.
Il
setaccio che la rappresentazione digitale opera sul reale riporta il vettore
dell'arte al simbolismo di Seurat: se gli impressionisti operavano in
abbraccio panico con la natura alla stregua di una macchina fotografica
analogica, Seurat filtra la realtà con gli stessi mezzi di una macchina
fotografica digitale, attraverso il setaccio dei suoi pixel colorati. Le
immagini ne escono ridotte a icone, appiattite, laddove erano fortemente
icastiche con gli impressionisti. Mcluhan individua nell’appiattimento
e nell’uso di medium freddi (sinestetici, coinvolgenti più sensi) le
caratteristiche dell’età contemporanea.
Il passaggio da icastico e iconico equivale al passaggio dal regno dell’occhio al regno della mente, dalla fusione dionisiaca col tutto all’apollineo. Il setaccio che filtra il reale è una costruzione della mente, esprime una volontà eidetica di rappresentazione del mondo con al centro l’uomo. E’ l’operazione portata avanti dalle avanguardie artistiche sino all’asettica purezza mentale di Mondrian. Ed è l’operazione estrema sviluppata nel concettuale, dove l’opera di setacciamento è giunto a un punto tale da lasciare in vita solo il setaccio stesso.
Il bit è il mattone dell’intelaiatura elettromorfa e l’unità di memoria collettiva in rete. La necessità di esprimere i dati dei nostri apparati sensoriali in digitale attraverso bit esprime la sempre crescente volontà di possedere il mondo e le sue manifestazioni, frustrata dall’incomputabilità del reale.
Questioni aperte:
- L’eccesso di informazione equivale al rumore (II° teorema di Shannon), quindi l’accumulo di informazione può portare a ostruire lo spazio, a costruire una muraglia impenetrabile;
- L’arte interattiva è apollinea (setacciamento del reale e della memoria collettiva, ruolo del bit) o dionisiaca (interazione corporea, liberazione d’energie libidiche, esplosione nello spazio)?
L’opera interattiva può non avere centro ma un’infinità di luoghi, permettendo una partecipazione cooperativa e distribuita. Alcuni artisti interattivi come Masaki Fujihata e Franz Fischnaller utilizzano spesso come meccanismo d’interazione la rete o la telepresenza, trasformandola in prolungamento fisico.
L’idea stessa del WWW nasce da un progetto di interazione cooperativa: Xanadu. Nel progetto di Ted Nelson degli anni ‘60 ogni documento letterario doveva poter essere visualizzato e modificato da chiunque nel mondo. Xanadu non è mai stato realizzato, ma nel 1991 Tim Berners-Lee, ispirandosi liberamente all’idea di Nelson sviluppò il World Wide Web, che grazie a tecnologie recenti sarà presto dotato della possibilità d’interazione cooperativa.
- Perdita del centro, Postmoderno. Molteplicità di linguaggi e trasformazione del sapere (Lyotard);
- Intelligenza connettiva (De Kerckhove);
- Identità e molteplicità ruoli (Maldonado, Turkle). Il corpo disseminato (Caronia). Gli Avatar (dal sanscrito ‘manifestazione visibile’: rappresentazione virtuale del fruitore);
- Il terrorismo informatico come forma artistica d’opposizione al potere informativo? (Marcuse, Adorno).
Supponiamo di volere rappresentare in maniera funzionale il mondo, e tutte le relazioni-sensazioni che questo offre. Per compiere ogni operazione possibile dovremo definire un algoritmo e occorrerà una macchina capace di realizzare ogni ragionevole algoritmo. Per la tesi di Church questa esiste ed è la macchina universale di Turing (MdT), macchina teorica sviluppata da Turing nel 1936.
Gli elaboratori odierni sono Turing completi, in grado quindi di eseguire qualsiasi operazione della MdT teorica. Ancora una volta però il conflitto tra finito (mondo delle macchine) e continuo (mondo della vita) porta con sé una dura conseguenza: la definizione a passi discreti e finiti degli algoritmi fa sì che l’insieme delle funzioni calcolabili da una qualsiasi MdT sia solo un piccolo sottoinsieme delle funzioni possibili. La MdT rappresenta quindi (allo stato attuale) il limite superiore della nostra possibilità di rappresentare il mondo, che si presenta incomputabile.
L’incomputabilità
del mondo equivale alla nostra incapacità di possederlo, è in sintesi il
dramma classico tra Uomo e Natura, la balena bianca che non si lascia afferrare.
E’ il dramma che hanno vissuto molti artisti del nostro secolo (ma nello
stesso tempo molti matematici di fronte all’arrivo degli insiemi frattali,
dell’indecidibilità di Gödel, del principio di indeterminazione di
Heisenberg).
Itsuo
Sakane, critico d’arte giapponese individua le origini dell’arte interattiva
nella seconda metà degli anni ’60. In effetti questa è la data nella quale
si realizzano le prime convergenze tra esperienza artistica e ricerca di
interfacce tra l’uomo e il computer. Proprio da questo campo parte il lavoro
di Myron W.Krueger nel 1969 con GLOWFLOW,
ambiente luminoso e sonoro.
Qui
siamo ancora nel campo dell’arte ambientale, come testimonia la presenza nel
progetto anche di uno sculture minimalista, Jerry Erdman, ma sin dall’opera
successiva, Metaplay, Krueger si concentra sull’interazione. La sua
produzione artistica e teorica continua tuttora (la sua operazione più
importante è lo sviluppo di VIDEOPLACE);
legata al suo lavoro, in particolare agli inizi, è la produzione di Dan Sandin.
Douglas
Engelbart e Theodore
Nelson non sono propriamente artisti quanto visionari. Il loro ruolo è
stato principalmente di guida e ispirazione. Engelbart è tra l’altro
l’inventore del mouse; spirito alquanto bizzarro, era convinto che le
caratteristiche innovative del suo sistema Augment potessero aumentare il
potenziale intellettivo degli uomini.
Contesto
privilegiato per le ricerche in questi anni era il CAVS, poi divenuto Media Lab,
al MIT. In questo ambiente lavora Scott Fisher, autore negli anni ’70
di un’opera basata sull’interazione tra movimenti del corpo, in particolare
la danza, e la computer graphic. Importante anche il lavoro di Jeffrey Shaw,
ora direttore del ZKM Medienmuseum a Karlsruhe, Germania.
E’
interessante che molti di questi personaggi oltre che artisti e teorici fossero
importanti tecnologi al servizio d’enti governativi. In particolare Tom
Furness, che ha fatto importanti scoperte sulla percezione umana, ha
lavorato principalmente in segreto per conto dell’aviazione americana. Krueger
sviluppa su questo argomento un interessante parallelo: gli artisti del
rinascimento erano i depositari delle tecnologie dell’epoca (prospettiva e
scienza delle costruzioni), come gli artisti contemporanei sono depositari delle
nuove tecnologie.
J.
H. Conwey, autore nel 1968 di
Life (che inizialmente funzionava sul pavimento a piastrelle del bar del
dipartimento di matematica di Cambridge) è il precursore di tutte le ricerche,
artistiche e scientifiche, sulla riproduzione dei meccanismi della vita (vita
artificiale).
Per
l’Italia, nel quadro di un ritardo di quasi un ventennio (a causa di un
ritardo tecnologico e di ostruzionismi del mondo artistico) è da segnalare
l’opera di Piero Gilardi, che proviene dal mondo della Pop italiana
degli anni ’60 e comincia ad interessarsi alla produzione di installazioni
interattive negli anni ’80.
Gilardi è molto incisivo nelle sue riflessioni sull’arte interattiva: “La mia ricerca si iscrive nel lavoro di un collettivo che a metà degli anni'80 si è posto il problema di cominciare a conoscere, esplorare le nuove tecnologie [..] Allora c'era il discorso dell'interattività che i dispositivi tecnologici permettevano e che in qualche modo raccoglieva la spinta, ereditava l'attenzione dell'arte di partecipazione, quella dell'happening, della performance e di tante altre forme di creatività collettiva e poi c'è stato il problema della virtualità dello spazio virtuale. Tutto questo lavoro all'inizio è stato, per me e per il mio gruppo, teorico e poi a partire dall'88 si è tradotto in esperienza cioè in installazioni. [..] Caratteristica fondamentale di questi lavori è che richiedono e prescrivono una fruizione collettiva. Non c'è una fruizione individuale solipsistica.”
2.2 Contesto geografico,
storico, culturale
Il
fenomeno copre circa 30 anni e vede in opera due generazioni. La prima, quella
dei precursori, è localizzata nel mondo anglosassone (per lo più erano
studenti al MIT o a Cambridge nel ‘68), la seconda è quella in azione oggi,
ed è distribuita ovunque (Italia compresa: Fishnaller,
Giacomo Verde) con una forte presenza in Giappone (Masaki Fujihata).
Lo
spirito libertario del ’68 esercitò una forte influenza sulla prima
generazione, sulla seconda sono molto sentiti i problemi della genetica, della
vita artificiale e del controllo elettronico.
A
metà degli anni ’70 Krueger conia il termine realtà artificiale, nel
1984 da William Gibson nasce la definizione di ciberspazio e nel 1989
Jaron Lanier (direttore di una ditta di interfacce) conia il fortunato termine realtà
virtuale.
A
lungo si parla di arte virtuale, ma la definizione è erronea, in quanto
letteralmente si riferisce ad un’arte in potenza, come se questa non fosse
ancora in atto, e giustamente viene accantonata con il tempo, contemporaneamente
al calo di interesse per il virtuale.
Il
termine arte interattiva intanto si fa strada: il premio per l’arte
interattiva è inserito nella manifestazione Ars Electronica dell’AEC
di Linz (Austria) nel 1990 e lo IAMAS
(Giappone) istituisce una Biennale d’Arte Interattiva nel 1995. In Italia il
termine arriva al MediArtech di Firenze del 1998, manifestazione alla quale
hanno partecipato alcuni tra i principali esponenti mondiali del movimento.
Dagli anni ’80, in cui tutto ciò che era prodotto in digitale era riunificato in un unico indistinto contenitore, si passa finalmente a distinguere l’arte interattiva da ciò che è semplicemente computer graphic e computer animation. Intanto al Media Lab, da cui tutto il movimento è partito, alcuni (come il Prof. Sthephen Benton) si rendono conto di avere perso il contatto con la realtà artistica delle nuove generazioni e progettano di riformare il centro dalle fondamenta.