La Disco Music
Storia ragionata di un fenomeno di massa. Seconda parte
Due quintali (alla faccia delle omologazioni CE) di classe:-).
Discorso a parte, a mio avviso, merita un fuoriclasse assoluto, un personaggio di notevole peso.
Un'analisi della disco non potrebbe assolutamente ritenersi non dico completa, ma nemmeno correttamente impostata se non esaminasse la figura di Barry White.
Probabilmente è la quintessenza del genere. Credo, infatti, che anche chi non abbia mai messo piede in una discoteca colleghi la sua figura quell'ambiente e le musiche che (ipotizza) vi si suonano.
Come molti, è un self-made man, inizia a suonare per mangiare e viene notato da talent-scout discografici e radiofonici.
Però da subito si caratterizza per uno stile particolare, fatto di liriche ammiccanti e seducenti, sospiri, la sua inconfondibile voce roca e bassissima, ma anche potente e melodiosa. E, soprattutto, per un sapientissimo uso dell'orchestra e, conseguentemente, dell'arrangiamento.
Ignora la notazione musicale e suona il piano ad orecchio. Però ha tutto in testa e, dopo avere composto la melodia base, spiega (anche a voce, narrano) le varie partiture alle varie sezioni dell'orchestra: i violini fanno così..., e i fiati, attaccano qui, facendo cosà...
E quando parlo di orchestra, intendo proprio un organico simil-sinfonico.
Dà un tale spazio alla melodia ed all'arrangiamento, che si accompagna spessissimo ad un gruppo di tre coriste, le Love Ulimited, e alla sua orchestra, la Love Unlimited Orchestra. E, negli anni, produce e pubblica lavori sia di ognuna di queste "entità", sia lavori "corali".
Ovviamente il grosso della produzione (generalmente su etichetta... indovinate un po'... "Unlimited Gold") è intitolata a B.W. and L.U.O., però cose notevoli esistono sia per le L.U., fra cui va senz'altro nominata High steppin', hip dressin' fella, I'm so glad that I'm a woman e I can't let him down; sia per la L.U.O., il cui migliore album, secondo me, è Let em dance (riedito anche su CD), che contiene l'insuperabile Bayou e la quasi-strumentale Jamaican girl, dove mi è sempre piaciuto il contrasto fra la linea melodica, come al solito affidata agli archi, e la sua trasformazione nella partitura affidata alle voci, che, cambiandone l'accento (non saprei esprimermi meglio), la fanno sembrare diversa, anche se le note restano uguali. E non mancano brani "di scuderia", come la classicissima Love's theme, edita sia in versione solo strumentale, sia in versione "cantata".
Gli outsider
C'è da dire anche che la disco/dance è stato anche, per un certo periodo, la forma della musica commerciale. Ad essa, dunque, si sono rivolti anche artisti che avevano già una carriera alle spalle, magari in altri settori, ed hanno poi proseguito sul filone "commerciale".
Un buon esempio viene da due gruppi.
Gli Earth, Wind and Fire, gloriosa band californiana, capitanata da un ottimo Maurice White (nessuna parentela ...), maestra nell'uso dei fiati. Fra i suoi successi dell'epoca inanella "classici" come September, After the love has gone (sì, si ballavano i "lenti"...), Fantasy, In the stone, Sun goddess (nota, fra gli addetti ai lavori come: "pap-pap-pe-e-e-o"...).
Kool and the Gang, band di provenienza jazzistica, che, affidata alla produzione di quel geniaccio musicale di Eumir Deodato, produce una grossa quantità di brani di successo. Forse il loro album più rappresentativo e denso di successi (ogni DJ che si rispetti ne aveva ALMENO DUE COPIE) è Something special, ma va segnalato anche Ladies' night.
Seppure ora è facile trovare riedizioni in CD sia dei singoli LP, sia di antologie, il "suono" dei rispettivi LP (soprattutto di "Something special") è, a mio modesto avviso, ineguagliato. Sarà per una non eccelsa qualità del master originale, sarà per una non curata rimasterizzazione...boh? Però è così. Il che mi meraviglia. Non è strano che l'analogico suoni meglio del digitale: mi sorprende che tale differenza si avverta con dischi non particolarmente "audiophile-oriented" e, soprattutto, usati e ascoltati attraverso apparecchiature "pro" e non "high-end": mah?!
Fra gli outsider, vorrei segnalare anche due altri casi di artisti attualmente non più "produttivi", che, però hanno avuto un impatto ed una continuità di produzione tali che proprio non si potevano mettere tra le "comete".
Innanzitutto, fatemi ricordare un ottimo musicista/produttore/arrangiatore nostrano, un altro che ha "fatto fortuna" nel settore, Mauro Malavasi, che con i suoi Change ha anche prodotto alcuni fra i migliori "pezzi" dance che abbia mai ascoltato. Anche qui c'è un album-campione (anche di questo spesso se ne trovavano due esemplari nella borsa di un buon DJ), che è Miracles, dove si ascoltano, fra gli altri, Paradise, On Top e Heaven of my life; altro loro grosso successo è il precedente Lover's holiday. Anche qui ritmi sostenuti, atmosfere molto eleganti, vocalist d'eccezione ancora misconosciuti (Fonzi Thornton, Luther Vandross) e, soprattutto, grandi strumentisti come Davide Romani (basso), Paolo Gianolio (Chitarre), lo stesso Malavasi (tastiere).
E poi, il gruppo prodotto da Kenneth (Ken) Gold, i Delegation. La loro musica riprende moltissimo quella degli Chic, ma per un verso più "barocco": aggiungono più melodia, la chitarra è sempre ritmica, ma meno "funky", gli archi sono più melodici ed accompagnano una parte cantata più importante, affidata alle stesse voci dei musicisti. Anche per loro c'è un album-tipo, che è Eau de vie(BMG/Ariola), del quale è recentemente circolata una -stranamente- ben riuscita ristampa in CD con bonus tracks: contiene, fra gli altri brani, Hartache no.9, You and I, One more step to take, Put a little love on me.
Il resto? Mancia!
Naturalmente, vista l'enorme popolarità del genere, i brani "celebri" e gli artisti "famosi", seppure tali definizioni abbiano avuto un senso per un ristretto limite temporale sono ben più di quelli sin qui illustrati.
Vorrei ricordare i Bee Gees, trasfigurati nel simbolo della Disco dal notissimo film La febbre del sabato sera (il cui doppio LP è comunque, un altro must del genere); questi, però, a differenza di altri, non solo provenivano da una diversa esperienza musicale (era una family rock-band australiana), ma hanno anche saputo elegantemente scrollarsi di dosso la pericolosa etichettatura cinematografica, continuando a produrre musica pop, senza legarsi ad un genere particolare: hanno persino abbandonato il canto in falsetto che li aveva tanto caratterizzati in More than a woman, Night fever, Stayin' alive".
Altra band dai buoni trascorsi e scomparsa dopo un momento di notorietà nel campo "disco" è stata The real thing, il cui maggior successo, "you are everything to me" non solo è sopravvissuto tra i classici, ma ha anche convinto artisti contemporanei a riproporne differenti versioni (Marina Rei: "Primavera").
Va menzionato anche un altro musicista "prestato" alle luci della Disco dal mondo dei turnisti d'elite: Gino Soccio, che ha realizzato "Try it out", un altro brano entrato fra gli indispensabili per una discoteca di base del genere.
Si potrebbe continuare ad oltranza, ma la discoteca "di base" si amplierebbe, forse, un po' troppo. Resta valido il suggerimento di cercare fra le "antologie": buona mi sembra (ma và?) quella, doppia, tratta dalla colonna sonora del film Studio 54, o quella del film concorrente The last days of Disco. Ve ne sono anche di interessanti fra quelle vendute per corrispondenza e reclamizzate in TV, che per una somma tutto sommato equa offrono fino a 10 CD. Certo che, però, possedere gli originali in vinile.....
L'uomo-ombra
Vorrei concludere questo excursus facendo riferimento ad una figura che, in questo campo, è restata un po' in second'ordine, riacquistando una giusta valutazione, forse addirittura con qualche esagerazione, solo negli ultimi tempi.
La disco è, essenzialmente, musica riprodotta. E' QUEL pezzo che sta inciso sul vinile, perché è QUEL prodotto commerciale, con QUELLA confezione che tutti conoscono. L'esibizione dal vivo degli artisti "disco", spesso è deludente, fatte salve le debite eccezioni: ricordo ancora con piacere Barry White che conduceva la L.U.O., dondolandosi a ritmo, con la bacchetta in mano, praticamente "danzando" con essa.
E' una musica, dunque, strettamente legata al "disco" e, conseguentemente, al DJ, che quel disco fa suonare. Anzi, che sceglie QUALE DISCO far suonare, in QUALE MOMENTO, e in QUALE SEQUENZA. Molto del successo di questo genere è dovuto al lavoro infaticabile dell'esercito di lavoratori della consolle, abili "psicologi di massa", funamboli del giradischi, dal tocco vellutato sul vinile e sui cursori del mixer che alzano e abbassano con precisione micrometrica e sincronismo assoluto. Sì, secondo me, anche i DJs suonano, con i maestri d'orchestra, il disco che "passano", ed i loro strumenti sono quasi canonizzati: giradischi Technics SL-1200 MkII (ora 1210, anche versione Limited Edition placcata oro 24K: conosco solo il mitico deck "Naka" ed un "piatto" Thorens, se non erro, che hanno ricevuto un simile "trattamento" da star) e puntina Stanton 680 EL, che, pur con i suoi limitatissimi dati di risposta in frequenza e di separazione non ha mai tradito nessuno, sopportando maltrattamenti da supplizio audiofilo (uno per tutti: la monetina da 50 lire appoggiata sullo shell per aumentare la forza d'appoggio su dischi "malmessi"... ).
Ebbene, in un primo tempo la figura del DJ era quella, più o meno, del talent-scout, una persona che introduceva o commentava i dischi che man mano faceva suonare, usando il mixer solo per sfumarli a vicenda (esemplari a tal proposito le due pellicole-culto del genere: Thank God it's Friday e La febbre del sabato sera), e la sua abilità si incentrava sulla nuova "scoperta", sul nuovo disco sconosciuto da "passare".
In un secondo momento si è di molto affinata la sua tecnica, ed il disco-DJ ha smesso di parlare, perfezionando sempre più l'arte di far suonare dischi in sequenza senza interruzioni, adoperando il mixer per fondere sempre meglio e sempre più "musicalmente" i vari brani. Parecchi di loro hanno cominciato a "rimaneggiare" i brani ufficiali, e spesso sono stati chiamati dalle case discografiche per produrre le versioni "da club" dei brani (i maxi-single a 12"). Da qui a creare i "miti", il passo è stato breve, e molti artisti si sono "messi in coda" per avere il proprio disco "remixato" (si dice così) dal DJ famoso di turno.
Pertanto, il ruolo dei DJ li ha portati ad essere profondissimi conoscitori dei brani che proponevano, "esperti" del genere musicale. E, poiché non dura a lungo un DJ che si pompa nelle orecchie 6-7 ore quotidiane di musica che non gli piace, necessariamente hanno finito per essere la vera categoria di persone che realmente è in gradi di apprezzare questo genere anche dal solo profilo musicale. E non è raro, di questi tempi, assistere a programmi radiotelevisivi di "revival", nei quali vengono intervistati proprio i DJ di radio e TV che hanno vissuto lo sviluppo di quella musica e l'hanno amata. Proprio recentemente Rete4 ha prodotto, in collaborazione con radio 105 Classic (mi pare), proprio una trasmissione televisiva in cui è stato intervistato un DJ della vecchia guardia, che ha ripercorso un po' i principali successi del genere.
In conclusione
Alla fine del tutto, mi sento di potere sinceramente consigliare a tutti anche il solo ascolto di brani appartenenti alla famigerata "disco".
Chi non è troppo in là con gli anni potrebbe scoprire brani nuovi, e, magari, "giocare" a riconoscere i dischi originali da cui vengono rubate" la pratica totalità dei "pezzi" di successo contemporanei. Chi lo sa, magari gli è piaciuta assai Primavera di Marina Rei, e gli piacerà ancora di più You are everything dei The real thing. Senza contare che un moderno genere di musica da club ( e non), il "dub", prende proprio le mosse dalle versioni speciali che venivano inserite nei maxi-singles cui accennavo prima, generalmente nei b-sides, dove, oltre alla versione strumentale del brano, ne venivano proposte spesso anche la sola base ritmica e, appunto, la versione "dub" (spesso solo drum and bass, con qualche accenno di sinth.....: vi dice nulla?)
Chi, invece, ha ormai -almeno- una trentina d'anni, e ha stabilmente inserito nella sua vita il momento della musica, potrà, a mio avviso, riascoltare parecchi brani che, bene o male, lo hanno accompagnato "da piccolo". L'ascolto dell'intero brano, inoltre, gli farà senz'altro sentire anche quelle parti che, normalmente, non venivano suonate "pubblicamente", perché precedenti o successive i punti in cui il singolo pezzo va fatto "entrare" o "uscire" dal DJ, che lo deve inserire in una sequenza ininterrotta.
Inoltre, anche l'audiofilo avrà motivo di interesse, visto che la produzione "disco" è, praticamente, TUTTA su VINILE, e, come già accennato, non tutta è male incisa; e, per alcuni dischi, vi è anche un certo valore COLLEZIONISTICO.
Insomma, penso di avere fornito alcuni buoni motivi per accostarsi alla "disco" vincendo lo schifo che generalmente ingenera nei musicofili: se ci riuscite e vi piace l'articolo... anche qui si può scatenare la "caccia" alla reliquia, nel qual caso piccole radio private e vecchie discoteche potrebbero rivelarsi buoni territori di caccia. Lo sarebbero anche i vecchi DJ, però ... mi sa che da alcuni dischi proprio non si separerebbero :-).
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