Il Seattle Sound (ovvero: miniguida indispensabile sul grunge e dintorni)
Grunge is dead
Il periodo d'oro del grunge puo' considerarsi concluso in una data precisa: quella del 5 aprile 1994.
Kurt Cobain e' un uomo a pezzi che non riesce piu' sopportare la responsabilita' che il successo comporta. Lo si vede anche nei concerti dove la carica detonante delle prime apparizioni sembra ormai stemperata e tutto diventa una routine: per chi ha la possibilita' di vederlo il Live and Loud di MTV e' lampante.
Nonostante tutto riesce a registrare l'ormai mitico "MTV Unplugged in New York", pubblicato in CD l'anno successivo, dove i Nirvana ripropongono molti dei loro pezzi in chiave acustica che ne risalta, se ce ne fosse stato bisogno, la qualita' delle canzoni.
Il peso di sentirsi, prima che un artista, un simbolo e' per lui troppo forte e l'unica via di uscita che puo' intravedere e quella di privarci del suo genio.
Nelle poche parole che lascia c'e' la frase di una canzone di Neil Young, quel "it's better to burn out than to fade away" ("meglio bruciarsi che spegnersi lentamente" tratto da "Hey Hey, My My") che riassume, nell' immaginario collettivo, tutta la storia del rock. E come al solito, in questi sventurati casi, morto l'uomo ne nasce la leggenda.
Se gia' lo stesso Cobain soleva indossare magliette con la scritta "Grunge is dead", in opposizione all'immenso clamore suscitato, il suo suicidio rappresenta un colpo di spugna quasi definitivo.
La via gia' intrapresa dalle varie band per allontanarsi dai cliche' imposti, prende una piega ancora piu' forte.
I successivi lavori dei Pearl Jam ad esempio suonano in maniera molto diversa dai precedenti "Ten" e "Vs.". L'energia e la rabbia sembrano tutte incanalate alla ricerca di strade nuove. Ma tra le molte ballads di "Vitalogy" (Epic, 1994) e del successivo "No Code" (Epic 1996) il Seattle Sound e' ormai solo un ricordo mentre affiora in molti punti la dichiarata influenza del solito Neil Young (il grunger ante litteram).
Con il quale peraltro i Pearl Jam accettano il ruolo di band di supporto e incidono l'ottimo "Mirrorball" (Reprise 1995).
Fioccano inoltre le collaborazioni esterne: mentre Stone Gossard va alla ricerca, con la formazione parallela dei Brad, di suoni quasi R&B, Mike McCready assieme a Layne Stanley degli Alice in Chains e Barrett Martin degli Screaming Trees da vita ai Mad Season.
Con "Above" (Columbia, 1995) ritroviamo in parte quelle sonorita' straordinariamente anni '70 che tanto avevano affascinato nei Temple of The Dog. La chitarra e' registrata in modo piuttosto sporco (si sente il ronzio dell'alternata ed e' filtrata spesso da un Rotovibe, un effetto il cui "antenato" era tanto caro a Jimi Hendrix) la voce di Stanley suona acida, le melodie dure ma con un fondo meravigliosamente malinonico.
Ospite in due canzoni di "Above" anche Mark Lanegan.
Il cantante degli Screaming Trees aveva gia' provato due anni prima ad intraprendere la via solista con risultati a mio avviso eccezionali: "Whiskey for the Holy Ghost" (Sub Pop, 1993) se effettivamente lascia a casa la durezza del suono di Seattle e' inequivocabilmente un mezzo capolavoro. Chitarre acustiche a profusione, la voce dolorosamente profonda e sporca di Lanegan ne fanno uno dei dischi da avere per capire quante potenzialita' possano essere cresciute nel Puget Sound.
Chi invece non abbandona la linea sono i soliti Mudhoney che continuano a pubblicare dischi della stessa ruvidezza di prima anche ad anni di distanza, come nel recente "Tomorrow hit today".
Mark Arm continua ad avere il suo pubblico fedele e i concerti sono sempre all'insegna del pogo selvaggio.
Ma gli eredi di quello che era il grunge non appartengono piu' a Seattle. C'e' una moltitudine di band che ha imparato la lezione (in molti casi scopiazzando in maniera palese, Stone temple Pilots in testa seguiti dagli australiani Silverchair, giusto per fare due nomi da evitare) e con piu' o meno coraggio e maestria tenta di proporre la propria via.
Gli Smashing Pumpkins da Chicago, ad esempio, che lontani quanto si vuole dal grunge hanno beneficiato dell'aggressivita' delle chitarre "nirvaniane" ("Siamese Dream" Virgin, 1993 per citarne solo un disco), le Hole di Courtney Love, moglie di Cobain, con "Live through this" (Geffen, 1994), gli inglesi Bush ("Sixteen Stone" del 1994 on e' poi cosi' male).
Seattle ha polverizzato in poco tempo un mondo musicale che stava miseramente decadendo, rinvigorendo generi costretti a piccoli circuiti come il punk, il crossover, il noise-rock che improvvisamente ottengono il lasciapassare di MTV.
Un effetto trainante che ha consentito di far conoscere gruppi considerati fino a quel momento genericamente "alternativi" come Red Hot Chili Pepper, Afghan Whigs, Pj Harvey etc.
Se anche nell' Italia dei cantautori gruppi come Marlene Kuntz o CSI (che di grunge hanno ben poco ma il cui suono obliquo non avrebbe incontrato il successo che merita senza la cura Seattle), gli ottimi Afterhours o nuovi arrivati come i Verdena vendono parecchie copie il merito e' comunque di quel tornado proveniente dallo stato di Washington che sembra gia' un ricordo ma che rimarra' luminoso nella storia del rock.
A presto
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