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Artista/Gruppo: CHICK COREA NEW TRIO
  Titolo album: Roma, piazza del Campidoglio, 11/7/2001  
  Etichetta:  
  Web site:  
Recensore: Pier Luigi Zanzi

© Pier Luigi Zanzi per http://www.music-on-tnt.com

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Che spettacolo, ragazzi…

Sono le 20. Arrivo trafelato dall'ufficio, speranzoso di trovare qualche posto a sedere visto che il concerto inizia alle 21… nulla. A parte le solite 80 sedie vuote per i VIPs, che non verranno e saranno sostituiti attorno alle 20.40 da un'orda circondante le sedie stesse fin dal mio arrivo. La piazza è uno spettacolo che forse molti di voi conoscono, ma vederla con 7000 persone è qualcosa di diverso dal solito, anche per un romano che ogni tanto, da 31 anni, ci passa.

Ed eccoli, quasi puntuali, Armando Corea e i due magnifici accompagnatori, Avishai Cohen al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria. Si parte con due standards resi famosi da Miles Davis e resi ignobili dall'acustica inquietante che ha turbato seriamente l'inizio di questo concerto: batteria con eco e risultante sensazione di avere un clone di Ballard dietro di lui che ripeteva a pappagallo i movimenti (gran pappagallo, fra l'altro, complimenti!), basso che si riduceva ad emulare tuoni ad ogni nota suonata e il solo piano decoroso. Poi, a seguire, lotte con esiti alterni con volumi e ogni altro potenziometro del mixer.
Verso il quarto brano, finalmente, l'equilibrio del trio diviene visibile a tutti; un interplay al limite della mostruosità, con i musicisti che si trovano, si regolano volumi e corpo a vicenda come se gli altri due strumenti fossero loro… una meraviglia.
Quando si va sul "tirato", sui ritmi tesi e le spigolose geometrie caratteristiche dei temi di Corea, il sound complessivo diviene poderoso, inscindibile, seguito da un pubblico che, birre e cellulari a parte (lo "sbarramento" a 10000 lire invece dell'ingresso libero a volte fa bene alla musica… :-P), segue attento ed entusiasta.


Si va verso il finale e quasi nessuno se ne accorge… Ballard attacca un assolo di batteria meraviglioso, Corea e Cohen abbandonano i loro strumenti, prendono le percussioni e contribuiscono, fra lo stupore curioso e divertito di tutti… E' già un trionfo. Il brano successivo vede Cohen prodursi in un solo che lo rende idolo dei presenti dopo che l'acustica tremenda lo aveva reso antipatico alle orecchie dei più; l'ambito jazzy in cui le sue note si muovono si trasforma piano, si rende più melodico, muta attraverso l'uso di scale arabe… Corea lo segue con le percussioni, i tre improvvisano una fase orientaleggiante, di grande divertimento, e quando il ritmo del batterista si fa incalzante Cohen riporta in occidente il fraseggio, torna al jazz, al blues, sfiora il rock… SMOKE ON THE WATER! E via con il pubblico a battere le mani, a seguire il tipico finale gigioneggiante di Corea che si diverte col pubblico.

Apoteosi.


I tre escono fra le urla dei presenti. Tornano poco dopo con… il concerto de Aranquez! Affrontano qualunque cosa come se fossero su quel palco da sempre, il pubblico è con loro, completamente. Da lì, Corea al piano comincia a ritmare di nuovo le note, proponendo al pubblico il "botta e risposta" piano-voce che non si fa mai mancare, come del resto le sue improponibili camicie. Con la voce lo seguiamo tutti, anche con varie difficoltà quando ci ricorda che iniziare a suonare con Miles Davis non è un'esperienza qualunque e ci propone frasi fuori scala da ricantare; l'atmosfera spagnoleggiante delle linee melodiche proposte fa sospettare i più affezionati… eh, sì, il bis lo chiude con Spain, suo grande successo degli anni '70. Folla osannante, i tre vanno via ma devono tornare di nuovo, per un nuovo scambio (che forse si poteva pure evitare) con le voci del pubblico e una nuova incursione negli ibridi territori di confine fra blues e sonorità latine.
Un concerto strepitoso, turbato solo dall'impossibilità di ascoltarlo decorosamente per la prima mezz'ora e da un finale un po' troppo carnevalesco. Un trio che suona jazz a livelli tecnici tremendamente elevati, senza che si avverta fatica o pesantezza (se amate il genere, perché di sicuro c'è jazz più rilassante, non lo nego).

Sono felice di esser stato lì.