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Che spettacolo, ragazzi
Sono le 20. Arrivo trafelato
dall'ufficio, speranzoso di trovare qualche posto a sedere visto che il
concerto inizia alle 21
nulla. A parte le solite 80 sedie vuote
per i VIPs, che non verranno e saranno sostituiti attorno alle 20.40 da
un'orda circondante le sedie stesse fin dal mio arrivo. La piazza è
uno spettacolo che forse molti di voi conoscono, ma vederla con 7000 persone
è qualcosa di diverso dal solito, anche per un romano che ogni
tanto, da 31 anni, ci passa.
Ed eccoli, quasi puntuali,
Armando Corea e i due magnifici accompagnatori, Avishai Cohen al contrabbasso
e Jeff Ballard alla batteria. Si parte con due standards resi famosi da
Miles Davis e resi ignobili dall'acustica inquietante che ha turbato seriamente
l'inizio di questo concerto: batteria con eco e risultante sensazione
di avere un clone di Ballard dietro di lui che ripeteva a pappagallo i
movimenti (gran pappagallo, fra l'altro, complimenti!), basso che si riduceva
ad emulare tuoni ad ogni nota suonata e il solo piano decoroso. Poi, a
seguire, lotte con esiti alterni con volumi e ogni altro potenziometro
del mixer.
Verso il quarto brano, finalmente, l'equilibrio del trio diviene visibile
a tutti; un interplay al limite della mostruosità, con i musicisti
che si trovano, si regolano volumi e corpo a vicenda come se gli altri
due strumenti fossero loro
una meraviglia.
Quando si va sul "tirato", sui ritmi tesi e le spigolose geometrie
caratteristiche dei temi di Corea, il sound complessivo diviene poderoso,
inscindibile, seguito da un pubblico che, birre e cellulari a parte (lo
"sbarramento" a 10000 lire invece dell'ingresso libero a volte
fa bene alla musica
:-P), segue attento ed entusiasta.
Si va verso il finale e quasi nessuno se ne accorge
Ballard attacca
un assolo di batteria meraviglioso, Corea e Cohen abbandonano i loro strumenti,
prendono le percussioni e contribuiscono, fra lo stupore curioso e divertito
di tutti
E' già un trionfo. Il brano successivo vede Cohen
prodursi in un solo che lo rende idolo dei presenti dopo che l'acustica
tremenda lo aveva reso antipatico alle orecchie dei più; l'ambito
jazzy in cui le sue note si muovono si trasforma piano, si rende più
melodico, muta attraverso l'uso di scale arabe
Corea lo segue con
le percussioni, i tre improvvisano una fase orientaleggiante, di grande
divertimento, e quando il ritmo del batterista si fa incalzante Cohen
riporta in occidente il fraseggio, torna al jazz, al blues, sfiora il
rock
SMOKE ON THE WATER! E via con il pubblico a battere le mani,
a seguire il tipico finale gigioneggiante di Corea che si diverte col
pubblico.
Apoteosi.
I tre escono fra le urla dei presenti. Tornano poco dopo con
il
concerto de Aranquez! Affrontano qualunque cosa come se fossero su quel
palco da sempre, il pubblico è con loro, completamente. Da lì,
Corea al piano comincia a ritmare di nuovo le note, proponendo al pubblico
il "botta e risposta" piano-voce che non si fa mai mancare,
come del resto le sue improponibili camicie. Con la voce lo seguiamo tutti,
anche con varie difficoltà quando ci ricorda che iniziare a suonare
con Miles Davis non è un'esperienza qualunque e ci propone frasi
fuori scala da ricantare; l'atmosfera spagnoleggiante delle linee melodiche
proposte fa sospettare i più affezionati
eh, sì, il
bis lo chiude con Spain, suo grande successo degli anni '70. Folla osannante,
i tre vanno via ma devono tornare di nuovo, per un nuovo scambio (che
forse si poteva pure evitare) con le voci del pubblico e una nuova incursione
negli ibridi territori di confine fra blues e sonorità latine.
Un concerto strepitoso, turbato solo dall'impossibilità di ascoltarlo
decorosamente per la prima mezz'ora e da un finale un po' troppo carnevalesco.
Un trio che suona jazz a livelli tecnici tremendamente elevati, senza
che si avverta fatica o pesantezza (se amate il genere, perché
di sicuro c'è jazz più rilassante, non lo nego).
Sono felice di esser stato
lì.
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