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Itinerari
Jazz di Trento
Elvin
Jones & Jazz Machine
(19 marzo -
6 aprile 2001)
Vogliamo
ringraziare il sig. A. Masna del Centro Servizi Culturali S. Chiara
per la cordiale collaborazione.
Quando è salito
sul palco, e con un filo (ma giusto un filo!) di voce ha presentato la
band e i brani che avrebbe eseguito, beh, ho pensato al peggio. Insomma,
non sembrava proprio in gran forma. Poi si è seduto alla batteria, e ha
cominciato a suonare con un entusiasmo e un vigore che mi hanno lasciato
semplicemente a bocca aperta.
Sto parlando del
grandissimo Elvin Jones, che ha tenuto un concerto bellissimo presso
l'Auditorium S. Chiara a Trento il 19 marzo
. Il leggendario
batterista del Michigan, che, lo ricordo, dal 1960 al '65 fece parte del
quartetto di Coltrane, ha offerto al suo pubblico una performance
di altissimo livello, ricca di tecnica, espressività e talento. E' davvero
incredibile come dopo cinquant'anni di carriera (Elvin ha compiuto il
settembre scorso il suo settantatreesimo compleanno!!), riesca ancora
a salire sul palco per divertirsi.
Si, signori,
si è divertito, ve lo posso assicurare.
E non perché il
pubblico trentino fosse particolarmente caloroso, ma perché Jones ama
il jazz, e non credo si stancherà mai di suonarlo. I Jazz Machine,
ovvero la band che da più di dieci anni lo accompagna nei vari tour mondiali,
e che nel corso del tempo ha visto avvicendarsi al suo interno nomi del
calibro di George Coleman, Steve Grossman, Sonny Fortune,
Jimmy Garrison (tanto per citarne alcuni), era composta da Ari
Browne ai sassofoni (tenore e soprano), Delfayo Marsalis, fratello
dei più famosi Brandford e Wynton, al trombone, Eric Lewis al pianoforte
e Tassili Bond al contrabbasso.
Il concerto è
iniziato con un brano di Lewis, in puro stile Monk, ma più dinamico
e frizzante, con il pianista dei Jazz Machine chinato sulla tastiera più
alla ricerca di un'interpretazione personale che della velocità esecutiva
e del virtuosismo puro. A firma di Tassili Bond e Dalfayo Marsalis sono
stati invece i pezzi successivi, decisamente più hard-bop e dinamici,
con un esplosivo Ari Browne ai sax tenore e soprano, che hanno riempito
l'Auditorium di un suono aggressivo, ma anche pieno e vigoroso.
La serata si
è conclusa con Don't mean a Thing di Duke Ellington, pezzo molto
swingato e introdotto da Lewis con un assolo che ha strappato alla platea
un applauso scrosciante. Ma la locomotiva del treno-concerto è stato lui,
il grande vecchio batterista, che quasi mezzo secolo fa rivoluzionò il
modo di suonare e la scena jazz mondiale, e diventò ben presto un punto
di riferimento per molti batteristi.
Non ha
suonato da prima donna, come molti potrebbero pensare, non si è
imposto come leader e non ha rubato spazi agli altri musicisti.
Al contrario.
Ha semplicemente
accompagnato i suoi gregari, facendo in modo che la loro voce ed espressività
venissero fuori e fossero accolte dal pubblico, che, da quello che ho
potuto vedere, si è divertito moltissimo. Un concerto energetico e coinvolgente
insomma, che ha dimostrato (ancorché ce ne fosse bisogno) la straordinaria
bravura di Elvin Jones non solo come batterista, ma anche in qualità
di musicista tout-court e di scopritore di nuovo talenti.
Mi è sembrato
pure di sentire Trane sul palco, ma forse era soltanto il suono
del suo tenore che, a distanza di quarant'anni, aleggia ancora nell'aria.
Chissà…
A presto.
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