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STEELY DAN
AJA
MCA RECORDS
1977
Anno di grazia 1977: il mondo della musica vive un'altra stagione di cambiamenti. Irrompe il Punk con tutta la sua carica sovversiva e reazionaria verso l'ordine costituito. Verso quel rock, come scrive Greil Marcus, ormai: <>. Erano gli anni del tecnicismo del progressive che allontanava la musica dalle esigenze sociali intrise di disperazione e rabbia. Dietro un concertone di un supergruppo c'era solo la celebrazione di sé. Il Punk decide di "azzerare" questa idea di musica sparando a zero sul suo mito.
Contemporaneamente, dall'altra parte dell'oceano, gli Steely Dan (Donald Fagen e Walter Becker), pubblicano Aja. Sarà il loro maggior contributo (politically correct) alla ridefinizione dei confini della musica rock. Un disco che naviga controvento. Sia contro l'aria che tira (il Punk), sia contro le stesse "regole del gioco" del rock.
Nulla del passato può essere paragonato al tentativo del duo di sperimentare nuovi equilibri tra l'easy listening più raffinato e il jazz più complesso. Diventa subito chiaro (ma la band aveva già indicato la strada con i cinque dischi precedenti) quanto siano strabilianti le possibilità di incrociare semplicità e complessità senza che il risultato finale (quello che più interessa l'ascoltatore) si perda. E AJA è un compedio. Frasi ritornellate efficaci (Peg, Josie); armonie "insaporite" dalla presenza di accordi "alterati" e "suspended" tipici del jazz moderno e rari nel rock (Black Cow, I Got The News); arrangiamenti dei fiati e condotta delle parti di scuola tipicamente ellingtoniana (Deacon Blues); destrutturazione del formato canzone (Aja). Accanto, la cura maniacale per i particolari e l'utilizzo dello studio di registrazione diventeranno proverbiali così come determinante sarà la presenza dei migliori musicisti in circolazione: Wayne Shorter, Victor Feldman, Bernard Purdie, Tom Scott, Steve Gadd, Larry Carlton, Don Grolnick, Lee Ritenour, Michal Omartian.
Un'enciclopedia della composizione e dell'arrangiamento che alimentò i mugugni di tutti. Di quelli che pensavano che il rock fosse solo chitarra e un paio di accordi maggiori e/o minori, di quelli che pensavano (e suonavano) il contrario di tutto (Punk) e di quelli che recuperavano il virtuosismo (fine a se stesso) e la leggenda (gruppi progressive). Tutti scontenti, tranne il pubblico. Risultato? Disco d'oro e maggior successo per gli Steely Dan (l'album raggiunse il n. 3 di Billboard).
C'è un tempo in cui anche le rivoluzioni si fanno in silenzio.
Quello (dicono) è il tempo dell'arte.
Nulla del passato può essere paragonato al tentativo del duo di sperimentare nuovi equilibri tra l'easy listening più raffinato e il jazz più complesso. Diventa subito chiaro (ma la band aveva già indicato la strada con i cinque dischi precedenti) quanto siano strabilianti le possibilità di incrociare semplicità e complessità senza che il risultato finale (quello che più interessa l'ascoltatore) si perda. E AJA è un compedio. Frasi ritornellate efficaci (Peg, Josie); armonie "insaporite" dalla presenza di accordi "alterati" e "suspended" tipici del jazz moderno e rari nel rock (Black Cow, I Got The News); arrangiamenti dei fiati e condotta delle parti di scuola tipicamente ellingtoniana (Deacon Blues); destrutturazione del formato canzone (Aja). Accanto, la cura maniacale per i particolari e l'utilizzo dello studio di registrazione diventeranno proverbiali così come determinante sarà la presenza dei migliori musicisti in circolazione: Wayne Shorter, Victor Feldman, Bernard Purdie, Tom Scott, Steve Gadd, Larry Carlton, Don Grolnick, Lee Ritenour, Michal Omartian.