I dischi belli di John
Surman sono molti e non è facile sceglierne uno senza fare un
torto agli altri.
La mia scelta è caduta su Private City un disco che ha
ormai una dozzina d'anni ma che non smette mai d'essere attualissimo.
Il cinquantaseienne inglese Surman nasce musicalmente nel
'60 con il gruppo di un college di Plymouth, che abbandona poco
dopo per recarsi a Londra dove suona con personaggi del calibro
di John Taylor, Mc Laughlin, Holland.
Nel '69 forma un suo gruppo, Trio, dedito al free-jazz. Con questo
quinto lavoro per l'ECM Surman riprende il discorso iniziato in
solitudine con Upon Reflection e ci regala otto momenti d'estrema
bellezza.
Lo stile del
sassofonista prevede contaminazioni elettroniche, richiami ad arie
religiose e della musica popolare inglese, tutte raccolte in un
mix che diventa così un marchio di riconoscimento per Surman.
Il suono malinconico
del clarinetto basso nel brano Portaits of a romantic, che
sovrasta prepotentemente un sottofondo arpeggiato e ripetitivo,
evoca alla mia mente silenziose distese desolate. Il tutto accompagnato
da un calzante ritmo percussivo creato al synth.
Ed è questa la particolarità
del suono di Surman.
Con il sequencer,
che il sassofonista non si risparmia di usare, nascono melodie e
ritmi che vanno dalle forme più semplici alle più complesse
senza però mai strafare, senza mai complicare l'esecuzione del brano.
Ancora archi campionati danno un tocco rilassante al pezzo. Ancora
intrecci di synth, voci campionate e sax soprano danno a Not
love perhaps un clima sinistro evocando lontani ricordi medievali.
Surman si cimenta ancora
una volta in sovraincisione, questa volta di più fiati, nel bellissimo
Levitations e nell'ancor più bello Roundelay una sorta
di tranquilla ballata sempre dagli antichi sapori. E' suggestiva
la sezione ritmica del sax baritono e del clarinetto basso a supporto
del soprano intento ad esporre il lungo tema, che a tratti, si sdoppia
in simpatici duetti.
Ma è con il brano che chiude il disco, The wizard's song,
che a mio avviso John Surman supera se stesso.
Oltre ad un incantevole tappeto ritmico del synt come sottofondo,
il sassofonista si cimenta in una lunga improvvisazione al
sax che lascia l'ascoltatore con il fiato sospeso per non
rompere questa magica atmosfera.
Ho avuto la fortuna di
vedere Surman dal vivo in solo e vi posso garantire che è
un'esperienza indimenticabile. Sembra un folletto uscito da una
fiaba che si muove tra sax, flauti, sequencer e tastiere come
se stesse eseguendo una danza rituale.
Ai suoi concerti non
vola una mosca. Si potrebbe rompere l'incantesimo creato da questo
meraviglioso folletto Come ho detto sono molti i lavori di Surman
che meritano di essere citati e, per chi volesse approfondire l'argomento,
consiglio il già citato Upon reflections oltre a Road
to saint Ives ( entrambi in solo) ed al bellissimo The brass
Project .
John Surman: bass clarinet,
recorders, soprano and baritone saxophones, synthesizer Portrait
Of A Romantic / On Hubbard's Hill / Not Love Perhaps / Levitation
/ Undernote / The Wanderer / Roundelay / The Wizard's Song ECM
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