L’improvvisazione ha giocato un ruolo fondamentale nel corso della storia della musica. Indipendentemente dal fatto che la musica affondi le sue radici nel desiderio degli uomini di imitare il canto degli uccelli ( secondo le teorie di Democrito ) o che essa nasca in epoca ancestrale secondo modalità diverse, come quelle sostenute da Herbert e Spencer "canto come idealizzazione del linguaggio naturale della passione", o che , come in Darwin, essa sia espressione dei sentimenti che si esterna in suoni , o ancora per altri filosofi e studiosi, che la musica rappresenti ritmo o energia nervosa espressa sotto forma di allitterazione, l’improvvisazione è intrinsecamente legata alla sue prime forme di espressione.
Il fenomeno dell’improvvisazione sembra essere correlato in modo inversamente proporzionale alla crescita della notazione musicale.
Nella musica greca di carattere monodico-eterofonico, l’esecutore era quasi un compositore che non essendo legato a partiture o brani memorizzati , ma probabilmente soltanto a moduli fissati dalla tradizione, assumeva i connotati di improvvisatore .
Così intesa l’improvvisazione era elemento caratterizzante la musica di tutti i popoli antichi.
Anche l’esecuzione dei canti gregoriani fino alla loro codificazione scritta nel VIII secolo, era tramandata oralmente e fondamentalmente improvvisata; anche in questo caso, improvvisazione come abbiamo già visto, non è sinonimo di produzione estemporanea di suoni liberamente scaturiti dallo spirito creativo dell’esecutore, bensì pratica basata su variazioni tramite moduli melodici dettati dalla tradizione del repertorio di strutture melodiche proprie del contesto gregoriano
Nel XVII secolo le note più lunghe di una melodia venivano ornamentate da note più rapide che venivano improvvisate secondo moduli stereotipati detti coloratura. Nel jazz dello scomparso maestro della chitarra jazz Joe Pass questo principio sembra rivivere in molte sue interpretazioni solistiche.
Nel Barocco successivo, l’età della decorazione, essa si estrinseca nella prassi del basso continuo oltre che di passaggi, abbellimenti o agrèments, secondo cui organo, chitarrone clavicembalo ed altri strumenti creavano estemporaneamente gli accordi che sorreggevano una data melodia.
Questa pratica sopravvive ancor oggi nella forma di notazione moderna espressa dalle sigle che si possono riscontrare in qualsiasi fake book .
Mi astraggo un attimo da queste considerazioni di carattere storico e rifletto sul processo compositivo.
Spesso il compositore si sente interrogare sulla priorità in fase di creazione di uno degli elementi basilari della musica rispetto ad un altro. Credo sia palesemente constatabile che l’affermarsi della monodia abbia favorito, in un approccio compositivo di tipo estemporaneo , come modulo di riferimento primario l’armonia come la seguente affermazioni del celebre violinista N. Paganini ci evidenzia: "Scrivo prima l’accompagnameno e trovo poi il mio tema nel corso della improvvisazione".
Risalta in questa frase l’inizio di un contrasto tra lo scritto e l ’improvvisato. Un noto scrittore contemporaneo avrebbe probabilmente fatto risaltare la relazione dei due termini come metafora di quella che vi è tra pesantezza e leggerezza.
La notazione musicale oltre ad essere un mezzo di comunicazione è anche un mezzo per ricordare. Come ci scrive il Dechaume ne "I segreti della musica antica" :"quando nell’Ottocento si cominciò a prendere sul serio lo schema grafico , l’esecuzione musicale cominciò ad esserne danneggiata" . Infatti la prassi esecutiva che come abbiamo visto era fortemente basata sui principi di abbellimento cominciò a non far " sentire " più ciò che non poteva essere scritto "Soltanto la musica popolare o assimilata continuò a far sentire ciò che non poteva essere trascritto. Il ballo musette o il jazz ne sono, tra molti altri, gli attuali testimoni".
Mi si conceda una piccola evoluzione pindarica: mi permetto di elevare alla potenza ennesima queste considerazioni notando come, alla luce della mia esperienza decennale didattica nelle scuole private, in un epoca in cui la didattica musicale ha seguito una trasformazione qualitativa notevole nel campo del jazz , una delle poche forme sopravvissute di improvvisazione, il musicista o studente che improvvisa sia mediamente poco incline alla lettura di partiture musicali rispetto allo studente che si occupa di musica classica quasi cromosomicamente ricordando il sopra discusso processo di danneggiamento subito dalla prassi esecutiva nell’ottocento ed inconsciamente temendo la cristallizazione e immobilizzazione che la notazione potrebbe imporre al libero estro creativo che il jazz favorisce. Come fenomeno di traslazione si tende ad associare quanto discusso ad altri settori della cultura teorica che malauguratamente l’appassionato di jazz e si spera non il musicista tende a rifuggire. Io credo al contrario che la notazione musicale, così duramente conquistata nel tempo, sia un grande mezzo di aiuto per il compositore , l’esecutore e lo studente .
La figura dell’improvvisatore oggi, non è più la stessa di quella dell’improvvisatore degli anni 20 o 30 o 40. La sua cultura teorica è mediamente più estesa ed essa stessa sembra alimentare se stessa lievitando in inconsce forme nuove d’arte in cui la bellezza primordiale di un glissato ascendente di Sachtmo potrebbe aver rappresentato nella sua grandezza un embrione la cui crescita ancora oggi potrebbe portare alla trasfigurazione cosciente di ciò in cui la ricerca del musicista consiste: il tentativo di rappresentare con ordine il caos dell’universo. Ricerca teorica musicale quindi come forma d’arte e scienza, ma non solo, ai fini utilitaristici, come mezzo di controllo modulare , di supporto ed aiuto didattico.Essa troverebbe facilmente più spazio , senza le latenti paure di cui sopra , negli ambiti di una musica che al dì là di formali categorizzazioni stilistiche come jazz, minimale, stocastica o altro, sia in movimento ,in un continuo fluire dinamico che dovrebbe salutare la pagina scritta come un benevolo riconoscimento della sua validità.
Quanto detto dovrebbe aiutare il gentile lettore a non irrigidirsi di fronte ad espressioni quali
"controllo modulare" dell’improvvisazione e composizione, poiché questo concetto è sempre stato presente nella storia della musica , sebbene ad un livello di controllo latente.
La mia proposta di una teoria che tende alla catalogazione dei materiali sonori ha ovviamente dei precedenti nelle tecniche seriali e del "set system " che però rimangono appannaggio esclusivo, per il carattere stesso insito nel tipo di formalizzazione su cui sono basati, di certi ambiti esclusivi e non direttamente correlati ad applicazioni strumentali e quindi al campo dell’improvvisazione.
L’approccio modulare che ho codificato ha visto la sua genesi a partire dalla difficoltà e problematiche di tipo empirico che si concretizzavano nella poco diffusa presenza di una metodica di controllo della quantità dei materiali musicali che parallelamente alla tendenza storica della transizione da diatonismo a cromatismo aumentava gradualmente nel corso dei secoli.
Una bibliografia molto limitata ma di gran qualità che concerne alcuni aspetti di questa problematica può essere consultata sul mio sito web che contiene anche diverse pagine sul mio studio che ha visto come oggetto la suddivisione modulare degli elementi musicali tramite alcuni metodi matematici e l’utilizzo della programmazione tesa al fine di dischiuderne tutti i segreti, lungo studio che ha raggiunto dei traguardi che non posso che ritenere esaustivi e soddisfacenti .
I miei studi, di cui sopra, rappresentano un contributo alla soluzione del problema di dare un ordine al caos che il musicista inconsciamente si è sempre posto e ribadendo l’utilità di un metodo di catalogazione e controllo come quello esposto a fini strumentali nel mio trattato spero che l’evoluzione di questa ricerca consista nella sua capacità di sapersi trasformare in nuove forme e persegua fini che si allontanino sempre più dalla concezione utilitaristica ed estetica della materia per perseguire fini di tipo etico.
Gabriele D'Angela
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