Mohandas Karamchand Gandhi Un corpo minuto, scarnificato dai digiuni, malamente avvolto in una pezza di stoffa bianca che lascia vedere un paio di consunti sandali da monaco. La grossa testa rapata, le orecchie fuor di misura e i rotondi occhialini di ferro completano l'immagine, che appare un po' patetica e un po' buffa. Eppure questo omino privo di forma eroica, armato soltanto di intelligenza e di fede totale nell'amore universale e nella non-violenza, mette in ginocchio il grande e potente impero inglese.Dopo decenni di paziente lavoro, sopportando carcere e umiliazioni da un "nemico" che rifiuta di odiare, Mohandas Karamchand Gandhi costringe Sua Maestà Britannica ad abbandonare l'India, da oltre un secolo colonia sfruttata economicamente e violentata nella propria millenaria raffinata cultura.Non-violenza è amare i nemici fino all’offerta di sé. “la non violenza consiste nell’amare colui che fa il male e nel fare a lui il bene”. Certo è compito arduo: ma è proprio l’amore ai nemici il criterio che distingue i veri credenti. “Perché se amate soltanto coloro che vi amano, quale premio meritate? Non fanno forse altrettanto i pubblicani?” (Matteo, 5,46) La non violenza è uno stile di vita, una scelta totale, un’arma di lotta efficace. L’unica arma di liberazione dei poveri. A chi obiettava che anche la violenza può essere arma di liberazione, Gandhi replicava: “la violenza è la pietra angolare dell’edificio governativo: perciò esso ha preso ogni precauzione contro la violenza proveniente da noi. Così dunque, quando ricorriamo alla violenza, collaboriamo con il governo”. E allora: ”Ogni violenza da parte nostra è solo un segno della nostra stupidità, della nostra ignoranza e della nostra rabbia impotente”. Il punto di partenza è la fede in Dio. Chi ha questa fede può donare la propria vita senza speranza di ricompensa o di successo. A chi gli obbiettava che in fondo la non-violenza è solo una tecnica politica, Gandhi rispondeva: “La non violenza praticata come una politica serve solo come lotta contro gli inglesi per l’indipendenza. La non-violenza praticata come una fede è invece un’arma potente per instaurare un ordine nuovo nella società”. La fede in Dio: era questo il segreto delle sue vittorie. “In che consiste la forza?” Egli diceva: “Io sono un nulla: ma sono stato liberato dal desidero e dal timore, sì che conosco la potenza di Dio”. Gandhi era un uomo testardo. Dimostrò che l’ostinatezza a fare il bene ha ragione di tutto. “Un non-violento che egli sia libero o in prigione, è vittorioso sempre. Egli non è vinto che quando abbandona la verità e la non-violenza”. Egli fu un grande realizzatore: un uomo d’azione come pochi. Fu un vero uomo politico pur ignorando sistematicamente le proverbiali furbizie dei politici. Della filosofia di Gandhi molto è rimasto e i "pezzetti" si sono moltiplicati. La nostra storia contemporanea continua a essere tormentata dalla violenza, ma ci sono milioni di uomini di buona volontà e di buon intelletto che alla ferocia delle soluzioni belliche, alla prevaricazione politica, economica, sociale, psicologica, oppongono la "resistenza passiva ragionata". E' un esercito in continuo aumento in tutto il mondo, in questo villaggio planetario ormai sempre più piccolo nel quale la brutalità, il terrore atomico, l'inquinamento, lo schiavismo economico hanno la possibilità di muoversi e di aggredire i popoli con devastante rapidità. Insegni il caso di Chernobyl, l'esportazione del terrorismo dalla Libia, dall'Iran, la diffusione della droga a volo d'aereo, e ultimo solo cronologicamente gli attentanti di New York e la risposta del mondo interno che ha scatenato una guerra di cui non se ne conosce né la fine né i risultati. Certamente la non-violenza non paga a tempo breve, ma sui tempi lunghi ha dimostrato di saper trionfare su eserciti e Stati perfettamente organizzati. Dopotutto l'impero romano venne sconfitto da un pugno di uomini e donne che alla ferocia dei mezzi coercitivi dello stato opposero l'accettazione del martirio di massa predicando la mitezza, l'amore universale fino al momento di una morte straziante imposta da una legge palesemente atroce.Per comprendere la misura dell’opera compiuta da Gandhi in un trentennio (1915-1948), occorre guardare a ciò che l’India era allora. Non uno stato, ma una moltitudine di stai. Una parte del paese sotto l’amministrazione britannica, l’altra era costituita da seicento stati governati da maharaja controllati (ma per lo più corrotti) dagli inglesi. L’idea della non- violenza non è un discorso facilmente recepito dagli indiani. Già il Buddha e altri profeti avevano parlato dell’ahimsâ=(non violenza) Gandhi trovò il popolo impreparato a tale discorso. Gli indiani infatti sono tradizionalmente violenti. Basta ricordare gravi fatti del passato: ammutinamento degli stati centrali nel 1857, la rivolta del Bengala nel 1906, gli scontri fra indù e musulmani nel 1948, la guerra del 1965 tra India e Pakistan per il Kashmir…. Ghandi stesso fu vittima di questa violenza. E spesso dovette interrompere le campagne non-violente perché alcuni seguaci si macchiavano di atti di violenza verso gli inglesi. Di qui il grande merito di Gandhi: aver fatto accettare la non-violenza ad un popolo violento. La sua vita è ricca di avvenimenti interiori, religiosi e politici. Nato il 2 ottobre 1869 a Porbandar (uno dei seicento regni dell’India di allora, nella penisola del Kathiawar) Mohandas Karamchand Gandhi apparteneva alla terza delle quattro caste indù: quella dei Vaishias sottocasta dei Banja (artigiani). Per un certo perido di tempo il popolaccio si divertì di fronte allo spettacolo di quegli esseri "vili" che morivano nelle arene dei circhi e sulla croce senza combattere, senza uccidere per diffondere la loro fede. In un seguito si rese conto che quella morte, deliberatamente scelta, era altrettanto eroica - se non più eroica - della morte affrontata in combattimento con l'arma in mano. Capì la crudeltà e l'ingiustizia della legge. Dell'importanza e dell'efficacia di questa filosofia di vita Gandhi ha la prima dimostrazione nell'adolescenza, dal padre Kaba, proveniente da una famiglia di droghieri (Gandhi significa appunto droghiere), uomo non colto ma di grande esperienza, generoso e incorruttibile, il quale proprio per queste qualità è spesso chiamato alle corti dei principi in veste di consigliere. Fino al momento della grande lezione il piccolo Mohandas Karamchand non differisce molto dagli altri ragazzini di buona famiglia, induista osservante. Di intelligenza mediocre, di memoria scarsa, di capacità di studio limitate, timidissimo, non era certo un favorito dalla sorte. Era solo un uomo tenace. A tredici anni quando, secondo l'uso, si sposa con una ragazza della sua età, si trasforma in un essere divorato dalla sensualità, offuscato dalla gelosia e dalla volontà di possesso, e con la moglie-bambina si comporta da despota.Fortunatamente Kasturbai, la sposa, seppe comprendere il mondo interiore di Mohandas, gli assicurò un’esistenza felice, gli dette quattro figli, gli fu compagna nelle azioni sociali, affrontando più volte il carcere, fino a morire in prigione. Affascinato da un giovane amico che dimostra grande esperienza ed esibisce una notevole forza fisica, si lascia convincere che la supremazia degli inglesi, dei "padroni", sia dovuta al fatto che mangino carne. Subito Mohandas si mette a divorare bistecche in quantità, incurante del precetto severissimo della religione jaina (elementi di questa fede fanno parte anche di quella hindu) che proibisce l'alimentazione carnea. Il rigore che presiede all'educazione del ragazzo (anche la madre è profondamente religiosa, votata a pratiche ascetiche, severa con sè e gli altri) non pare avere molto effetto, tant'è vero che Mohandas commette qualche piccolo furto ai danni del fratello per comperarsi le sigarette e assaporare il piacere proibito del fumo. La crisi arriva d'un tratto. Mohandas Gandhi, che è dotato di intelligenza critica, viene colto dal dubbio religioso e pensa di essere rimasto intrappolato dall'orrendo mostro dell'ateismo. Il ragazzo è un soggetto ipersensibile, un aspetto della sua personalità che riuscirà a tenere a freno in seguito sviluppando le tecniche di autocontrollo, e reagisce pensando al suicidio. Ma la ragione prevale sulla sfera emotiva. Si libera dal terribile peso che gli è crollato addosso scrivendo al padre una lunga lettera-confessione che narra tutte le sue "scelleratezze". E attende la punizione. Quando si presenta a testa china di fronte all'austero e rigoroso patriarca, sente il "giudice" singhiozzare. In quell'uomo non c'è la temuta ira ma soltanto dolore per la sofferenza del figlio. Un tenero abbraccio, il perdono. Scriverà Gandhi nella sua autobiografia: "Quella fu per me la prima lezione di ahimsâ". Ahimsâ significa non-violenza, amore verso gli altri, capacità di comprensione. Qualche anno più tardi il giovane farà di questo concetto la base della sua intensa religiosità, del suo impegno civile. Una religiosità, la sua, che proprio in nome dell'ahimsâ respinge quanto di violento si trova in alcuni culti. Fin da fanciullo rifiuta il dogma dell'intoccabilità stabilito nei confronti dei paria. E lo rifiuta nella pratica "toccando" il raccoglitore di spazzatura, il miserabile Uka (che, come tutti i suoi colleghi, appartiene alla non-casta dei paria) ogni qualvolta questi viene per casa a svolgere il suo compito. Lo fa provocatoriamente, in presenza della madre che pratica i precetti religiosi hindu e jaina in modo acritico. Dal padre impara anche la tolleranza e il rispetto per le diverse religioni: nelle riunioni familiari vi sono spesso ospiti musulmani, parsi, jaina e di altre sette. "Non rifiuto di credere all'adorazione degli idoli. L'idolo non eccita in me nessun sentimento di venerazione. Ma credo che la venerazione degli idoli faccia parte della natura umana. Aspiriamo al simbolismo", scrive il Mahatma nella autobiografia. E ancora: "L'errore non può pretendere alcuna immunità anche se è sostenuto dalle. sacre scritture del mondo". Tolleranza ma nello stesso tempo rigorosa coerenza con il suo credo razional-religioso che s'incentra sulle ahimsâ. E' per questo che, pur rimanendo affascinato dalla dottrina di Cristo quando gli capita di leggere il Vangelo, non si accosta al cristianesimo: non può accettare l'aggressivo proselitismo e le critiche violente all'hinduismo dei missionari che predicano nei pressi della scuola che Mohandas frequenta ancora ragazzo. Grazie all’aiuto di un fratello maggiore, Gandhi poté compiere gli studi e recarsi a Londra dove si iscrisse alla facoltà di legge. In un primo momento il diciannovenne Mohandas resta affascinato dalla vita londinese e si rende conto della propria "pochezza" mondana. Dando battaglia alla timidezza frequenta un corso di dizione per ripulire il suo pessimo inglese, frequenta una scuola di francese, una di violino e una di ballo. Gandhi però non ha smesso di coltivare la sua passione per la lettura dei testi filosofico-religiosi. E proprio in questo settore lo aspetta il destino di Mahatma. Lo trova fra le pagine di una delle venerate scritture hindu, il "Canto del beato", tradotto in inglese - suprema ironia - dallo studioso sir Edwin Arnold. La suggestione maggiore viene da un brano illuminante. "Quando l'uomo volge la sua attenzione agli oggetti dei sensi, si attacca a essi; da questo attaccamento nasce in lui l'amore, dall'amore l'ira, dall'ira il turbamento del senno, dal turbamento del senno l'agitazione della memoria, dall'agitazione della memoria l'annientamento della luce dello spirito e per l'annientamento di questa luce egli perisce".Dopo le meditazioni tormentose suscitate da queste letture, Gandhi entra nuovamente in crisi e, a conclusione di una lunga meditazione, recupera la propria identità culturale e conquista la maturità. Come conseguenza abbandona la comoda pensione nella quale vive e affitta una povera stanzuccia dove si cucina dei pasti miseri a base di verdure, in ossequio al precetto jaina e al giuramento fatto alla madre di attenersi a questa sacra norma. Dopo tre anni di vita quasi monastica e di studio intenso ottiene la laurea e rientra in patria nel l89l. Qui esercita la professione a Bombay ma i proventi sono scarsi e decide di tornare a Rajkot, la sua città. Qualche tempo dopo, il primo scontro con quella violenza che gli è insopportabile. Quando prende contatto con un funzionario inglese per difendere il fratello da un'accusa ingiusta, viene trattato in modo sprezzante e poi, quando insiste per approfondire la questione in termini sereni, viene messo alla porta con incredibile e ingiustificata brutalità. Per il giovane avvocato è un trauma violento, una profonda delusione. Non riesce a capacitarsi della ragione di un simile comportamento nei suoi confronti; è una persona civile, educata all'europea. Quando decide di trascinare l'arrogante inglese in tribunale, viene dissuaso da un amico: episodi del genere in India sono di ordinaria amministrazione, gli viene spiegato, accadono ogni giorno, vengono dall'arroganza del potere, dal razzismo. L'amarezza è grande, terribile la visione dell'India in catene che prima non gli era mai apparsa in tutta la sua tragica chiarezza. Quasi per sfuggire all'insopportabile realtà, Gandhi accetta di andare in Africa, a Durban, per trattare una questione legale su incarico di un'azienda commerciale del Kathiawar. Nell'Unione Sudafricana si scontra con una realtà ancora più avvilente. A Durban e nel Natal vi sono migliaia di lavoratori indiani che i coloni bianchi, fin dal 1860, hanno importato con contratti a termine per lavoratori agricoli. Il "potere bianco" (rappresentato da 50.000 coloni contro 400.000 indigeni e oltre 5.000 indiani) viene esercitato con pugno di ferro per contenere il predominio numerico della popolazione di colore. Regna l'apartheid più rigido in ogni luogo. Gandhi stesso prova sulla propria pelle la violenza della segregazione razziale. Mentre viaggia da Durban a Pretoria in un vagone di prima classe viene "sorpreso" dal controllore che lo costringe a scendere perché, anche se munito di regolare biglietto, lui, uomo di colore, non può occupare un luogo riservato ai bianchi. A Johannesburg gli alberghi rifiutano di dargli ospitalità. A Pretoria viene scaraventato giù da un marciapiede, anche questo riservato ai bianchi. Sono ferite profonde che vive anche come umiliazione del suo popolo. Ma questa volta non si arrende fatalisticamente alla realtà come gli è accaduto di fare in India. A sette giorni dal suo arrivo a Pretoria organizza una riunione della comunità indiana, composta quasi esclusivamente da negozianti e uomini d'affari. E superando il suo cronico timore di parlare in pubblico fa un discorso che in sintesi dice così: "Cari amici, se volete uscire da questa situazione umiliante, se volete evitare di essere trattati con disprezzo, è necessario che eliminiate certi difetti, come il modo di trattare le transazioni commerciali in maniera poco corretta, la scarsa pulizia personale, i pregiudizi religiosi e di casta. Ed è importante che impariate l'inglese: per questo sono a vostra disposizione, le lezioni ve le darò io". Detto questo Gandhi va a trattare con la direzione delle ferrovie e con un'abile perorazione strappa la promessa: quando saranno decorosamente vestiti e scrupolosamente puliti, i suoi compatrioti potranno viaggiare in seconda e prima classe. L'episodio segna la nascita del leader. Ma Gandhi non sa ancora di esserlo. Anzi, non ha nessuna intenzione di intraprendere una simile "carriera". E infatti, a dodici mesi dall'arrivo nel Natal, conclusa la sua missione legale, si accinge a ripartire per l'India. Durante la rituale festicciola d'addio esplode la notizia che muterà il corso della vita di questo giovane avvocato così timido, ma estremamente deciso e di appassionata eloquenza quando si tratta di battersi contro la violenza e la prevaricazione dell'uomo sull'uomo. Qualcuno gli mette sotto gli occhi una pagina del "Natal Mercury" dove si legge che il governo ha soppresso tutti i diritti civili della "coloured people". Gandhi rinvia la partenza di un mese: non può abbandonare a loro stessi questi uomini incapaci di difendersi, quasi tutti analfabeti o semi analfabeti. Giorno dopo giorno, lotta dopo lotta, il momento dell'imbarco per l'India si allontanerà di vent'anni. Vent'anni durante i quali, con assoluta fermezza, il leader ormai carismatico perseguirà l'obiettivo dell'uguaglianza sociale e politica. Nel 1894 fonda il "Natal Indian Congress", nel quale raccoglie la comunità indiana per dar forza e unitarietà alle azioni di difesa dalla violazione dei diritti. La battaglia di Gandhi è così serrata da polarizzare sulla sua persona un odio feroce: al punto che un giorno un gruppo di bianchi tenta di linciarlo. Lo salva a malapena l'intervento della moglie di un alto funzionario inglese, che fa scudo con il proprio corpo a quello del leader. Il quale rifiuterà di denunciare gli aggressori, sempre più convinto che l'ahimsâ, sia pur a lungo termine, può sconfiggere la violenza. E' sulla base di questa sua drammatica e lunga esperienza che Gandhi sviluppa il concetto della satyâgraha (forza della verità). "Il principio così chiamato", scrive Gandhi, "sorse prima di avere un nome. In India usavano l'espressione inglese passive resistance, ma il termine era troppo restrittivo. Appariva come l'arma dei deboli, non escludeva con sufficiente chiarezza i concetti di odio e violenza. Era chiaro che gli indiani dovevano coniare una parola nuova per indicare questa cosa nuova. Il seguace della satyâgraha, precisa il Mahatma, disobbedisce alla legge che ritiene ingiusta ma accetta la pena prevista per la violazione. In questo modo collabora con il legislatore mettendo alla prova la sua legge. Poiché lo scopo di questo principio, della satyâgraha, è che lo stesso legislatore, applicando la legge in tutto il suo rigore e fino alle estreme conseguenze, si convinca della sua insostenibilità". Gandhi espone questa sua filosofia - che alcuni, in seguito, preferiranno considerare una tattica, in una grande riunione organizzata il 1° settembre 1906 all'Old Empire Theatre di Johannesburg. Pochi giorni prima il governo del Transvaal ha approvato una legge, l'Asiatics Law Amendment Ordinance, nella quale s'impone a tutti gli asiatici residenti nel territorio di avere una carta di identità e di dare le impronte digitali all'autorità di polizia. Da questo provvedimento e da altri simili gli indiani si sentono profondamente umiliati e considerati alla stregua di criminali. Nel comizio di Johannesburg Gandhi propone di rispondere a questo progetto con la satyâgraha. L'adesione è pressoché totale. La maggioranza degli indiani rifiuta di sottoporsi alle disposizioni. E quando vengono multati non pagano, al processo ammettono di aver deliberatamente violato la legge, e si lasciano condurre nell'"albergo di Sua Maestà" - come Gandhi definisce scherzosamente la prigione inglese - senza opporre resistenza. Finisce in galera anche lui per aver disobbedito all'ordine di lasciare il Paese nel giro di poche ore. Al processo chiede per sè una pena maggiore di quella dei compagni, ma gli vengono comminati soltanto due mesi. Il generale Smuts, capo del governo sudafricano, non è molto tranquillo, anche se la grande rivolta sembra domata e le carceri del Transvaal sono piene di indiani che si comportano con stupefacente mitezza. Questa situazione, della quale si parla con particolare interesse in Europa e in mezzo mondo - anche nel vecchio continente si vivono in quel periodo anni di inquietudine sociale, gli operai contestano duramente lo sfruttamento intensivo al quale vengono sottoposti nelle fabbriche - sembra rappresentare la quiete prima della tempesta. Smuts preferisce risolverla prima che la bomba esploda. Tratta con Gandhi e i due protagonisti giungono a un compromesso: il governo casserà l'ordinanza e i satyâgrahi (cioè coloro che resistono all'autorità secondo il principio gandhiano) andranno a farsi schedare spontaneamente. Ma alla fine dell'operazione gli inglesi non ritirano l'ordinanza. Gli indiani si sentono raggirati e attaccano Gandhi, accusandolo di essersi fatto imbrogliare a causa della sua credulità e della sua ingenuità. Uno di loro, in preda all'ira provocata dalla delusione cocente, lo picchia brutalmente. Il leader rifiuta di denunciarlo: comprende lo stato d'animo dell'aggressore e, giudicando l'aggressione come un fatto umano, rifiuta di denunciarlo proprio in omaggio ai principi della satyâgraha. Naturalmente la battaglia riprende e raggiunge il suo culmine nel Natal, dove si è spostata. Nel 19l2 Gandhi proclama l'hartal, una giornata di astensione dal lavoro nella quale sono compresi anche il digiuno e la preghiera, e organizza una grande marcia di indiani dal Natal al Transvaal.E' la risposta a nuovi provvedimenti illiberali del governo, che ha anche deciso di non considerare legali i matrimoni religiosi celebrati secondo il rito hindu. Contro i dimostranti viene scatenato l'esercito, le carceri si riempiono nuovamente di satyâgrahi, Gandhi viene condannato a quindici mesi. Ma alla fine, sotto la pressione dell'opinione pubblica internazionale, nel 1914 il governo decide di eliminare parte delle vecchie leggi discriminatorie, di riconoscere ai nuovi immigrati la parità dei diritti e la validità dei matrimoni religiosi. Anche il Mahatma viene liberato e nella grande schiera dei propri ammiratori trova persino il generale Smuts, che diventerà suo amico. Poco dopo, è il 1915, Gandhi rientra in patria. Una patria nella quale serpeggiano già da tempo fermenti di ribellione. Quando Gandhi ritorna in India il Congresso ha concluso ben poco. Anzi, è stato spesso ingannato dagli inglesi, che hanno fatto concessioni in apparenza positive ma sostanzialmente illusorie, poiché agli indiani non viene riconosciuta alcuna decisionalità politica. Nel 1917 - la Gran Bretagna è coinvolta nella prima guerra mondiale - il governo inglese, ricorrendo alla mediazione del segretario di Stato per l'India, sir Edwin Montagu, prende l'impegno di favorire il graduale sviluppo delle istituzioni autonome, allo scopo di realizzare progressivamente un governo responsabile di un'India facente parte dell'impero britannico. Questa promessa è rivolta a ottenere l'arruolamento degli indiani nell'esercito britannico, che in quel momento sta affrontando in Europa le forze austrogermaniche. Gandhi stesso, che vede nel progetto Montagu la possibilità di avviare un processo evolutivo verso la totale indipendenza senza scontri, violenti o non violenti che siano, fa una grande marcia a piedi nella campagna del suo Paese per esortare i contadini a militare sotto le bandiere di Sua Maestà Britannica. Nel 1919 il progetto Montagu vede la luce, ma risulta essere il classico topolino partorito dalla montagna. L'India si ritrova con due Camere che hanno diritto di critica e di elaborare iniziative, ma che dal punto di vista politico non possono esercitare alcun controllo. Non solo: al governatore inglese resta il pieno diritto di far uso dei poteri d'emergenza anche se non ha ottenuto l'assenso delle Camere. Il Congresso indiano si spacca in una minoranza liberale e in una maggioranza estremista. Ad aggravare la situazione si aggiunge una decisione contraddittoria del governo inglese che, con un successivo progetto di legge, il Rowlatt Bill, conferma le speciali procedure giudiziarie per i delitti politici e le misure eccezionali di difesa interna messe in atto durante la guerra in Europa. Gandhi, pur fortemente offeso da questo voltafaccia degli inglesi, tenta di avviare una trattativa con il vicerè ma tutto è inutile. Dà allora il via alla campagna satyâgraha con un manifesto che compare il 20 febbraio 1919. Chi aderisce all'azione s'impegna, quando le leggi contestate saranno entrate in vigore, "a disobbedire a queste e a quante altre leggi venga deciso di disubbidire da un apposito Comitato, astenendosi tuttavia da ogni violenza contro persone o cose". Viene fissato un grande hartal per il 30 marzo, che poi subisce un rinvio al 6 aprile. A Delhi la notizia del rinvio non arriva in tempo e la manifestazione si svolge il 30. C'è una folla enorme. Ma l'immenso corteo non è autorizzato per quel giorno e la polizia inglese spara nel mucchio. Gandhi viene arrestato; questo aggrava la situazione ed eccita gli animi. Nel Punjab il clima si fa rovente e alcuni inglesi vengono uccisi. Il comandante della piazza vieta ogni raduno, ma quando cinquemila persone si riuniscono in assemblea, il generale Dyer ordina ai suoi soldati di aprire il fuoco senza preavviso. I feriti sono un migliaio, i morti quasi quattrocento. Gandhi dà ordine di sospendere la satyâgraha. Questa non ha senso, afferma con coraggio, se vengono commesse violenze da parte degli indiani. E le violenze prendono corpo anche fra hindu e musulmani, fra hindu e indiani cristiani a causa delle posizioni diverse nel quadro della lotta d'indipendenza e nel tentativo di conquistare una posizione di maggior potere sugli altri. Il 1°febbraio del l922 Gandhi, che ormai è il Mahatma, il capo carismatico e venerato del popolo indiano in lotta per la libertà, lancia una nuova satyâgraha. Contemporaneamente a questa decisione invia una lettera al viceré: il messaggio è definitivo e chiaro, o l'autonomia entro il l5 febbraio o l'India la prenderà con le proprie mani mettendosi fuori dalla giurisdizione dell'impero. Il 4 febbraio accade un episodio atroce. Una folla infuriata brucia vivi nella città di Chauri-Chaura dieci poliziotti. Gandhi, d'accordo con il Congresso, sospende nuovamente la satyâgraha e fa una pubblica dichiarazione sul giornale "Young India". "Nessuna provocazione può giustificare la brutale uccisione di uomini impotenti e alla mercé della folla quando l'India proclama di essere non violenta e di voler ascendere al trono della libertà attraverso la non violenza". Dopo questa dichiarazione Gandhi decide di sottoporsi a cinque giorni di digiuno. Qualche giorno dopo viene arrestato e condannato a due anni di carcere per aver provocato disordini contro il governo di Sua Maestà. "In prigione -dirà - sono felice come un uccellino". Poi riprende la lotta. Nel 1930 un'altra grande battaglia: la campagna di disobbedienza contro la tassa sul sale, la più iniqua perché colpisce soprattutto le classi povere. Seguito da una folla silenziosa ma decisa, il mattino del 12 marzo 1930 Gandhi raggiunge la riva del mare e lì, facendo evaporare pazientemente un certo quantitativo d'acqua, fabbrica qualche grammo di sale.Dalla folla si leva un ritmico applauso nel quale si confondono orgoglio, gioia e commozione. Dopo questo episodio la campagna si allarga: boicottaggio ai tessuti provenienti dall'estero, isolamento dei funzionari governativi ai quali i commercianti rifiutano la merce. Gli inglesi reagiscono duramente. Arrestano Gandhi e sua moglie. In carcere finiscono anche altre cinquantamila persone. Una successiva decisione del governo britannico di tentare la normalizzazione dei rapporti su una base più vicina agli interessi indiani - un prezzo da pagare per non perdere questa ricca colonia - riporta in libertà Gandhi. Poco dopo il Mahatma prende parte alla seconda conferenza di Londra (la prima era fallita poiché mancava la presenza determinante dei delegati del Congresso indiano) con la quale il governo inglese tenta di gettare le fondamenta di una costruzione che garantisca i diritti dell'India e nello stesso tempo protegga gli interessi britannici in loco.E' l'agosto del 1931. Gandhi rappresenta il Congresso ma ne porta avanti le istanze subordinandole al grande disegno unitario per il quale si è sempre battuto. Nel corso della discussione, alla quale partecipano i principi indiani e i rappresentanti delle varie comunità, compresa la forte Lega musulmana, viene raggiunto un accordo che abbozza il quadro costituzionale a grandi linee: una federazione unica, della quale fanno parte l'India britannica e i principati indiani, controllata da un'assemblea federale; le province dell'India britannica sono entità autonome, governate democraticamente. Ma il problema diventa arduo quando si affronta la questione delle minoranze. Musulmani e hindu sono su posizioni opposte. Nella Conferenza generale musulmana del gennaio 1929 era stato fissato un punto fermo, irrinunciabile: nessun consenso a una carta costituzionale che non avesse garantito il 33 per cento dei seggi in seno all'Assemblea legislativa centrale. Analoga posizione hanno gli "intoccabili" che, come i musulmani, esigono l'elettorato separato e una quota di seggi. Soprattutto quest'ultima richiesta provoca la durissima reazione di Gandhi, che nell'assurda pretesa vede la conferma ufficiale di una spaventosa ingiustizia sociale. "I sikh possono restare tali in perpetuo, così pure i musulmani e gli europei. Ma possono gli intoccabili restare in eterno intoccabili? Vorrei piuttosto vedere l'induismo morire che l'intoccabilità sopravvivere. Perciò tengo a dichiarare qui, con tutta solennità, che se dovessi essere l'unico a resistere lo farei a costo della vita". E le ultime parole del Mahatma sono ancora segnate dall'irriducibilità: "Siamo giunti al bivio dove le nostre vie divergono". La conferenza viene aggiornata. Gandhi deve rientrare in India dove si susseguono sommosse popolari e il terrorismo diventa sempre più diffuso. La crisi economica mondiale, partita dal crollo di Wall Street nel l929, si abbatte anche sul Paese che viene percorso dai rivoluzionari, figliati dall'Unione sovietica, i quali incitano alla ribellione i contadini in miseria. Una terza conferenza è altrettanto travagliata. Resta drammaticamente aperta la questione dei musulmani e degli intoccabili. Nel 1932 Gandhi inizia un digiuno: afferma che si lascerà morire di fame se non verrà abolita dalla Costituzione la norma degli elettorati separati. Dopo quattro giorni è quasi morente. La notizia turba tutta I'India e i rappresentanti delle comunità minoritarie si radunano e unitariamente decidono di rinunciare alle pretese di separazione. L'India avrà così la sua Costituzione. Non priva di difetti anche notevoli, ma ripulita dalle iniquità odiate da Gandhi. Certo la via della libertà sarà ancora lunga, ma questo è il primo significativo successo. II Mahatma dovrà fare molti altri digiuni, ma alla fine la vittoria sarà sua. Il 30 gennaio 1948 viene ucciso. Gandhi era stato avvertito del complotto, ma aveva rifiutato la protezione della polizia. “Se devo morire, morirò durante le riunioni di preghiera. Vi ingannate ritenendo di potermi proteggere. Il mio protettore è Dio” Queste parole furono il suo testamento. E il vecchio profeta, sorretto dalle nipoti Ava e Manu, entrò nel grande cortile della preghiera. Quando l’attentatore gli si avvicinò ed estrasse la pistola, Gandhi lo benedisse. Poi, fulminato dalle pallottole alzò le braccia in una invocazione a Dio: “Hé Rama” quella invocazione che lo aveva accompagnato per tutta la vita. Disse di lui Albert Einstein nel 1944: “Può darsi che le generazioni a venire stentino a credere che una simile creatura abbia camminato in carne ed ossa su questa terra”.
|
|
|