Armageddon -Pain is Our Pray-

Racconti

-a cura di De Benetti Tommaso-

James

Adam distese la gamba sopita. Da più di un’ ora attendeva accovacciato il ritorno dei suoi due superiori, fratello Dalen, vecchio e saggio Purificatore e fratello Thamas, un giovane Assassino di Dio schivo e riservato. Un leggero "Uoch!" gli uscì dalla bocca quando si accorse del fastidioso formicolio che si andava propagando dal piede a tutto l’ arto. Barcollò leggermente, ma mantenne l’ equilibrio. Il cassonetto della spazzatura dietro il quale era nascosto si mosse di qualche centimetro, raschiando rumorosamente contro il freddo asfalto della viuzza. Maledizione ,pensò, Se quei due non tornano, vado loro incontro. Strinse nella mano la suo fida Gherusalem, un’ arma standard in genere largamente utilizzata dagli Iniziati per il suo basso costo. Si stava chiedendo il perchè una semplice missione di ricognizione in giro per la città stava diventando così lunga. Dalen e Thamas, lo avevano lasciato, appena un’ ora prima, dicendogli: "Resta indietro figliolo, noi due abbiamo una faccenda da sbrigare". Aveva acconsentito, credendo che si trattasse di un affare di poco conto. Evidentemente non lo era. Lentamente si alzò dal suo nascondiglio. Un brivido freddo lo percorse da capo a piedi. "No, evidentemente non lo era", sussurrò. Avanzò a tentoni in una sorta di semioscurità che regnava sovrana in quella maledetta stradina, cercando di guardare dove metteva i piedi. Durante il percorso, la sua mente inziò a vagare, e presto rammentò i motivi per cui aveva deciso di diventare un membro della Santa Chiesa.

Joseph Baldwin, questo era il suo vero nome. Era un bel ragazzo, alto, biondo e con gli occhi chiari. Viveva a Seattle, con sua madre , Kris, infermiera a tempo pieno al Seattle Hospital Center nella sezione di Oncologia, il padre, Bert, avvocato di successo e il fratello James, di 11 anni. A quel tempo Joseph era poco più di un sedicenne. La sua situazione familiare era piuttosto felice, i soldi non mancavano e le ragazze nemmeno. Da un paio di mesi incontrava Maria, una studentessa di origine italiana, che frequentava il suo stesso college.La relazione sembrava solida, tanto che Joseph l’ aveva già presentata ai genitori.

Si salutarono con un bacio. Sussurrandoglielo dolcemente all’ orecchio, Joseph disse : "E’ stata una fantastica serata, grazie di tutto, Maria." Così dicendo sospinse il cancelletto del giardino e si inoltrò nella fitta vegetazione, composta da fiori e alberi da frutto, piantati con cura dal padre. Stava ancora pensando al suo incontro, quando si accorse che qualcosa non andava. Il vialetto di ciottoli che stava percorrendo era illuminato. Strinse gli occhi, come per vederci meglio, e scrutò l’ abitazione. Uno spiraglio di luce usciva dalla porta principale. Ebbe un tuffo al cuore. Frettolosamente scostò il polsino della camicia per vedere l’ ora. Il suo Rolex segnava le 3.45 di notte. Maledizione!, pensò, Mio padre è sveglio. Gli avevo assicurato che sarei tornato per l’ una e mezza.... Deglutì a fatica e si preparò al gravoso incontro. Di sicuro non sarebbe uscito per tutta la settimana. Aprì velocemente la porta iniziando il discorsetto di scuse che si era precipitosamente preparato durante il breve tragitto tra quel che restava del vialetto e l’ entrata. "Papà, scusa per l’ ora, ma sai come vanno queste cos..." la parola gli morì in bocca. A terra, in un lago di sangue giacevano ambedue i genitori. La testa del padre era finita, non si sa come, sotto il divano a cui Kris teneva tanto. La madre era, per quel poco che riusciva a vedere, in una posa irreale, con la cassa toracica squarciata e gli occhi ribaltati. Sopra di lei, qualcosa si chinava, strappandone la carne e bevendone il sangue. Il rumore che produceva, simile a quello di una lingua premuta contro il palato amplificato decine di volte, era inframmezzato da violenti scrocchi di ossa che venivano spezzate. Paralizzato dalla scena, Joseph tentava di capire chi o cosa potesse essere quella figura avvolta nella penombra che si stava voracemente cibando dei suoi parenti più stretti. Quando capì, il mondo gli cadde addosso. Era James. Con un filo di voce pronunciò: "J...James...". La cosa si voltò. Il volto del fratello, tutto imbrattato di sangue e liquidi intestinali, ciondolava a destra e sinistra come il pendolo di un orologio. Sul viso, un’ espressione ebete simile al compiacimento, era stampata in modo inconfondibile. Gli occhi riversi, completamente bianchi, spurgavano fuori una sostanza rossastra, simile alla liquida gelatina di more che sua madre Kris preparava di tanto in tanto. Sulla fronte, tatuato a fuoco, un grosso pentacolo sprofondava nelle carni di suo fratello, senza che egli, almeno apparentemente, ne risentisse. La stanza puzzava di carne carbonizzata e interiora. Joseph venne assalito dai conati di vomito. Tutta la sua famiglia, tutta la sua vita, erano andate distrutte in una sola serata. Quasi colto da follia si precipitò fuori, nel garage dove il padre era solito parcheggiare la BMW. In preda ad una crisi isterica si gettò sulle taniche di benzina che Bert teneva scrupolosamente da parte per il tagliaerba. Si trascinò faticosamente all’ entrata e, ridendo, appiccò il fuoco alla casa dove era sempre vissuto.

E’ passato molto tempo ormai, pensò fra se e se, credo di essermi pienamente ripreso. La stradina sembrava non finisse mai. Accanto a lui, la degradazione regnava sovrana: barili rovesciati, pneumatici, sporcizia, escrementi e profilattici erano accatastati disordinatamente in un sottoscala. Rimase a scrutare le abitazioni coperte dai graffiti per qualche secondo. Alcuni erano molto belli, ma erano così tanti che ritrovarne uno sarebbe stata un’ impresa al di fuori della sue possibilità. Poi se ne accorse. Sulla parete di una vecchia catapecchia bruciacchiata da un incendio era disegnato, inconfondibilmente, un pentacolo rovesciato. Una dolorosa fitta gli percorse il capo, mentre alla mente gli riaffioravano i ricordi del fratello. Il pentacolo. Anche lui aveva un pentacolo stampato in fronte. Me lo ricordo benissimo. Si diede un pizzicotto sulla gamba. "Non ci devo pensare", sentenziò a bassa voce. Si avvicinò al disegno. Era stato tracciato con un tratto irregolare, come se non fosse stata usata una bomboletta. E poi quel colore...il colore rosso...Ne grattò via un po' con un unghia. -Come pensavo-, disse. Era sangue. Sangue fresco. Ispezionò meglio la parete: una sottile linea rossa continuava da una punta del pentacolo fino al nero asfalto della strada. Da lì, macchie solitarie tracciavano una specie di percorso. Spero che non sia troppo tardi, pensò mentre correva con tutte le sue forze verso la direzione indicata dalle macchie. Mano a mano che correva il rumore dei suoi passi si mischiò con un altro rumore. Un suono lungo, gutturale, simile ad un lamento, proveniva da un piccolo spazio illuminato che fungeva da piazzetta per il pugno di abitazioni circostanti. Quando arrivò, ansimante, sulla scena, gli si raggelò il sangue nelle vene. Il suono, scambiato da lui per un lamento, era in realtà un grido di gioia. Sull’ asfalto, distese, c’erano due persone immerse letteralmente in un bagno di sangue. Una delle due era fratello Dalen. L’ altra era una giovane donna bionda sulla ventina. Ambedue i corpi giacevano sull’ asfalto dilaniati con incredibile violenza. I loro resti intestinali erano sparsi un po’ ovunque. Sopra di loro, due figure si chinavano, producendo lo stesso terrificante rumore che per anni Adam aveva cercato di dimenticare. La prima, un essere alto, magro, in avanzato stato di decomposizione, strappava avidamente le carni della giovane fanciulla, noncurante dell’ arrivo dell’ Iniziato. L’ altra figura era girata dalla parte opposta, ma Adam la riconobbe subito. Era Thamas. Le sue vesti ormai lacere erano impregnate di sangue, così come la bella maschera del suo Ordine che giaceva abbandonata con noncuranza poco distante. Per quello che riusciva a vedere, Thamas aveva una profonda ferita alla base del collo, che in circostanze normali avrebbe fatto schiattare all’ istante ogni essere umano. Puntò la pistola, deciso ad adempiere ai suoi doveri di rappresentante della Santa Chiesa. Stava per premere il grilletto, quando Thamas si girò: il suo volto era sfigurato, e la ferita al collo poteva essere stata provocata solo da un morso di una belva inferocita. Ma non fu quello che fece desistere Adam. Thamas aveva la stessa espressione ebete che aveva avuto James in quei sei lunghi anni di incubi ricorrenti. Guardandolo, Adam riconobbe suo fratello. La stessa espressione...Lo stesso sguardo...Lo stesso sorriso compiaciuto...I nervi cedettero. In una frazione di secondo rivisse nuovamente il suo dramma personale, in una sequenza velocissima di immagini terrificanti. Poi decise. Si puntò la pistola alla bocca. Uno sparo squarciò il silenzio.

Thamas, ridendo, ritornò al suo pasto.

Metodi Convincenti

Era raro, per non dire rarissimo, poter avere l’ opportunità di vedere di persona una leggenda vivente come Sebastian Lazarus. Ero veramente emozionato. Dopo mesi di indagini e ricerche eravamo finalmente riusciti a scovare il nascondiglio degli Infernali. Il loro capo, Kain, era un tipo grasso e violento, dedito all’ adorazione di Belzebuth. Gran parte della setta era stata eliminata sul posto, ma alcuni cultisti erano riusciti a fuggire. Nonostante i miei sforzi, non ero stato in grado di ottenere il nome del luogo dove si erano rifugiati. Quasi scherzando, dissi al Vescovo mio signore: "Per farlo cantare ci vorrebbe Lazarus." In men che non si dica, credo grazie ad una concessione dell’ onnipotente Figlio della Luce Nazaren, riuscii ad ottenere l’ udienza con Sua Eccellenza l’ Arcinquisitore Sebastian Lazarus. Dire che nel momento in cui apparve in fondo alla navata tremavo di reverente timore, sarebbe come dire che un martello pneumatico vibra leggermente. I suoi passi sicuri rimbombavano nella cattedrale vuota come possenti colpi di martello dati da un gigante su un blocco di marmo. La parte bianca della scintillante armatura risaltava sempre più nell’ oscurità mano a mano che si avvicinava. Eravamo soli. Sebastian Lazarus di sicuro non abbisognava di scorta. Era l’ unica persona al mondo che si era addentrata nel regno di Ades e ne era uscita viva. Nella Notte della Grande Disfatta, il 12 giugno 2005, aveva oltrepassato le Legioni del Dolore e, penetrato all’ interno della roccaforte vivente di Ades, aveva sconfitto da solo Zabros Dankai, principale Sephiro nonchè braccio destro di Belzebuth.

Quando me lo trovai di fronte, una spiacevole sensazione di ritiro mi colpì i testicoli. Incuteva così tanto timore che non riuscivo nemmeno a farmela sotto. Non potevo vederlo in viso, perchè la bellissima maschera dell’ ordine gli copriva il volto, ma intuivo ugualmente dei lineamenti freddi ed alieni, di sicuro non umani. Una voce sibilante, sommessa e al tempo stesso carica d’ energia, ghiacciata ed inespressiva squarciò il pesante silenzio della sala: "Parlate fratello Samuel. Spero che il mio arrivo possa trarvi dagli impicci." Risposi con voce titubante: "A...A dire la verità sono molto felice che siate venuto fin qui. Credevo che il Vescovo mio signore vi avesse già parlato." Ci incamminammo lungo il corridoio. Per qualche secondo rimase in silenzio. La sua voce mi colse di nuovo impreparato. Non riuscirei mai ad abituarmici pensai. "Mi ha accennato solo al fatto che il mio operato era richiesto per un certo...un certo Kain, capo della setta di Infernali che avete recentemente scovato." Non sapevo se sentirmi lusingato o meno dalle sue parole: il timbro così calmo e calibrato non lasciava trasparire il minimo segno di apprezzamento nei miei confronti. "Già, è proprio così. Pare che alcuni cultisti siano fuggiti, ma non riusciamo a farci rivelare il luogo del nascondiglio. Così ho subito pensato a voi...vedete, la vostra fama in materia è piuttosto consolidata...". Questa volta fece una pausa più lunga. Non potevo vederlo, ma avrei giurato che in quel momento stesse sorridendo compiaciuto. Quando riprese a parlare, aumentò anche l’ andatura: "Ne ha motivo fratello Samuel, ne ha motivo." Questa volta colsi un timbro strano. La voce di quest’ uomo mi terrorizza pensai, c’è qualcosa di insolitamente...perverso, oserei dire. Ho come la sensazione che provi un piacere molto sottile in quello che fa. Il nostro tragitto stava per terminare. Illuminato dall’ insicura luce delle torce, un Purificatore aprì il grosso portone d’ acciaio che ci separava dalla cella di Kain. Prima di entrare, Lazarus sussurrò alla guardia: "Vai a prendere i miei attrezzi, fratello.". Il Purificatore si immerse rapidamente nel buio del corridoio. Il rumore dei passi scomparve in pochi secondi. Si girò verso di me e sibilò: "Vedrete Samuel, i miei sono metodi molto convincenti." Turbato, lo seguii nell’ oscurità.

La stanza era debolmente illuminata da alcuni grossi ceri appesi alle pareti. Il fumo nero aveva oscurato la scintillante pietra grigia di cui era fatta la cattedrale. Kain era rannicchiato in un angolo. Guardava fisso davanti a sè, senza il minimo segno di timore. Credo che fra poco ne avrai, amico mi trovai a pensare. Un lettino in acciaio inclinato di 75 gradi sporgeva cupo dal pavimento. Quello era di sicuro il banco di lavoro di Lazarus. Da lontano si sentì un rumore di rotelle seguite da molti passi. Dopo poco entrarono nella stanza quattro Purificatori. Portavano con loro, su un carrellino, gli attrezzi dell’ Arcinquisitore Sebastian. Senza chiedere nulla, si avvicinarono al prigioniero e lo sollevarono per incatenarlo al lettino. Kain rimaneva indifferente e lasciava fare senza curarsene più di tanto. Hai un bel fegato, stronzo. Quando le manette scattarono ai polsi e alle caviglie, Lazarus tolse il panno che copriva i suoi gingilli. Dopo uno sguardo preoccupato, Kain iniziò a canticchiare sommessamente, come se invece di essere disteso su un lettino d’ acciaio, fosse immerso nell’ erba verde di un bel prato estivo. "Credo che sia inutile Kain," disse l’ arcinquisitore "ma te lo ripeterò nuovamente. Dicci dove si sono nascosti gli altri Infernali e sarai libero". Il prigioniero continuava la filastrocca come se nulla gli fosse stato detto. Potevo distinguere abbastanza chiaramente quello che diceva: "O essenza del male, maligno supremo, distruttore del cielo, torna di nuovo fra noi, torna a calpestare la tua terra, angelo rinnegato, seme del male, torna di nuovo fra noi, il momento è giunto...". Le sue parole mi colpirono profondamente: stava cantando un’ ode al maligno mentre una delle più grandi personalità della Santa Chiesa si apprestava a conciarlo per le feste. Cercai di scorgere l’ iracondo scatto che mi sarei aspettato da Lazarus, ma non notai il minimo segno di agitazione nel suo comportamento. Forse non è la prima volta che si trova ad affrontare una situazione del genere. Anzi, è ovvio che non è la prima volta.Sebastian afferrò con decisione un sottile spunzone di ferro dal carrello che gli era stato portato. "Inizieremo con un classico. Ma ti posso assicurare che per te ci metterò un grande impegno" sentenziò. La mano dell’ arcinquisitore si incendiò all’ improvviso. Solo dopo qualche secondo mi ricordai che ovviamente era in grado di padroneggiare anche l’ Elemento. Avvicinò la punta di ferro al fuoco che aveva creato e, immediatamente, questa diventò di un accecante colore bianco. La temperatura che sprigionava dalle mani doveva essere enorme. Nonostante lo odiassi, in quel momento provai compassione per Kain.Nella stanza erano entrati anche due Iniziati. Sembravano piuttosto timorosi e indecisi. Poco male, si faranno le ossa. Evidentemente, non avevo idea di ciò a cui stavo per assistere.

L’ ode continuava ininterrottamente. Quando la punta di ferro rovente gli sprofondò fra le costole, Kain ebbe un attimo d’ esitazione, vacillò ma non cedette. Anzi, alzò la voce: "...seme del male, torna di nuovo fra noi, il momento è giunto...". Sebastian rigirò il suo gingillo nelle carni del prigioniero. Poi, con uno strappo secco, spinse violentemente verso sinistra. Un profondo squarcio si aprì nel flaccido torace di Kain. Fiotti si sangue scuro gli solcarono la pancia e gli riempirono l’ ombelico incavato, per scendere poi ad imbrattare la pietra annerita del pavimento. La voce si alzò nuovamente, forse a causa dell’ acuto dolore provocato dallo squarcio, e nuove parole si aggiunsero all’ oscura filastrocca: "Anime dannate, urlate dal dolore, piangete lacrime d’ odio, il tempo è qui, anime dannate, urlate dal dolore, strisciate ai suoi piedi, il tempo è qui..." Stava diventando un grido. Mi sentivo un po' a disagio. La puzza di carne bruciacchiata si stava diffondendo per la stanza e la sensazione era decisamente sgradevole. A sorpresa, Lazarus estrasse lo spunzone. Con aria divertita (Cristo, si stava divertendo!) disse: "Passiamo a qualcosa di più impegnativo. Che ne dici di questa?". Gli stava mostrando una gigantesca tenaglia. Il canto iniziò ad affievolirsi. Sta perdendo la volontà, pensai. Avvicinò le due ganasce al capezzolo destro del grassone, poi sembrò ripensarci. Sollevò lo sproporzionato oggetto che teneva in mano e lo calò con una violenza che mi lasciò interdetto sulla gamba sinistra di Kain. Un "croch!" fragoroso riempì la stanza. L’ urlo disumano del miscredente mi penetrò nel cervello come un pugnale. Stava ancora tentando di resistere: "A...nn...ime dannn...a..te, il t..tempo è qui...". Dopo una breve pausa di riflessione, Lazarus ripetè il procedimento per l’ altra gamba. Questa volta Kain non provò nemmeno a continuare la sua preghiera. Urlò e basta. Anzi, disse anche: "Ti p...prego b...basta ti dirò dove son...". L’ unica risposta che ottenne fu un raggelante "Non ho ancora finito". Posso dirlo chiaramente, a questa affermazione non fu solo Kain che capì che per lui non c’ era più molto da fare. Uno dei due Iniziati di fianco a me, tutto imbrattato dal sangue delle (ex)gambe del prigioniero, vacillò vistosamente e si allontanò farfugliando qualche parola di congedo. L’ altro l’ avrebbe seguito di lì a poco.

L’ unica frase che disse Lazarus quando il pesante metallo della tenaglia si schiantò sulle nocche dell’ eretico fu "Mi piace il rumore delle dita spezzate, già, mi piace veramente molto. Ma questo gioco mi sta stancando". Alzò nuovamente la tenaglia e questa volta puntò al viso. Il rumore che provocò mi fece presagire che doveva avergli rotto almeno la mascella e quindici denti. E’ il momento di dirgli di piantarla. Se lo ammazza tutto questo non sarà servito a niente. Iniziai con: "Vorrei pregarvi di farlo parlare, vostra eccellenza. credo che...", "Non mi interessa quello che credete" disse senza nemmeno voltarsi, "Devo finire il mio lavoro". "Si, ma...", tentai di ribattere. "Silenzio!" urlò. In quel momento capii una cosa: Sebastian Lazarus era pazzo. Pazzo furioso. Adirato dalla conversazione decise di sfogarsi sul corpo già martoriato di Kain. Alzò la tenaglia e, senza esitazione, puntò al basso ventre. Potevo sentire il rumore, simile a quello di un mandarino calpestato, dei testicoli che si spappolavano. L’ urlo di Kain divenne acuto e penetrante, tanto che anch’ io potei percepire il dolore lacinante. Bava densa e schiumosa usciva a fiotti dalla bocca devastata del miscredente. Provai di nuovo la spiacevole sensazione di ritiro che in queste situazioni solo un uomo può provare. Anche i Purificatori nella stanza erano inquieti e più volte si girarono verso di me in attesa di un ordine.

Aspetta.

Non fare cazzate.

Questo qui è uno pericoloso. Dopotutto è uscito vivo da Ades. Senza contare che poi dovrai fare rapporto al vescovo. Decisi di attendere. Prima o poi si fermerà, tantopiù che l’ ha già ridotto in fin di vita. Quando appoggiò la tenaglia grondante di sangue sul carrello si mise a ridere. "E adesso, facciamo quello che amo di più...", disse ad un Kain ormai in bilico sull’ orlo del baratro che separa la vita dalla morte. Non riuscivo a capire cosa teneva in mano. Strinsi gli occhi per vederci meglio, poi capii. In quel momento anche Kain se ne accorse e, come svegliandosi di colpo, iniziò a dimenarsi furiosamente, tanto che le manette quasi cedettero. Urlava e scalciava come se nulla gli fosse stato fatto alle gambe e alle mani. Oh, Gesù. Vuole cavargli gli occhi. Fra le mani stringeva un lungo spillone uncinato.

Esitai un attimo prima di dare il segnale. Subito mi lanciai assieme ai quattro Purificatori su Sebastian Lazuarus, nel tentativo di fermarlo prima che uccidesse il prigioniero. La mia indecisione fu fatale per Kain. Con un ultimo grido, che si andava spegnendo, esalava quel poco di vita che gli era rimasta in corpo. L’ arcinquisitore, soddisfatto, teneva fra le mani un bulbo oculare flaccido e biancastro. Ci aggrappammo in maniera poderosa alle sue vesti, tanto che si sbilanciò rischiando di crollare fragorosamente al suolo. Invece di ribaltarsi, il possente inquisitore si girò verso di noi, e, pronunciando le parole "Non ho ancora finito!", ci colpì in maniera violentissima. Come sia riuscito a sbarazzarsi di cinque uomini in un colpo solo, non lo so. Ricordo solo che dopo questo fatto per me fu il buio.

Maledizione! pensai. Avevo un mal di testa fortissimo. Sembrava quasi che qualcuno mi avesse messo la testa dentro un morsa e avesse continuato a stringere ininterrottamente per delle ore. Dopo una breve sensazione di spiazzamento, rammentai dov’ ero. A terra, vicino a me, stavano accasciati i quattro Purificatori. Uno, a giudicare dalla posizione, doveva essersi rotto l’ osso del collo. Credo di esser rimasto svenuto per delle ore, perchè le candele erano praticamente agli sgoccioli. Gli altri continuavano beatamente a dormire. Se stanno effettivamente dormendo, puntualizzai.

...

Dolorante, cercai di rialzarmi appoggiandomi al freddo muro grigio. Quello che vidi mi fece salire un prepotente conato di vomito alla gola. A terra, sotto l’ inquietante lettino di tortura, un mucchio di carne a pezzettoni era tutto ciò che restava di Kain.A fianco, scritto in caratteri enormi con il sangue, c’ erano le seguenti parole: "I cultisti si rifugiano in un bunker sotterraneo sotto la vecchia armeria di Kennedy Road. Ha avuto ciò che meritava. Ora la sua anima è in pace. Sebatian Lazarus"Quel bastardo già sapeva ma ha continuato. Perchè? Perchè, maledizione?. Era la sola cosa che mi chiedevo e che per anni mi ha tormentato negli incubi. Non mi vergogno a dirlo, quella fu l’ unica volta in cui dubitai della Santa Chiesa.

 

 

NOTE DELL’ AUTORE:

GLOSSARIO:

Spero di aver chiarito almeno i punti più oscuri dei racconti, ma se avete problemi di comprensione dovuti a terminologie strane, non esitate a contattarmi!

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