La famiglia

Un racconto inedito per il 2003 di Evelyne Nicod, con 12 illustrazioni


Questo racconto è inserito nel calendario 2003, e, tutti gli anni seguenti, nei calendari, oltre alle 12 immagini, viene inserito un nuovo racconto inedito. Per una raccolta completa, vedere ebook:  Mestiere gatto

Un sole rovente piomba sul sasso graticola che funge da sdraio, la mia pelliccia brucia deliziosamente, pendo da tutte le parti, ma con eleganza, sono Celeste, la gatta rossa e bianca del fienile di sopra. Sento dire dagli umani che provvedono al mio cibario che sono una selvaggia, ma tanto carina; hanno ragione, sono nata bellissima, come mia madre e le mie sorelle, è un dono ereditario. Senza falsa modestia i miei occhi mi danno parecchia soddisfazione, sono verde acqua, obliqui, luminosi, e grazie al loro potere magico posso assumere varie espressioni redditizie:
- languida = due porzioni di cibo supplementari, più complimenti, più rincorsa e coccole imminenti (una volta al mese mi lascio prendere, ci vuole poco per fare felice un bipede)
- lancia fiamme, scappano tutti contenti, gridando: che carattere! = niente cibo, ma in compenso molto rispetto (ci vuole, ci vuole!)
- sguardo triste da malinconia dignitosa = coccole immediate seguite da pappa marrone con carne vera più schiuma di latte fumante e, ciliegina sulla torta, un maglione di mohair morbidissimo sulla panca sotto al mio fienile ...
Bisogna ovviamente alternare ad arte, il segreto consiste a dosare con sapienza dolcezza e scaltrezza , rabbia e affetto, dopo tutto non sono cosi male questi umani, dei grandi sempliciotti .
Nella mia lunga vita, per metà direi, mi affliggeva un grosso problema, grosso grosso, bianco e grigio di nome Grigetto, un testone come una palla e la bocca a l'insù che prende in giro il mondo intero, ancora adesso. Due o tre volte all'anno diventava bizzarro, mi correva dietro come un invasato ed io, stupida, diventavo molle, molto molle e non so perchè , mi trasformavo anch'io, lo lasciavo venire da me nel fienile, ci avvinghiavamo come dei pazzi per giorni interi. Ad onore del vero, Grigetto non era male per un maschio, anche se poco fine nei modi, socialmente s'intende. Sono una gattina di campagna , ma molto per bene, purtroppo nel circondario incontro dei maschioni bellissimi, formidabili, ma cosi zotici e acciacati dalle troppe baruffe territoriali o amorose che, Grigetto al loro confronto sembra un mostro di raffinatezze. Mi da sempre la precedenza su tutto , cibo , posto al sole , mi protegge, piuttosto le lascio credere di avere bisogno di lui, in realtà corro da velocista, non mi raggiunge nessuno, mai, le mie unghie sono cosi affilate che lacero le mie prede a striscioline e i miei denti sono aghi o chiodi, dipende della giornata. É bello, però , vederlo piazzarsi davanti a me , pronto a balzare addosso a chiunque mi voglia altro che del bene. Tutto sommato mi piace questo Micione.
A proposito, sapete come nascono i gattini? A un tratto divento grassa, grassissima, la fame mi divora notte giorno, la pappina non basta più e devo cacciare di più, sempre di più , poi subentra un grande dolore che mi svuota, arriva allora un gufo bianco, dolcissimo che mi porta uno ad uno dei gattini in miniatura e li adagia sotto di me, taglio con i denti il cordone che li lega a me, lecco i loro corpicini per ore senza muovermi più. E strano, il gufo sparisce appena taglio il cordone, lo rivedo alla prossima cucciolata . Ho messo al mondo una quantità di gattini, pero adesso non vedo più il gufo da tanti anni, in compenso una grossa cicatrice mi attraversa l'addome. La mia vita ora scorre tranquilla, Grigetto si comporta benissimo con me ,molto educatamente mi viene a trovare, però abita per conto suo giù da basso, rispetta sempre le priorità, prima le signore, ho saputo che fa lo stupidotto con una smorfiosetta a pelo lungo, contento lui ...
Siamo andati l'altro giorno dentro il villaggio sul sentiero che porta alla Colmine, la vista é stupenda, abbraccia tutta la valle, con i ghiacciai che brillano sotto il cielo. Ci siamo sdraiati sul nostro muretto abituale vicino alla cappella e io tenevo d'occhio la tana del tasso, le gobbine delle talpe nel prato e la legnaia vicina che mi rifornisce i topini grigi, freschissimi, ansimanti, deliziosi, quando vedo arrivare verso di noi un gattone grigio e bianco identico a Grigetto con la stessa bocca all'insù. Ci fu una pausa, poi Grigetto é balzato fulmineo sul muro ed é partito a tutta velocità all'inseguimento del malcapitato, sparito poi nei fossi. Qualche giorno fa é venuta a trovarci una bipede con in traccio una gabbietta di plastica abitata da una gattona identica a me, stesso muso, stessa pelliccia, solo la mole era diversa, quattro volte più grossa di me almeno, ad occhio e croce sugli otto chili. Sono rimasta allibita, non sapevo più che fare, una sosia peso massimo non si incontra ogni giorno, siamo quasi identici, accipicchia. Ci siamo fissate per un bel po' di tempo , poi, mi sono avvicinata alla gabbia e l'ho annusata ben bene, con calma, era tanto grossa che mi sembrava di vedere me stessa in una lente d'ingrandimento, buffissimo. Ho amato subito il suo odore, il suo modo di porsi, é un'adorabile grassona.
Hanno aperto lo sportello e ci siamo leccate con tenerezza, dolcemente ci siamo acciambellate una contro l’altra (come sembravo magra) e ho fatto un lungo sogno.
Era tanto tempo fa, Grigetto mi faceva una corte assidua da giorni, sette maschioni di tutti i colori mi fissavano allineati sul tetto del rudere, sono rimasti quattro giorni a picchiarsi, a urlare, una vergogna adorabile. Mi sentivo stupenda, facevo la passerella sulla grondaia, avevano tutti lo sguardo su di me e io fingevo di guardare il cielo; mi sommergeva un gran tumulto, ero felice da esplodere, ondulavo leggera, mi potevano ammirare meglio da giù, sembravo una regina. Stremata dalle emozioni, mi nascondevo qualche ora per riposarmi e dormire. Quando ricomparivo, ero di nuovo meravigliosa, impalpabile, uscivo di nuovo allo scoperto e tutti i miei pretendenti mi aspettavano, mi incamminavo con lentezza, conturbante, esponendo al meglio la mia schiena morbida, i miei fianchi danzanti e le mie fini zampine mi rendevano irreale, li facevo impazzire di desiderio, laggiù sui loro gradini, e se per caso qualche audace tentava di avvicinarsi, lo sgridavo con una voce acuta, e correvo lontano senza più respiro a nascondermi di nuovo. Queste scene di seduzione duravano a lungo, impazzivo di gioia, finché Grigetto decise che era ora di piantarla e si mise a picchiare tutti i suoi rivali, i miei contendenti, ci perse un pezzo di orecchio destro, ferite incrociate sul naso e il suo manto sapeva di fogna, ma era Grande.
segue sulla penultima di copertina
La sua zampa possessiva si posò sulla mia e mi dichiarò sua, e basta. Annuii dolcemente. Lui, di solito mansueto, era diventato feroce, non lasciava avvicinare nessuno, nemmeno i bipedi. Siamo rimasti avvinghiati per due giorni, mi ricordo benissimo, ci riposavamo, non mi lasciava andare un istante. Non avevamo ne fame ne sete, eravamo assenti dalla realtà, consci del nostro presente come non mai. Poi un po’ alla volta si è allentata la nostra vicinanza, avevo una gran voglia di latte fresco. Grigetto lui, sognava di ritrovarsi da solo per farsi una dormita privata . Ci siamo salutati ed abbiamo ritrovato le nostre abitudini. Quell’estate, Grigetto rimase nelle baite, e non ci siamo più lasciati. Una notte è arrivato il gufo bianco, mi ha regalato tre gattini, uno come Grigetto, uno come me, e un tigrotto stupendo, con delle righe disegnate alla perfezione su un musetto uguale al mio. Ero madre per la prima volta.
Mangiavano tantissimo e io no, non osavo allontanarmi da loro, ero stanchissima, ma la felicità mi rizzava i baffi, sprizzavo fierezza da tutto il mio essere. I bipedi erano molto in pensiero per me, mi preparavano dei cibi speciali, molto corroboranti, però non mi facevo mai vedere da loro; eravamo nascosti sotto il tetto del granaio di un rudere abbandonato, non ci si poteva accedere da umani nè da animali grandi. La gelosia mi rendeva molto diffidente, e quando andavo a cibarmi non percorrevo mai la stessa strada. Dopo una decina di giorni i piccoli diventarono turbolenti, Tigrotto si scatenava, Junior difendendo la sua tetta mangiava di continuo, solo la piccola sembrava prediligere la solitudine, non le piaceva il chiasso dei suoi fratelli. Tigrotto l’adorava e la leccava sempre. Era venuta l’ora di cercare uno spazio più ampio dove stare, non troppo arduo di accesso ai piccoli. Il trasloco fu breve, il granaio piacque subito a tutti, si passava da un buco per arrivare sul tetto, e là, meraviglia, si vedeva tutto senza che nessuno potesse avvicinarsi. Incominciò per me, un periodo molto delicato. I maschietti impararono la caccia all’uccello con molta felicità, la piccola osservava attentamente, ma non passava mai all’azione, si rivelò una gran testarda, un po’ superba, che non disdegnava l’adulazione di Tigrotto; Junior la considerava rivale di tetta, e perciò la pestava volentieri. I giorni passavano veloci, crescevano: Tigrotto discolo, Junior sempre più grassoccio, egocentrico, ma con la sua bocca all’insù, simpaticissimo, e la piccola una deliziosa, prepotente diva. I miei umani un giorno ci hanno visti sul tetto, e facendo tantissimi complimenti, gridavano: che belli! Venite giù, dai coraggio, vi aspettiamo! Io pensavo, fossi scema!
Così passò un’altra settimana, poi venne il grande giorno, spiegai loro che dovevano andare giù ad imparare ancora altre regole di sopravvivenza e tanti bellissimi giochi nuovi. Junior si chiedeva perché doveva lasciare un posto così bello come il granaio, Tigrotto, eccitatissimo, era il primo a voler scendere, la Piccola tremava d’ansia e non voleva darlo a vedere. Ero fiera di loro, e scelsi con cura in che momento apparire. La bipede non vedeva l’ora di prenderci in braccio, mi baciò tra gli occhi, dicendomi delle frasi irripetibili, mi strofinai sulle sue gambe, per mostrarle la nostra appartenenza reciproca. Lui, il bipede, faceva il duro, ma so che mi ama, e gli ho portato Tigrotto vicino. Sono comparse quattro ciotoline ricolme di patè, ignorate da Tigrotto e Piccola, ma Junior immerse il musino nella poltiglia e si leccò a lungo incredulo, non convinto, e mi guardò interrogativo. Dormivamo nel fienile, ci aspettava Grigetto, che si appollaiò sopra la trave per fuggire all’irruenza della truppa. Sono cresciuti ogni giorno più indipendenti, a parte Junior che non resisteva alla sua poppata giornaliera e mi inseguiva finché gliela concedevo. Le giornate scorrevano felici, quando un giorno sparì la Piccola, aveva tre mesi. Una sconosciuta umana con gabbia era venuta nelle nostre baite, mise della carne fresca dentro la gabbia aperta, Junior partì a razzo, seguito dalla Piccola. Junior allontanato, la Piccola fu rinchiusa dentro. La sentivo urlare, ero pietrificata. Due giorni dopo sono spariti Junior e Tigrotto. Ho fatto lo sciopero della disperazione, chi può mangiare col cuore che urla, poi mi sono rassegnata. Dopo questo lungo sogno mi sono risvegliata tristissima, con il fiato caldo della mia compagna di dormitina sul muso. L’ho scossa con una zampettata dolce per svegliarla, sarà mia figlia, poi? Sbadigliando mi guardò sorpresa, e disse: quanto sei magra, vivi qua? Le chiedo se vuole venire con me sui tetti laggiù, ci alziamo, e senza esitazione ci siamo dirette nel granaio, al posto esatto dove si nascondeva dai suoi fratellini. Ero felicissima di rivederla, non si ricordava per niente di me, in compenso tutti i buchi e spazi le erano rimasti familiari. Mi raccontò di vivere in un grande appartamento, con balcone, ma senza giardino, in posto pieno di grandi palazzi, di andare in giro nella gabbia in una cosa che muove veloce, fa molto rumore e puzza tanto, di mangiare dei biscotti ipocalorici perché obesa (cosa vuol dire ?). Mi confidò poi che i suoi umani sono molto affettuosi e la lasciano dormire sul letto e guardare le storie nella cassa in vetro, e che per giocare le hanno regalato un pupazzo di pezza. La guardavo interrogativa, perché non capisco niente di queste cose, però l’ascoltavo con educazione, la mia grossa, simpatica figliola. Ho un anno in più di questa poveretta, non sono mai andata più lontano del bosco dietro le baite, mangio la pappa marrone degli umani, e d’inverno mi danno la schiuma del latte, sono magra come un chiodo, agilissima, e dormo nel fienile. Caccio topi e qualche uccello, e perciò non so di cosa possiamo parlare con la Sosia cara.
La fisso bene nei suoi occhioni, la lecco dietro le orecchie, il suo odore è meraviglioso, il suo pelo è più folto e meno ispido del mio; poi, arrivò la sua umana che, sollevandola con fatica, la ripone nella cestona e ci salutiamo con il naso: addio miciona, ci siamo ritrovate e riperse senza stati d’animo, con piacere, senza dolore.
Sono una contadina montanara, va benissimo così, ho seminato decine di gatti sparsi nel mondo. Sono felice di pensare che qualche traccia mia si ritrovi sul volto di un gattino lontano, magari al mare, che qualche bocca all’insù faccia impazzire qualche micia in pianura, di qua, di là, la vita è bella.
Quest’erba mi solletica il naso, ma sono tanto comoda sdraiata sulle foglie secche di faggio odorose, e fra due ore mi aspetta la pappa servita, credo che andrò più tardi a fare la posta a qualche topo, più tardi, più tardi. Ron, ron , ron ...

© Copyright Evelyne Nicod 2001-2012. Il testo non puo' essere riprodotto, nè distribuito, nemmeno parzialmente, in alcun modo.
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