Il tartufi Il tartufo nero che cresce nellOltrepò e, più precisamente,
della Valle Staffora (Tuber mesentericum Vittadini) è la qualità prevalente. Matura da
novembre a marzo e la sua area di diffusione comprende tutti i territori che fiancheggiano
il corso della Staffora, le mezze coste, fino allalta Valle
Staffora.
La sua grandezza può variare da quella di una noce per arrivare a quella di una mela o di
unarancia. La scorza è nerastra o direttamente nera ma, pur essendo rugosa, non
presenta la scabrosità delle altre specie con la buccia nerastra. Questa specie è presente nei terreni sciolti o di natura calcarea, ciottolosi,
tendenzialmente aridi, ad unaltitudine che può andare dai 250-300 metri sino ai
900-1000.
Al contrario del tartufo bianco, il nero richiede una scaldatina, anche leggera, per
esprimere le sue virtù che sono un profumo delicato, una fine sapidità, un potere
vivificante, apprezzate dai buongustai.
Il tartufo bianco è ancor più raro e pregiato. Il nome scientifico è Tuber magnatum
Pico: magnatum, perché è destinato ai magnati. Pico perché il primo a descriverne le
caratteristiche, nel 1788, fu Pico (o Picco). Egli presentò la tesi di laurea in Medicina
allUniversità di Torino discutendo dei funghi. Nominò per la prima volta il
tartufo bianco come Tuber Magnatum, prezioso e dolcissimo al palato.
Il tartufo bianco matura da ottobre sino a tutto dicembre ma, in zone particolarmente
riparate dal gelo, lo si può trovare sino a tutto il mese di gennaio.
Vegeta ad una profondità superiore rispetto ad altri tartufi. Predilige il rapporto con
alcune piante superiori quali il pioppo, il salice, il nocciolo, il carpino nero pur
vivendo in simbiosi con numerose altre piante quali la quercia, il cerro e il
carpino.
Cresce anche sotto piante isolate dove si raccolgono gli esemplari più belli, ma
preferisce un habitat in cui siano presenti determinate associazioni vegetali e
soprattutto lungo le anse boscose, i versanti più interni e profondi.
Il fascino del tartufo bianco ha molte componenti: il profumo acuto, inconfondibile e
assoluto, segno di giusta maturazione e di buona qualità della pasta; la grandezza e la
forma, che deve essere la più regolare e arrotondata possibile; il sapore ineguagliabile
che si esprime al meglio servito crudo senza bisogno di salse o di condimenti.
La grandezza può variare da quella di una piccola noce a quella di un grosso arancio;
talvolta in casi eccezionali raggiunge i 400-600 grammi. Si presenta in forma subsferica
ma nella maggior parte dei casi variamente arrotondata con bitorzoli e corni emergenti.
Che
cos'è il tartufo
Il tartufo è un
fungo sotterraneo del quale esistono, nella sola Europa, più di trenta specie di
rilevanza gastronomica molto diversa. Il nome deriva dal latino tuber, che significa
escrescenza di terra, di cui il tartufo ha laspetto. Si forma nei terreni calcarei o
argilloso-calcarei. Il tartufo appartiene alla categoria dei funghi ipogei, cioè
organismi che svolgono tutto il loro ciclo vitale sottoterra. A questa categoria, per
intenderci, fanno parte patate e simili, ma con loro il tartufo ha ben poco da spartire;
sono invece parenti stretti di porcini e prataioli, pur non avendo lo stesso aspetto
esterno e struttura interna. Come tutti i funghi, sono sprovvisti di parti verdi. I
tartufi non sono in grado di ricavare attraverso la fotosintesi clorofilliana le sostanze
necessarie al loro sviluppo, dunque devono assumere tali sostanze dall'esterno e, nella
fattispecie, dalle radici di alcune piante superiori (roverella, tiglio, pioppo, carpine,
castagno), instaurando un rapporto di simbiosi: dalla pianta gli vengono portati zuccheri
e il tartufo gli offre acqua e sali minerali che migliorano notevolmente il suo stato
funzionale vegetativo. I tartufi possiedono una parte vegetativa, il micelio, costituita
da sottili filamenti chiamati ife che hanno come compito principale quello di assorbire.
Per assolvere meglio questa funzione le ife si trovano ampiamente diramate nel terreno
che, a contatto con le parti terminali delle radici delle piante ospiti, sviluppano
particolari organi, le micorrize, attraverso le quali si instaura lo scambio di sostanze
vitali. Il frutto è caratterizzato da un rivestimento esterno, il peridio che è liscio o
verrucoso e ha una polpa interna gleba che al taglio appare marmorizzata per la presenza
delle venature chiaroscure.
Queste sono le zone produttive del carpoforo e contengono le spore. Le spore sono organi
atti alla riproduzione che si presentano come venature scure mentre, le aree non
produttive, sono caratterizzate da venature chiare.
La forma dipende dalla natura del terreno: se questo è soffice, esso si sviluppa
tondeggiante e liscio, se invece il suolo è compatto e oppone resistenza alla sua
crescita, diventa bitorzoluto e nodoso. Se la terra è a strati di diversa consistenza, il
tartufo può assumere una forma schiacciata e viene chiamato piattella o piattina.
Arrivato alla maturità il tartufo, a differenza degli altri funghi che diffondono le
proprie spore in superficie, emanano un forte profumo, che attira gli animali che
cibandosene diffondono le spore.
Come
si conserva il tartufo
Il tartufo si
pulisce con uno spazzolino duro inumidito in modo da privarlo degli eventuali residui
terrosi o delle parti ammalorate con un piccolo coltellino affilato. Lo si avvolge in
carta asciutta, successivamente in una carta appena umida e poi ancora in altra carta
asciutta e si ripone nella parte meno fredda del frigorifero oppure, considerando che del
suo odore si impregnerebbero gli alimenti che lo circondano, fuori della finestra, se la
stagione lo consente. Dal momento che il tartufo è un elemento vivo che per mantenere le
sue qualità deve restare tale, il consiglio è quello di consumarlo comunque il più
rapidamente possibile. La pratica molto diffusa di riporlo in una vaschetta colma di riso
ha come risultato negativo la disidratazione del tubero e la conseguente perdita di
profumo e sapore.
Il tartufo
nella storia
Il Tartufo
rappresenta l'espressione massima autunnale, regnando incontrastato sulle tavole e
provocando la fantasia dei buongustai.
E' noto che fin dall'antichità si facesse uso gastronomico di questo pregiato fungo, dai
Babilonesi agli Egizi che furono i primi a decantarne le qualità allo stesso Cheope che
li preferiva cotti, per finire al greco Teofrasto, allievo di Aristotele, al quale si fa
risalire una curiosa e famosa cantonata scientifica sulla natura del nobile vegetale:
secondo la sua interpretazione, lo sviluppo del tartufo sarebbe da attribuire niente meno
che alla combinazione tra pioggia e tuono, introducendo in questo modo la millenaria nomea
sulle sue virtù.
Era presente sulla tavola del celebre Lucullo, uomo di proverbiali stravizi, ed ai Romani
si devono, seppure incidentalmente, i nomi correnti del tartufo: terrae
tuber, come lo
definirono Plinio il Vecchio e Petronio, o truffolae terrae, vale a dire rigonfiamento
della terra, sintetizzato in truffolae, da questo il dialettale trifola.
Durante il Medioevo il tartufo perse parte della sua importanza, perché gli orientamenti
alimentari dellepoca tendevano verso una nutrizione basata in maggior parte sulle
carni.
Occorre giungere al Rinascimento, colto e raffinato, per ritrovare, nel "Morgante
Maggiore" del Pulci un nuovo accenno al tartufo.
Aneddoti che coinvolgono personaggi di grido del tempo si susseguono, da Caterina Dè
Medici, cui si attribuisce il merito di aver portato il Tartufo alla corte di Francia,
alla perfida Lucrezia Borgia, che pare se ne servisse per accrescere il suo fascino.
Durante il regno di Luigi XIV si usò il tartufo secco ed al naturale, crudo e cotto, in
intingoli al vino ed altri condimenti, come testimonia Francois Pierre.
Le varietà
dei tartufi
I tartufi per i quali è consentita la raccolta e la
commercializzazione sono:
Tuber magnatum
Pico, detto volgarmente tartufo bianco;
Tuber
melanosporum Vittadini, nero pregiato meglio conosciuto come truffe du Périgord in
Francia o di Norcia in Italia;
Tuber brumale
var. moschatum De Ferry, detto volgarmente tartufo moscato;
Tuber aestivum
Cittadini, detto volgarmente tartufo destate o scorzone;
Tuber aestivum
var. uncinatum Chatin, detto volgarmente tartufo uncinato;
Tuber Borchii
Vitt. O Tuber albidum Pico, detto bianchetto o marzuolo;
Tuber
macrosporum Vittadini, tartufo nero liscio;
Tubr
mesentericum Vittadini, o tartufo nero ordinario.
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