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ALTA VELOCITA’ LE RAGIONI DI UNA LOTTA |
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Negli ultimi numeri di “Comunicazione antagonista” abbiamo dedicato alcuni articoli alle pratiche di desaparicion messe in atto dalla dittatura militare argentina, salita al potere il 24 marzo 1976, con la complicità della Chiesa cattolica, il sostegno attivo degli Stati Uniti, il silenzio complice delle democrazie occidentali. Una pagina di storia esemplare, perchè la controrivoluzione agì, quasi simultaneamente, in Cile, Uruguay, Argentina. Tutto il Cono Sud del continente americano cadde in mano a dittature militari che attuarono veri e propri genocidi, per fermare un processo di trasformazione rivoluzionaria in atto, alimentato dalle lotte di milioni di lavoratori, donne, giovani, studenti e dalle loro organizzazioni. In occasione dell’apertura del processo a Roma contro i militari argentini che hanno assassinato cittadini di origine italiana, abbiamo incontrato ed intervistato Estela Carlotto, fondatrice del movimento noto come le nonne di Plaza de Mayo, e l’avvocatessa spagnola Diaz, a cui abbiamo rivolto anche alcune domande sull’estradizione del boia cileno Pinochet. Intervista a Estela Carlotto, presidente delle nonne di Plaza de Mayo. Comunicazione antagonista. Estela Carlotto. D. Puoi spiegare com’è nato il movimento delle nonne e delle madri di Plaza de Mayo? Cosa state facendo in questo momento? R. Il movimento delle nonne e delle madri di Plaza de Mayo è nato conseguentemente ai crimini della dittatura militare. Dal 24 marzo ’76 i militari cominciarono a sequestrare tutti gli oppositori del regime, tra questi i nostri figli. Quella che al principio cominciò come una lotta solitaria di madri, nonne, mogli, familiari che chiedevano notizie dei sequestrati senza saper cosa fare, ci portò ad unirci per ideare, per organizzare azioni che avevano lo scopo di “costringere” i militari a darci delle risposte. Gruppi nati spontaneamente, come gruppi d’informazione, cominciammo ad incontrarci in posti come bar, case private per incontrarci poi in Plaza de Mayo che è la Piazza davanti alla sede del governo. Piazza storica per le manifestazioni, lì eravamo tutte eguali, non esisteva la frammentazione, eravamo persone che soffrivano per la desaparicion dei loro cari. Col tempo c’è stata la necessità di differenziarci, per esempio noi nonne dovevamo portare avanti la nostra attività per ritrovare i nostri nipoti, che erano bambini, che furono sequestrati da piccoli, o che sono nati nei campi di concentramento dove le nostre figlie incinte erano rinchiuse. Dunque il 22 ottobre del ’77 nacque quello che più tardi si chiamò “Associazione delle nonne di Plaza de Mayo” composta esclusivamente da donne, madri e nonne perché abbiamo un doppio ruolo come madri e come nonne. A partire da quel momento il gruppo iniziale s’ingrandì, oggi siamo duecentoquaranta, ancora cerchiamo, abbiamo individuato sessantadue bambini, e la nostra attività è sempre in evoluzione perché ora siamo riconosciute ed abbiamo conquistato una grossa solidarietà popolare. Abbiamo ritrovato questi bambini, molti dei quali sono già ritornati alle loro famiglie d’origine Stiamo conducendo battaglie molto importanti nell’ambito giudiziario, in campo genetico e psicologico poiché abbiamo toccato argomenti che non erano mai stati trattati finché non nacquero le nonne di Plaza de Mayo. In Argentina esiste la prima e unica banca genetica nazionale del mondo dove è conservato il nostro sangue, questa banca funzionerà fino al 2020 data massima di vita dei nostri nipoti, i quali potranno andare volontariamente, a qualsiasi età, a ritrovare la loro identità. D. Che cosa rappresenta oggi in Argentina a più di venti anni dalla scomparsa dei vostri figli e nipoti la vostra lotta? R. La nostra lotta a più di venti anni è ancora la ricerca della verità, giustizia e restituzione dei nostri nipoti. La verità e la giustizia per i desaparecidos … perché la triste realtà ci dice che sono stati assassinati. Però questo lo devono dire i militari e i civili che furono loro complici, che pianificarono ogni sequestro, ogni tortura ed ogni morte. Questa gente deve confessare i suoi crimini e andare in galera per fare giustizia in Argentina. Per ora questa giustizia non esiste nonostante come nonne stiamo ottenendo che siano arrestati coloro che sono accusati di sequestro di bambini - come è avvenuto per il generale Videla, l’ammiraglio Massera e il generale Bignone, conosciuti anche fuori dall’Argentina poiché facevano parte della giunta militare della dittatura. Per quanto riguarda i nostri nipoti continuiamo a cercarli con tutto l’amore e la perseveranza possibile, perché è un loro diritto recuperare la propria identità, la propria storia e la propria famiglia, così come è un nostro diritto poterli riabbracciare anche se ora sono già adulti. D.Ci puoi raccontare come spariva la gente? R. In Argentina dopo il 24 marzo 1976 cominciò un’orrenda caccia a tutti gli oppositori al regime dittatoriale. Sparivano liceali, ragazzi di 14/15 anni poiché avevano chiesto maggiore giustizia sociale; studenti universitari, suore, preti, operai, professionisti, tutti coloro che avevano opinioni diverse e che erano considerati un pericolo dai militari. Venivano sequestrati all’alba nelle proprie abitazioni. Irruzioni in cui buttavano giù le porte, armi alla mano con gruppi di decine di persone che si dividevano i compiti: chi sequestrava gli abitanti della casa, chi si dedicava al saccheggio - che era sistematico, soldi, tv, elettrodomestici, pentolame... Nessun rispetto per anziani e bambini, tutti erano sottoposti alle violenze. Spesso i ricercati venivano ammazzati sul posto, ed i loro figli venivano consegnati a qualche istituto o a qualche loro amico. Con questo sistema seminarono il terrore tra la popolazione, ed aprirono 465 campi di concentramento, sparsi in tutta l’Argentina, dove rinchiudevano le loro vittime che venivano torturate, violentate, assassinate. D. Nella vita politica e nelle forze armate argentine ci sono ancora i torturatori. Con le leggi del punto final, dell’obbedienza dovuta e con l’indulto la maggior parte di questi boia è libera… R. Gli otto organismi storici che si occupano dei diritti umani, alcuni nati durante la dittatura, così come le madri, le nonne, i familiari, ed altri più recenti, continuano permanentemente a denunciare il fatto che dei torturatori rivestono importanti cariche pubbliche o vogliono far carriera nelle forze armate grazie ad un accordo con il Congresso. Rifiutiamo la legge del punto final e le altre approvate da Alfonsine, e poi da Menem. La nostra richiesta è che queste leggi vengano abrogate, affinchè tutti i responsabili possano essere giudicati. Vogliamo che questi boia siano giudicati per il sequestro di bambini (sottrazione di minori), poichè sono reati non cancellati da queste leggi. Questa è la nostra battaglia. D. Puoi richiamare la posizione della Chiesa verso il genocidio della dittatura? R. Abbiamo sofferto sulla nostra pelle la complicità della Chiesa argentina con la dittatura militare. Tranne alcuni vescovi (4 o 5 che ci hanno sempre aiutato, insieme alla Chiesa di base) la Chiesa argentina è molto conservatrice. Pur sapendo quello che stava succedendo lo ignorò, tacque, non difese le vittime. Oggi la Chiesa argentina è più progressista e c’è una specie di riconoscimento della violazione dei diritti umani. Noi vogliamo, poichè il passato non è certo un capitolo chiuso, visto che non si sa dove sono finiti i desaparecidos, che la Chiesa fornisca una risposta precisa alla società argentina. D. Ci racconti come reagisce la società argentina di oggi alla scomparsa di 30 mila persone? R. La società argentina prende ogni giorno di più coscienza di quello che è successo. La dittatura seppe occultare molto bene quello che stava succedendo. I giornali non riportavano le notizie, un desaparecido era un “terrorista”. Cercarono di attribuire molte azioni fatte dai militari a gruppi militanti dell’opposizione. Da alcuni anni alcuni militari, peraltro senza pentirsi, hanno cominciato a raccontare quello che è successo, ed il popolo ascolta dalla bocca di questi assassini quello che abbiamo sempre affermato. Anche rispetto alle nostre azioni giudiziarie il clima è cambiato, abbiamo più appoggio alla nostra lotta. D. Cosa pensa della società italiana? Cosa possiamo fare, affinchè la nostra solidarietà non si fermi alle parole? R. Sapete che la società argentina è composta in larga parte da figli di emigranti, molti di noi, essendo di origine italiana, si sentono ancora italiani. Il popolo italiano deve essere solidale con la lotta che conduciamo in Argentina, oggi, soprattutto, appoggiando il processo che è iniziato a Roma - e che è già in fase definitiva, il 18 marzo ci sarà un’altra udienza e c’è bisogno dell’appoggio di tutta la società italiana. La novità è costituita da quelle città che hanno cittadini originari e vogliono costituirsi parte civile nel processo; sarebbe molto importante per rafforzare la lotta per la verità e la giustizie, per la condanna in Italia dei militari. A parte questo è importante rendere omaggio alle vittime della dittatura - ad Arzignano (Vicenza), paese di origine dei Carlotto, è stato dedicato un monumento a Laura, italiana desaparecida in Argentina. E’ la prima volta che viene dedicato un monumento ad una desaparecida… Sarebbe bello che tutte le città che hanno desaparecidos li rendessero omaggio in qualche modo, per mantenere viva la memoria, così la famiglia sente attorno a sè la solidarietà del luogo di origine. |