QUANTO È GRANDE
L’ABUSO?
Introduzione di
Barbara Martino
L’abuso è
sicuramente un fenomeno diffuso, sommerso ed è stato per troppo tempo
inascoltato. L’abuso sessuale sui minori costituisce per la sua diffusione
un reale ed allarmante problema sociale a causa delle conseguenze
psicologiche devastanti sullo sviluppo di un bambino e si considera sempre
un "abuso psicologico", un maltrattamento delle emozioni dei bambini
coinvolti, "un cattivo tratta-mento dei loro vissuti emotivi".1
La violenza sui
minori è sempre un abuso di potere che un adulto esercita su un bambino
indipendentemente dal consenso che l’abusante può ottenere dalla sua
vittima: in queste situazioni, infatti, comunque non è rispettata la vita
emotiva e la specificità del bambino, che vive un grande deficit di
consapevolezza e capacità di controllo della propria vita sessuale e
capacità decisionale.
Nell’abuso
sessuale è sempre presente un esercizio di superiorità dell’abusante sulla
piccola vitti-ma, si verifica sempre una disparità di esperienza e di
potere fra l’adulto e il bambino. La manipola-zione dell’abusante rafforza
il legame di dipendenza fra la vittima e l’abusante. Questa "complicità"
fatta d’inganni e d’imbrogli, spesso ostacola la rivelazione delle
violenze subite dai bambini che spes-so si sentono bloccati dai loro sensi
di colpa, dalle loro confusioni e restano in silenzio custodendo per anni
il segreto.
Si tratta di un
fenomeno "grande", paragonabile ad un’epidemia sociale, un fenomeno da
sempre presente, attualmente sollecitato a nuovi sviluppi attraverso il
progresso consumistico e telematico.
Vorrei
associare il fenomeno dell’abuso sessuale ad un’immagine mentale, ad una
metafora: un magma silenzioso e sotterraneo di un vulcano che, anche se
nascosto, è in costante movimento e an-che se fa fatica ad emergere,
chiede insistentemente di uscire allo scoperto dalla bocca del vulcano. E’
come se questo magma sommerso fosse bloccato all’interno del cratere, come
se fosse imprigionato dentro la bocca del vulcano.
Nella mia
esperienza professionale di conduttore di gruppi di formazione basati
sulle metodologia del Centro Studi Hansel e Gretel mi è capitato spesso di
osservare che questo magma incandescente incominciasse ad uscire per la
prima volta dalla bocca del vulcano… all’inizio solo attraverso dei fumi
silenti e poi lentamente in modo esplosivo.
Ricordo tempo
fa, di aver incontrato durante un corso di formazione sulla prevenzione
dell’abuso e del maltrattamento all’infanzia un’assistente sociale di nome
Cinzia . Questa giovane donna di trent’anni inizia a descrivere per la
prima volta con difficoltà, ma anche con molta forza emotiva la propria
storia di sofferenza infantile, caratterizzata da ripetuti abusi sessuali
subiti dall’età di sei anni dal padre e purtroppo non creduti per anni
dalla madre… Quest’ultima aveva mostrato indifferenza e incredulità
nell’ascoltare i racconti sconcertanti della figlia e per lungo tempo
aveva messo il silenzia-tore ai suoi vissuti emotivi.
I sentimenti
che Cinzia provava nei confronti della madre diventano un miscuglio
confuso di ran-core, amore, rabbia, delusione, risentimento e desiderio di
protezione nei suoi riguardi. Questo intenso "groviglio" di vissuti
emotivi viene comunicato per la prima volta da Cinzia all’interno di un
gruppo: lentamente il groviglio inizia a sciogliersi e ad acquisire un
senso, quando Cinzia inizia a raccontare: "Sapete da piccola ero convinta
che, se l’avessi detto a mia madre, le avrei dato un dolore troppo for-te
e temevo si sarebbe sentita in colpa. Mi sentivo molto protettiva nei suoi
riguardi. Come potevo darle questo dolore dicendole quello che mi era
successo?", ma poi aggiunge: "…probabilmente non ho raccontato nulla a mia
madre perché temevo che non mi avrebbe creduta ed aiutata…"
Cinzia in
passato non ha raccontato alla madre le esperienze d’abuso sessuale subite
perché teme-va soprattutto le conseguenze : di non essere creduta e
protetta, di non essere capita, di essere la causa dell’angoscia e del
dolore della madre. Così Cinzia ha preferito per molto tempo sopportare da
sola il proprio dolore muto. Cinzia si è ritrovata dunque a proteggere la
madre anziché esserne protetta.
Ha pensato per
molti anni di dover combattere il ricordo delle violenze subite dal padre,
pensava che la cura a quest’antico dolore potesse coincidere con il
perdono del padre, inteso come la cancella-zione dalla propria memoria di
tali ricordi e dei propri sentimenti dolorosi.
La storia di
abusi sessuali subiti da Cinzia è stata esplicitata per la prima volta
proprio all’interno di un gruppo dove circolava un clima di intelligenza
emotiva e di comprensione empatica. In quel con-testo i suoi ricordi
traumatici hanno avuto uno spazio d’accoglienza autentica e così è
riuscita a supe-rare il meccanismo massiccio di rimozione per aprirsi al
confronto con gli altri sulla propria storia.
Da quel momento
inizia per Cinzia un percorso molto significativo di riflessione e di
cambiamento: più risperimenterà esperienze emozionali correttive d’ascolto
empatico delle proprie sofferenze, più le sue ferite psicologiche potranno
essere curate.
Probabilmente i
danni prodotti dall’abuso come fatto in sé sono molto inferiori a quelli
prodotti dall’impossibilità di comunicarlo o di attribuirgli un
significato. Si tratta dunque di aiutare le piccole vittime di violenza a
rendere leggibile e condivisibile un evento traumatico che spesso, invece,
è stato negato, sminuito o addirittura è stato attribuito alla
responsabilità di chi lo ha subito.
Spesso la
violenza sessuale, come è accaduto per Cinzia, va incontro a risposte
d’incredulità che ostacolano la consapevolezza sociale e producono
reazioni di rimozione, di minimizzazione o addirit-tura di negazione. Non
credo che a Cinzia in passato mancassero le parole per raccontarlo o che
non avesse voglia di parlarne con qualcuno, penso piuttosto che
soprattutto le mancassero delle orecchie sensibili e una mente adulta
disponibili ad ascoltare emotivamente la sua storia drammatica. L’abuso
infatti parla solo a chi ha orecchie e un cuore per ascoltarlo veramente.
Non è vero che
i bambini non vogliono parlare. Siamo noi adulti che abbiamo difficoltà ad
ascolta-re, non sapendo riconoscere le esigenze e le risorse di
comunicazione dei soggetti in età evolutiva. Spesso siamo indaffarati,
imbarazzati, incompetenti dal punto di vista emotivo e relazionale
nell’affrontare queste tematiche altamente conflittuali. Così ci capita di
svalutare e squalificare le ca-pacità percettive e comunicative e dei
bambini, abbiamo troppa fretta, poco tempo per riflettere e poca
disponibilità emotiva per ascoltarli.
Attualmente è
molto frequente la tendenza generale da parte del mondo degli adulti a
rimuovere il tema dell’abuso sessuale: come ha fatto la madre di Cinzia
che ha espresso il bisogno di fare silenzio, l’esigenza di non vedere, di
non sapere e di non pensare. Ma tali atteggiamenti servono solo ad
au-mentare la solitudine e il vissuto d’impotenza dei bambini vittima di
abusi sessuali.
Adulti che
rimuovono insegnano ai figli a rimuovere. Se i bambini imparano a negare
davanti a se stessi pensieri e sentimenti è ovviamente perché apprendono
quest’atteggiamento mentale dai genitori, che non li incoraggiano a
confrontarsi con la vera realtà. Infatti, adulti che ricorrono
massicciamente al diniego e all’accantonamento di fronte ai fatti e ai
problemi creano tra loro e i bambini una barriera alla comunicazione, che
impedisce a questi ultimi di mettere in parola i loro dubbi, le loro
ansie, le lo-ro curiosità, di accedere al dialogo con i genitori sui temi
fondamentali dell’esistenza quali la sessuali-tà, la morte, la malattia,
la violenza e l’abuso. La rimozione da parte degli adulti,
l’accantonamento delle problematiche emotive e conflittuali nel dialogo
con i bambini, afferma Foti, non fa rima con la prevenzione del disagio e
del maltrattamento, né tanto meno con la protezione delle piccole vittime.2
Come mai il
fenomeno dell’abuso resta AMPIAMENTE DIFFUSO, AMPIAMENTE SOMMERSO dal
punto di vista delle rivelazioni sociali e AMPIAMENTE INASCOLTATO? E’ un
interrogativo da tenere aperto, se vogliamo lavorare per una comunità
società che dia ascolto alla "vo-ce" dei bambini, in cui l’infanzia si
senta davvero tutelata e al sicuro.
C’è qualcosa
non ha funzionato in passato e non funziona ancora oggi nell’ascolto
sociale dell’abuso sessuale sui bambini.
"Il bambino
abusato è oppresso – scrive Lambruschi - è confuso, sfiduciato incapace di
ricono-scersi e di capire che cosa gli sta succedendo proprio come
Pinocchio quando si trasforma nella fiaba in somaro che terrorizzato tace.
Per fortuna parla il suo corpo, ma è importante che ci siano adulti
sensibili disposti ad ascoltarlo anche quando Pinocchio dice cose orrende
proprio su chi gli è più vicino".3
Non
dimentichiamoci che il bisogno dei bambini di parlare e comunicare
esperienze di vittimizzazione e di sofferenza può essere soddisfatto in
misura direttamente proporzionale al nostro desiderio sincero e al nostra
disponibilità autentica di adulti di ascoltarli.
1
C. Foti, Emozioni del maltrattamento e maltrattamento
delle emozioni, in Abuso all’infanzia, Dispensa del Centro Studi Hansel e
Gretel, Sie Editore, Torino, 2004.