Cristiano Ceccarelli



(in archivio dal 12 novembre 2001)
Quei ventitré chilometri tra Perugia e Assisi
Volti, persone, storie, parole, immagini, impronte della Marcia della pace


No alla guerra
Scrivere un diario di diciassette ore non può essere un'impresa imparziale. Si sappia da subito che alla marcia della pace chi ci è andato, ci è andato per testimoniare con la presenza una scelta che differisce da quella presa dal parlamento che ci rappresenta e dalla comunità internazionale, Usa in testa, di bombardare, ed è la terza volta in dieci anni, un popolo stremato. Non mi faccio illusioni, non voglio convincere nessuno scrivendo queste parole che saranno cronaca di un evento ma anche pensiero personale. Ma è così, tra Perugia ed Assisi siamo andati per dire no alla guerra, lo abbiamo detto e non posso che ribadirlo.

Il pullman dei "compagni"
Nei giorni precedenti il 14 ottobre diverse possibilità mi si erano aperte per raggiungere Perugia. Il Casale del Podere Rosa, sede del Social Forum Roma nordest, ha organizzato due bei pullman; un mio amico si sarebbe imbarcato su un camion di Rifondazione, ma alla fine ho preferito i pullman dei Ds. Parto con i miei zii che fanno capo alla sezione di piazza Verbano e mi piace l'idea di andare con un popolo di "compagni" (come si chiamano fra di loro) che la pensano diversamente da me. Forse sbagliando, ma non ho mai avuto la vocazione di iscrivermi ad un partito perché mi è sempre piaciuto farmi un'idea mia sulle cose e non dover sottostare a delle leggi di gruppo. Sentire parlare loro mi immerge in una realtà fatta di incontri, dibattiti, riunioni, ordini di partito, regole, che non avevo mai vissuto.

Dubbi del popolo
Alle sei di mattina la stazione è affollatissima, nel buio si fanno gli appelli e poco più tardi si parte. I "compagni" non dormono, discutono, la mozione Fassino, la mozione Berlinguer, ecco un altro momento nella storia ultimamente tormentata di questo partito nel quale la base è chiamata ad esprimersi. Un altro bivio, tra la deriva centrista filolaburista e l'impegno colto e severo dell'inquadratura partitica, tra un (sotto)leader del leader (D'Alema) e l'intellettualismo dell'uomo di polso, tra la vittoria di una frangia e il compromesso dell'unità. Così si esprimono e sono solo le sette del mattino! Ma c'è anche chi è tormentato perché a favore di questo intervento angloamericano, ma con la morte nel cuore, c'è chi vuole una guerra anti-islamica e chi gli ribatte che "questi stanno dappertutto, dove li vai a prendere". Ci sono amiche che litigano per la diversità di opinioni, altre che vogliono dormire e s'incavolano, quelle gli urlano…

Pronti, via!
Alle nove e mezza scendiamo a Ponte San Giovanni, uno dei punti raccolta. La manifestazione è appena partita da Perugia (quattro chilometri prima) e noi l'aspettiamo. La folla è immensa, le strade del paese colme di persone. Fricchettoni multicolori, capelli arcobaleno, magliette col simbolo della pace, frange alle magliette (quando ce le hanno), frange ai pantaloni (quando ce li hanno), orecchini, piercing, tatuaggi, erba a volontà, scendono da un camioncino anni '70 che sembra uscito da una comune, dipinto a margheritone. Un furgoncino spara musica a troppi decibel. Gente che srotola gli striscioni, che prepara le bandiere. "Non ci dovrebbero essere bandiere", dice qualcuno, "si sfila per la pace, non in nome di un partito o di un qualcosa, tutti insieme tutti uguali, le bandiere fanno i gruppi, separano, dividono, sono barriere". Legambiente e Cgil distribuiscono cappellini. Ci sfiliamo i maglioni della mattina quando sale il sole. Strilloni vendono giornali di tutti i tipi, profughi turchi vendono "Kurdistan".

Primi passi
"Ma dove si va?", chi dice da una parte, chi dall'altra. All'improvviso il corteo si muove. Si esce da Ponte San Giovanni. Sono le dieci. "Ma la testa non è passata", poco oltre chiediamo ai vigili: "No, c'era talmente tanta gente che la testa non poteva passare, adesso sta oltre la metà". Siamo quasi in cima ma aspettiamo che passi qualcuno. C'è qualche sindaco con fascia e stendardo. Ce n'è uno trentenne, con l'orecchino e manifesto in tasca. C'è una signora con i tacchetti (ahilei). Passa Legambiente con Realacci sempre sudatissimo mescolato nella folla. Passa Wwf, in un mare di bandiere bianche. C'è un camion con la musica, sopra un dj alterna pezzi pacifisti e musica techno, dietro centinaia di ragazzi ballano (la fatica non è mai troppa), camminando.

Tradizioni
C'è un pezzo in salita. Una signora racconta di quando è venuta qui quarant'anni fa: 1961. "Beh, era tutto diverso, siamo venuti qui in lambretta, eravamo quattro gatti, in silenzio, senza musica, senza bandiere, con le scarpe che facevano male, ma ce la facemmo tutta nonostante la pioggia". Qualcuno attacca cartelli con su scritto: "Ultimo chilometro a piedi scalzi, come i profughi". Il sole è forte, ci sono più di trenta gradi. All'apice della salita dei panini, un po' di vino (inopportuno per le gambe), acqua e frutta. C'è chi offre cachi, chi banane, i panini con origano e mozzarella sono gratis, un vecchietto versa, a offerta libera, da una damigiana enorme il vino da lui fatto.

Musica e silenzio
I cipressi sfilano ai nostri lati. A destra c'è una freccia che indica Via della fratellanza. Ci sono una marea di bambini e di ragazzi. Scout di tutti i colori, beige, verdi, azzurri, c'è il giglio della Agesci, cappelli da Gran Mogol, calzettoni arrotolati alla caviglia. Il camion laggiù più avanti mette Imagine e la gente canta, mette Bella ciao e la gente batte le mani a tempo. Usciamo dagli alberi e il sole è impietoso. Non c'è chi non sia sudato. Bambini si fanno trainare su un carretto di legno arrangiato. Il silenzio della campagna è assordante, c'è chi marcia senza nulla in mano, portando solo se stesso in questo giorno di pace, chi con cane, bandiera e cartellone con scritto: "Pensa globalmente, attua localmente". Una signora si porta appresso una valigia con le rotelle. Chi si ripara dal sole con l'ombrello.

L'unione fa la forza
A mezzogiorno, nel tilt totale in cui sono andati i cellulari, la signora Teresa riesce miracolosamente a chiamare il figlio, "Sto ancora a Perugia, qui non siamo partiti", ma quanta gente c'è? Un cartello segna Assisi 12. Abbiamo fatto già sette chilometri e undici dietro di noi c'è ancora chi aspetta per partire. Quanta umanità in questa marcia. I vigili, i pompieri, quelli della protezione civile, sono lì con la macchina fotografica che guardano, devono rimanere di presidio, ma avrebbero la voglia di esserci, e ci sono. Un attacco massacrante (riferendosi alle vittime civili, il manifesto titola oggi "La morte civile" così come aveva fatto quattro anni fa dopo le prime ammissioni di errori da parte del Pentagono in Kosovo) su un popolo massacrato riesce a mettere insieme un mare di persone.

Internazionalismo
Sulla maglietta un ragazzo porta scritto "Uomo libero guarda il mare. È il tuo specchio (Baudelaire)". Un altro gruppo di ragazzi con la barba lunga hanno questa maglietta: "La barba non fa il terrorista". Scortati da centinaia di agenti D'Alema, Berlinguer e Fassino vengono sonoramente fischiati e se ne vanno. Passando sotto un cavalcavia vediamo un pullman di Trento. Dall'alto del ponte pende una bandiera della Palestina lunga venti metri. La gente passa sotto e applaude spontaneamente. Si inseriscono dei cinesi con delle vestaglie colorate e uno striscione "May peace prevail on Earth". Una famiglia ha degli ombrelli senza tela, solo i ferri ai quali sono state legate file di origami a forma di colombe.

Terrorismo dei media
Una signora si arrabbia perché il giornale titola "Allarme antrace in Usa". È una biologa e dice che sono tutte fesserie, allarmismi idioti, "Io capisco, quando parlano di argomenti di cui mi intendo, quanto i giornalisti siano inattendibili, e ho paura che ciascuno nel suo campo sia costretto a trarre le stesse conclusioni. A quello che dicono i giornali non bisogna prestar fede. Intanto dicono antrace e carbonchio, quando sono la stessa cosa. Poi dicono che si tratta di una malattia epidemica anziché epidermica. E poi tutto questo non serve altro che a giustificare un aumento di finanziamenti da parte del Congresso americano alle case farmaceutiche".

Il mondo delle Ong
Più vai avanti più ti convinci che oggi bisognava essere qui, al centro del mondo, oggi è qui il centro del mondo, di un mondo altro, contro la guerra, contro un sistema imperialista, liberista. La forza della Perugia-Assisi è proprio in questa massa numerosissima di volontari, di Associazioni, di Ong, c'è Ics, Amnesty, Mani tese, Emergency (perché non a loro il Nobel anziché all'asservita e ormai inutile Onu?), Arci, Arci dappertutto, Donne in nero… c'è un mondo che da anni parla e dice cose che la politica non ascolta. Oggi si dice, c'è un'urgenza terrorismo, dobbiamo bombardare per stanarne i capi, ma nessuno ha mai pensato di agire politicamente nel corso degli anni, si è lasciato creare agli Usa il Wto, si fanno G8 nei quali la polizia mena i manifestanti pacifici senza toccare i violenti, si bombardano solo i paesi degli oleodotti (Kosovo, Iraq, Cecenia, Afganistan), ma nessuno si ricorda del popolo Saharawi, perché è sperduto in un deserto senza risorse.

Il mondo degli Usa
Mi sembra ipocrita sterminare quelle donne afgane che da anni chiedono di essere aiutate e liberate, nessun presidente Usa si è mosso davanti alle regolari lapidazioni operate dai talebani. Ci volevano settemila morti occidentali per far capire tutto questo? E ci voleva un presidente legato a doppio filo alle lobby delle armi perché si scatenasse una guerra inutile (è stata utile quella in Iraq, migliaia di vittime civili, Saddam che sta ancora lì a tiranneggiare, kurdi sterminati ed emigrati, embargo inflessibile, innocenti senza cibo e medicine che muoiono? È stato utile?) che andrà avanti per mesi e frutterà miliardi di dollari alla Boeing? Emergenze di serie A e di serie B. Contro il lavoro nero, minorile, sottopagato di donne e bambini nel sud del mondo nessuno si muove, perché quello è ingiusto ma non è legato a un rischio terrorismo, anzi quello ci fa comodo, ci offre tutti i beni e i comfort inessenziali e non tocca la nostra sicurezza.

Acqua contro l'indifferenza
Ma la colpa è anche nostra, perché nemmeno noi ascoltiamo, prestiamo attenzione, agiamo. Ci basta tornare a casa dopo la messa della domenica mattina con le pastarelle, vedere Schumacher e discutere del Grande Fratello. E stiamo a posto così. "Acqua, cibo e lavoro per tutti": questo era il tema della marcia. H2OK è la campagna lanciata per sensibilizzare il mondo sul fatto che più di un miliardo di persone non ha ancora accesso all'acqua. Continua a camminare il popolo della pace, come in un pellegrinaggio (siamo o no nella terra di San Francesco?), a martoriarsi i piedi, perché non è indifferente.

Varia umanità
Ci sono persone in carrozzella, una addirittura con i tubi dell'ossigeno, ci sono persone zoppe che vanno avanti sotto il sole. È un flusso ininterrotto, nessuno ha idea di quanti siamo. Nei paesi la gente si affaccia alle finestre, applaude, sembra di essere al Giro d'Italia e di fare i ciclisti. "Occhio per occhio acceca" disse il Mahatma. Si va avanti sempre più stanchi. Arcicaccia offre il Bau bau ristoro, i donatori dell'Avis panini alla porchetta, le botteghe del commercio equo bibite e vivande a prezzo di costo, i bar sulla strada sono sovraffollati, non possono più servire caffè perché hanno finito i bicchieri di carta. Legambiente regala pezzi di parmigiano con pane casereccio. Appena appare un cartello Wc, frotte di persone si mettono a correre.

Bimbi e amici
Non c'è una carta per terra, mai vista tanta civiltà. Un'associazione antiembargo che rifornisce il popolo iracheno chiede un'offerta libera in cambio di datteri mediorientali. I bambini delle elementari di Badia (siamo a cinque chilometri da Assisi) hanno disegnato la pace e sfilano con un lunghissimo lenzuolo tappezzato di loro disegni. Passano delle bande, c'è chi balla su ritmi africani, percussioni assordanti. Il passaggio a livello si abbassa e il flusso viene spezzato per qualche minuto. Un uomo sandwich porta scritto: "I cannoni vanno riempiti solo di erba". Incontro Gianni Novelli, mitico amico della Pulce, con la bandiera del suo Cipax. Poi passa l'Uisp, e rivedo persone conosciute durante i miei dieci mesi di servizio civile.

Contrasti
Prima di Santa Maria degli Angeli c'è un vero e proprio villaggio globale. Pannocchie abbrustolite, vino, sempre più commercio equo, maccheroni, bibite no-logo offerte dagli studenti universitari, a un microfono parla (a sproposito) Agnoletto: "Grazie di essere venuti", come se fossimo venuti per lui. Un gruppo di esaltati inneggia all'Intifada. C'è chi gira con le magliette dell'Ezln, ormai passato dalle armi al dialogo, che si è vestito da sandinista. Amare guerre di resistenza, guerre civili come anche l'Italia ha combattuto ma che l'Italia ha dimenticato. Uno scout si lamenta che gli fanno male le gambe, "È normale", gli risponde l'amico. "Sì, ma non mi fanno meno male per questo". Un ragazzo porta un'asta con la bandiera dei DS e quella a strisce colorate della pace e qualcuno lo stuzzica: "Fanno a pugni quelle due bandiere". Uno striscione recita: "Chi ha votato per la guerra… vergogna".

Caos
A Santa Maria degli Angeli ci bloccano, c'è troppa gente su ad Assisi. Sono le quattro e noi ci fermiamo qui. Dopo sono successe tante cose. Mille pullman erano parcheggiati dove era previsto, altrettanti sono rimasti bloccati fuori dal paese. I telefonini erano in tilt. Migliaia di persone vagavano alla cieca. Non ci si ritrovava fra gruppi. Non si sapeva come muoversi. La stazione presa d'assalto con due soli treni previsti fino all'indomani mattina. Le navette per Perugia (molti avevano lasciato lì la macchina) bloccate. Nessun vigile, nessuno che desse informazioni. E intanto cala la notte, il freddo, l'umido. Alle nove il termometro segna 10° e noi siamo dispersi.

Pallottoliere
Qualcuno dice che gli ultimi a partire da Perugia sono arrivati solo adesso. Alla radio dicono che eravamo duecentomila, ma io c'ero e queste sono balle. Era una scia di otto ore, ininterrotta di persone. Ci sono anziani che di manifestazioni se ne son fatte e sanno contare con l'occhio dell'esperienza. Anch'io me lo ricordo a Roma nell'autunno '94 un milione di persone contro la finanziaria Berlusconi, o le duecentomila nel '96 per la più grande manifestazione per l'ambiente al Colosseo o i centomila dello scorso luglio al dopo Genova. Altro che storie, la polizia qui dice seicentomila. Ma è chiaro, se ne aspettavano centomila e tutto il sistema è andato in tilt. Siamo molti, molti, molti di più.

Ha da passa' 'a nuttata…
E siamo abbandonati, nessuno che ci porti qualcosa di caldo, delle coperte. Il paese è uno stuolo di persone vaganti, chi è stato lasciato qui perché il suo pullman è partito, chi urla la propria destinazione nella speranza di imbucarsi. Sono bloccati anche i telefoni fissi, è il panico. Quando vagando troviamo per caso il nostro pullman riusciamo a partire. Raccogliamo un gruppo di sette romani persi. Sono le dieci e c'è gente che gira per le strade buie, genitori con i figli piccoli che non sanno dove andare, si avventurano sui bordi di strade intasate. Ci sono pullman che aspettano chilometri fuori e autisti che corrono in paese per cercare i loro passeggeri. Una donna anziana si sente male e l'ambulanza non riesce a fendere la folla. C'è chi ha crisi di panico. Ma la forza della presenza resta, la forza dei nostri passi contro la guerra. Sul ciglio della strada ho colto un fiore di campo che ho messo sul mio zuccotto durante la marcia. L'ho ancora qua e lo conservo perché come dice la canzone "ho sempre un fiore qui dentro il pugno". Un altro mondo è possibile. Shalom.
(28 ottobre 2001)

Cristiano Ceccarelli

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