Danila Bellino



(in archivio 1 marzo 2001)
Emma Bovary a teatro

Gli Stabili italiani scoprono, in modo un po' tardivo, un filone teatrale ancora ricchissimo, quello delle trasposizioni drammaturgiche, delle drammatizzazioni letterarie. Nel deserto di nuovi talenti, piuttosto che proporre cinque Shakespeare, sette Pirandello, tre Molière, come accadeva giusto due anni fa, i direttori dei teatri sono contenti di poter variare gli autori della stagione, mantenendo tuttavia nomi celebri e facilmente riconoscibili dal pubblico (quindi, in un certo senso, è come avere ancora cinque Pirandello, due Goldoni, dieci Shakespeare, ecc).
In gran parte sono spettacoli che si reggono sui dialoghi (appena rimaneggiati da quelli autentici), sulla storia (quella stessa del libro) e si rivelano particolarmente noiosi; anche la scrittura dei grandi non sopravvive alla scena, per il semplice motivo che è scrittura letteraria e non drammaturgica, e anche gli autori teatrali più bravi devono fare salti mortali per fare degni adattamenti.
D'altra parte esiste un modo opposto di adattare per le scene un classico letterario; certo si cammina su un terreno più scivoloso, più vago, si lavora sull'ispirazione, sul simbolo, sull'analogia, sull'invenzione che può nascere (o non nascere), lasciando tuttavia separati tra loro i due diversi ambiti. Succede quando la letteratura ispira il teatro, ma alla fine è la forma teatrale ad avere la priorità, non si adatta il libro alle scene, ma è la scena a succhiare lo spirito, le atmosfere, la psicologia che è nella pagina letteraria.
Madame Bovary di Giancarlo Sepe è una delle tante forme che il teatro può dare al celebre personaggio di Flaubert; non aspettatevi di assistere a un racconto, se non per accenni, ma alla concretizzazione scenica di uno spirito letterario attraverso la parola, la musica, la danza che si intrecciano a creare un'opera d'arte Totale, di wagneriana memoria, che solo il teatro può rendere possibile. All'opposto delle intenzioni tedesche è una totalità intima, fatta di sfumature e mezzi toni, non per questo meno impressionante, basti guardare la forte commozione che produce.
Al teatro tuttavia non interessa dare giudizi sul personaggio di Emma Bovary, il compito del teatro è mostrare le tante sfumature di una Bovary e, in un certo senso, dirne tutto e il contrario di tutto, perché così accadrebbe nella vita. L'interpretazione infatti non è un giudizio (Emma donna spregiudicata, Emma innocente vittima di circostanze, Emma femmina troppo affascinante, Emma povera ingenua): l'interpretazione non ha un senso, ma tutti i sensi possibili, che rimangono aperti a mille interpretazioni. Non si decide su Emma, si può condividere o non condividere e proprio per le mille sfaccettature, per questa selvaggia sincerità il personaggio è così vicino alla persona dell'attrice, assorbe da lei la vita proprio come un demonio rivive in un indemoniato.
Non vogliamo parlare solo di immedesimazione, quanto di una complessità umana che è lo scopo spesso mancato della recitazione: qualsiasi tecnica la Guerritore avesse usato, non avrebbe raggiunto il livello di una sublimazione delle tecniche senza l'impegno di una sincerità costante che la porta ad affrontare con convinzione anche le figure di danza e soprattutto i lunghi momenti di recitazione fisica senza ausilio di parole.
E' infatti una ricerca di sublimazione di "Madame Bovary" quella che opera Sepe, la musica, la danza, la parola riescono a far vivere in scena il sottotesto di cui la pagina letteraria è piena, traendone anche delle sintesi poetiche. La musica spesso fa da prim'attrice, tiene sospesi i significati creando un corto circuito fra loro, racconta sentimenti e disillusioni, parla d'amore e della violenza che vi si nasconde, della brutalità del silenzio, delle cadute e del dolore che procurano, della cattiveria nei bei gesti, della banalità dei giudizi.
Quando la Bovary si interroga sull'amore, chiedendosi se l'ha sognato o vissuto, se era una sua creazione o è esistito mai veramente anche solo in uno sguardo o in una parola, se alla fine lei dovesse spiegarsi che cos'è l'amore, dirne qualcosa di definitivo, sarebbe ancora un suono il cui senso rimarrebbe tuttavia aperto e sembrerebbe non rivelare nulla.

Danila Bellino

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