Giovanni Gattamelata



(in archivio dal 26 ottobre 2001)
I Musulmani e noi

Il doveroso rispetto che ciascuno di noi deve nutrire verso le opinioni altrui dovrebbe sposarsi alla ferma richiesta di un analogo atteggiamento da parte degli 'altri' (spesso, purtroppo, poco disposti a condividerlo). Se cio' non avviene, non diamo affatto prova di tolleranza, ma solo di un atteggiamento paternalistico, se non di inerzia e indifferenza, e cioe' di qualcosa di profondamente diverso dalla nostra presunta virtu'.
I Paesi musulmani vietano il proselitismo di altre religioni, mentre noi lasciamo liberi i Musulmani di predicare tra noi il loro credo. Erigere una chiesa alla Mecca, santissimo luogo dell'Islam, è impensabile, ma una moschea e' stata costruita a Roma, capitale del Cristianesimo. Non chiedere parità di condizioni è, in definitiva, una forma di razzismo. Sembra quasi che si pensi: "Come pretendere un comportamento civile dai selvaggi?".
Tuttavia non esorto a restituire pan per focaccia: crediamo nella liberta' delle idee e delle opinioni, un nostro valore che va difeso di per se', senza alcun bisogno di 'merci di scambio'. Non ritengo il nostro sistema 'superiore' agli altri; dico solo che esso e' il nostro e che a certi suoi valori generali e universali dobbiamo mantenerci coerenti, se abbiamo sicura coscienza di noi stessi.
Tuttavia tale disposizione dell'animo non puo' essere mantenuta 'per dovere di ufficio', fino a sopportare azioni gratuite, ingiustificate e lesive di diritti personali: il timore di sembrare razzisti ci trasforma, appunto, in razzisti, come ho appena detto. Mi riferisco a due scene trasmesse recentemente da un canale TV (non ricordo quale, ma mi pare fosse uno della RAI). Nella prima, si vedeva un gruppo di Musulmani che avevano trasformato in luogo di preghiera il cortile del palazzo 'a ringhiera' in cui abitavano (e tuttora abitano), accogliendo tra di loro anche altri confratelli, esterni al condominio. Questi ultimi soprattutto, sembrava di capire, assumevano un atteggiamento decisamente inurbano e arrogante verso chi si trovava a passare per il cortile, spintonandolo e anche insultandolo. Al di la' di questi comportamenti, forse dovuti a isolati esponenti della feccia che ogni gruppo sociale alberga in se', resta da chiedersi perche' mai sia consentito di arrecare un palese disturbo alla pubblica quiete in nome di diritti che, in uno Stato laico, mai devono esorbitare dalla sfera individuale e sempre devono rimanere rispettosi dell'altrui tranquillita'. In un paese dell'Italia meridionale c'e' un parroco che, avendo dotato il campanile della chiesa di un carillon servito da un poderoso sistema di amplificazione, nelle varie ore del giorno - e non vi parlo della domenica! - stordiva con fragorosi scampanii l'intero abitato. Le proteste del pubblico - tutt'altro che empio o incredulo, ma dotato di decenza e di buon senso - hanno indotto le autorita' comunali e di polizia a vietare tali intemperanze. Non mi pare che vi sia alcuna differenza tra le due manifestazioni di molesto zelo, ambedue da proibire severamente, a prescindere dalle loro cause, religiose o meno.
La seconda scena mostrava un episodio ancora più grave. In una via di Milano (via Jenner?), ogni mattina del venerdi' (il giorno di festività religiosa settimanale per l'Islam) si radunano migliaia di Musulmani che stendono le proprie stuoie sul marciapiede, per centinaia di metri, e li', avvicendandosi sino a pomeriggio inoltrato, se ne stanno a pregare impedendo l'accesso ai negozi, ai laboratori e alle officine della strada. La convinzione di aver ricevuto l'ultima novella, purtroppo, si traduce spesso, nei Musulmani più beceri, in un'arroganza tanto piu' condannabile in quanto da certuni di essi ritenuta lecita se rivolta verso gli 'infedeli'.
Si tratta di comportamenti che andrebbero decisamente vietati e duramente puniti se recidivi, perche' immotivati. Le comunita' musulmane d'Italia sono spesso ricche (il che spiega anche certe conversioni e la posizione preminente che molti convertiti vi occupano). Anche comunità più povere ma assai numerose, come quella del venerdi' a via Jenner, possono pero' affittare un locale dove pregare il proprio Dio in liberta' e senza disturbo per il prossimo. Basterebbero 1000 lire pro capite al mese. Troppo, per dei poveri? Non scherziamo! La verita' e' che essi intendono usare il proprio zelo religioso come un'arma, una fiumana che, come s'e' visto, puo' sfociare in paludi pestilenziali. Un'altra buona ragione per stroncare sul nascere questi attentati gravissimi all'altrui tranquillita' e liberta', prima che la consuetudine si faccia legge.
(11 ottobre 2001)

Giovanni Gattamelata


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(in archivio dal 15 marzo 2001)
Berlusconi presidente: innovatore, imprenditore, amico, operaio

È solo in certe commedie messe in scena dalle filodrammatiche di paese che basta cambiare il cappello per diventare un personaggio nuovo. Serve un tranviere? Op-là! Un berretto a visiera e il gioco è fatto. Un prete? Un cappello a fungo, e tutto è sistemato. Un capitano d'industria? Per questo bastano un sigaro e una tuba! Un esploratore? Ecco il casco di sughero con tanto di fascia tigrata! Tutti continuano a vedere che si tratta sempre di Evaristo, con la sua giacca nocciola e i calzoni alla zuava, ma suppliscono con l'immaginazione, benevola soccoritrice dei meritevoli sforzi dell'amico.
Nessuno, ovviamente, è nemmeno sfiorato dall'idea che sul palco vi siano davvero un tranviere, un prete, un capitano d'industria e un esploratore, né pensano seriamente che Evaristo possa essere contemporaneamente tutte e quattro le cose. Se qualcuno lo sostenesse, verrebbe guardato con commiserazione ("Poveretto! È impazzito") o con rabbia ("Per chi mi prende, questo tanghero?").
La cosa, invece, sembra del tutto naturale al Grande Trasformista, al Fregoli della Casa delle Libertà (sic!) e ai suoi accoliti, che ci vogliono convincere che Evaristo sia davvero e contemporaneamente un tranviere, un prete, un capitano d'industria e un esploratore … pardon! … che Berlusconi sia davvero e contemporaneamente un operaio, un amico, un imprenditore e un innovatore.
Innovatore? Bah! Non significa nulla, Si può innovare in meglio o in peggio. È un caratteristica irrilevante per chiunque non attribuisca automaticamente a "nuovo" il significato di "migliore". Anche il fascismo, lo stalinismo, il nazismo furono "novità"! Berlusconi nazista, allora? Non mi sognerei di dirlo, davvero.
Imprenditore? Beh! Bisognerebbe sempre analizzare minuziosamente la carriera di un capo d'azienda, esaminare quanto fu dovuto alle sue capacità e quanto a circostanze più o meno fortuite, onde valutarne esattamente i meriti, ma prescindiamo pure da questo discorso. Partiamo dal fatto che, ora, imprenditore lo è. Però, costituisce ciò un titolo di merito, per un politico? L'ottica aziendale non è, necessariamente, diversa da quella sociale e generale? L'azienda non ha disoccupati; non ripara le strade che pure le servono; non costruisce le reti elettriche, telefoniche idriche e fognanti che pure le sono indispensabili; la tutela dell'ambiente è solo un fastidio e un ostacolo; scuola e cultura restano per essa vagamente sullo sfondo, non del tutto inutili, forse, ma nemmeno di primaria importanza (Internet, Inglese, Impresa? Non scherziamo!).
È proprio una virtù, in politica, essere un grande imprenditore? O non è, piuttosto, un difetto? E non parlo del conflitto di interessi che, pure, c'è e resta grave. Parlo di competenze, di professionalità. Le capacità personali sono specifiche, non generiche. Altrimenti chiedo a Pippo Inzaghi di operare mio fratello e a Dulbecco di correre i cento metri!
Amico? Di tutti? Dio ce ne scampi! La politica è anche capacità di discriminare, di decidere che cosa coprire, pro tempore, con una coperta che è sempre, per definizione, troppo corta. E allora bisognerà, forzatamente, mostrarsi "amico" di questo e "nemico" di quello. Di che cosa vuole convincerci Berlusconi. Che lui sarebbe una sorta di benevolo Re Travicello? E pretende che gli si creda? La presa in giro assume qui dimensioni colossali, ma diventa addirittura incredibile nella quarta personificazione.
Operaio? Che cosa ne sa Berlusconi di quel che significa - e soprattutto significò - essere operaio? Pensa forse che la vita assomigli a una partita di Dungeons & Dragons? Ha mai usato un attrezzo più pesante di una forchetta? Persino ai suoi bei dì, quando faceva il musico, mai si caricò del peso di una chitarra o di un sassofono, preferendo usare il pianoforte, che trovava lì bell'e pronto, trasportato e sistemato in posizione da altri! Ma questa è solo una battuta, e nemmeno di buona qualità.
Parlando seriamente, non gli sembra di cattivo gusto dichiararsi identico (lui che è l'uomo più ricco d'Italia) a persone che spesso non superano il reddito di un milione al mese (quando lavorano, ed è già una benedizione!) magari con moglie e un paio di figli a carico? Conosce l'ansia delle rate, l'inquietudine delle bollette, l'angoscia degli sfratti, la spasmodica attesa del salario settimanale? Non gli sembra di insultare gratuitamente la proba povertà di molti dei cittadini che pretende di governare?
In politica e in amore ogni mezzo è lecito, dicono. Infatti, sfortunatamente, nessuno può considerare delitto legalmente perseguibile l'orgia dei messaggi stolti che ci vengono riversati addosso. Ciò, però, non significa che non se ne possa dare un giudizio. Già altra volta Berlusconi ci promise un milione di posti di lavoro e il suo governo vide crescere la disoccupazione, aumentare l'inflazione e il debito pubblico. Ora continua sulla stessa strada, senza pudore alcuno.
Quello che è davvero indecente, ritengo, è che si usino le tecniche dei messaggi pubblicitari quando vi sono in gioco questioni importanti e vitali per milioni di persone. Quello che è davvero indecente è che si usi l'arma degli slogan ad effetto invece del ragionamento e del confronto delle idee e dei programmi. Quello che è davvero indecente è che ci si sottragga al confronto con l'avversario perché sarebbe uno strumento dei "comunisti". Quello che è indecente e insopportabile è che Berlusconi seguiti a parlare in quel suo modo falsificante di un fenomeno che non capisce o che gli fa comodo non capire.
Fa di tutte le erbe un fascio, parla di comunismo mettendo insieme realtà incommensurabili ed eterogenee. Nell'URSS e nelle democrazie popolari comunismo significò oppressione? Non soltanto questo, a dire il vero, ma prendiamo pure per buono l'assunto. In Italia però - con buona pace dei "pentiti" alla Veltroni - significò invece salvaguardia della democrazia e della libertà, di quella libertà che consente a Berlusconi di dire persino le sciocchezze con le quali ci delizia.
Davvero Berlusconi non sa che l'approntamento di una Costituzione molto progredita per i tempi, capace di salvaguardare i fondamentali diritti dei cittadini, vide i comunisti italiani - Terracini, Togliatti, Amendola - impegnati in prima fila? Davvero Berlusconi non ricorda che essi la difesero sempre, al prezzo costante di persecuzioni nelle fabbriche e nei posti di lavoro, di discriminazioni sociali e qualche volta della vita stessa, contro il dispotico Scelba, il liberticida Tambroni, i golpisti alla De Lorenzo?
Furono però solidali - afferma Berlusconi - con quella "sentina di vizi" che fu l'URSS. E i suoi attuali compagni di strada, allora, come si atteggiarono verso gli Stati Uniti che bombardavano e defoliavano il Viet-Nam? o verso la Francia che calpestava e martoriava l'Algeria? Evidentemente, opprimere i biondi Tedeschi e i cattolici Polacchi era molto più grave che torturare i Nordafricani musulmani e i gialli nanerottoli del Sud-Est asiatico. Che vergogna!
(21 febbraio 2001)

Giovanni Gattamelata


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