Luciano
Ritengo importante "contaminare" alcuni temi del movimento con altri propri della tradizione della sinistra italiana.
Quale capacità di diffusione, di formazione e di mobilitazione può avere Attac? La Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie, è uno strumento efficace per impedire al capitale finanziario di speculare spostandosi in tempo reale da un paese all'altro, travolgendo realtà produttive, posti di lavoro, intere nazioni? Come utilizzarne i proventi? A che punto è il dibattito internazionale su questo strumento finanziario, a cominciare da quello condotto in Francia, che ha coinvolto lo stesso governo?
Come è possibile dare ai giovani una sicurezza di lavoro, che consenta autonomi progetti di vita? Che non confini la malattia e la vecchiaia in orizzonti lontani, minacciosi, rimossi? E' necessaria una politica per la riduzione dell'orario di lavoro, per "lavorare meno, lavorare tutti"? Di questa se ne possono far carico il movimento, i sindacati, fino ad impegnare il parlamento? Sono necessari strumenti come il salario minimo garantito o il reddito di cittadinanza?
Cosa chiedere alla politica ed allo Stato? Certamente il mantenimento e l'ampliamento dello stato sociale, sanità, istruzione, controllo dell'ambiente ecc.. Ma il wellfare deve essere realizzato principalmente attraverso posti di lavoro pubblici o anche affidandolo al terzo settore, alle cooperative, fino a sconfinare nel privato sociale? Quale è il ruolo del volontariato e cosa si intende per volontariato?
In che misura i giovani tendono a rifiutare il lavoro dipendente, cercando una realizzazione all'interno di isole di lavoro liberato?
Lo Stato deve avere un ruolo propulsore anche in campo industriale? Deve cessare lo smantellamento delle partecipazioni statali? Si può rilanciare l'intervento dello Stato in settori che richiedono alta tecnologia ed una innovazione di prodotto, in cui l'Italia è particolarmente carente, riducendosi a fare concorrenza su prodotti vecchi, ad alto impatto ambientale, al terzo mondo, attraverso la riduzione del costo del lavoro?
Come la lotta per la difesa del Sud del mondo rispetto alla globalizzazione capitalistica può collegarsi alla lotta contro il degrado delle condizioni di vita nel Nord del mondo? Come possono essere combattute le multinazionali, nella loro continua ricerca del lavoro al costo più basso e nella politica di distruzione dell'ambiente? Strumenti come il boicottaggio di certi prodotti (Coca Cola, Neslé, Danone, multinazionali farmaceutiche, industrie petrolifere ecc.) quale incidenza possono avere?
Questo movimento, che rifiuta i confini, è capace di farsi carico di emergenze nazionali, come quella palestinese? di vedere che non si tratta principalmente di scontro nazionalista o religioso ma di distruzione di case, di alberi e di campi, di espropriazione dell'acqua, di distruzione di condizioni di vita e di lavoro? insomma della cacciata di milioni di persone dalla loro terra? (Questo, io credo, è uno dei banchi di prova su cui verificare la profondità e le prospettive del movimento).
Quale è il senso del progetto per uno scudo spaziale e come contrastarlo? E' possibile, come chiede Rossana Rossanda su "il manifesto" che due o trecentomila persone, informate e decise, si mobilitino davanti a Palazzo Chigi in modo che non tutto non passi sotto silenzio, come invece accadde con l'adesione di D'Alema alla Nato 2 durante la guerra del Kossovo?
Come la solidarietà fra movimento e lavoratori, che si è manifestata anche a Genova attraverso la adesione della FIOM, di varie Camere del Lavoro, dei Cobas, della sinistra CGIL "Lavoro e Società - Cambiare Rotta", potrà costruire momenti unitari di lotta di fronte alle scadenze autunnali?
Una discussione su questi temi, che partendo dal movimento, coinvolga tutto il paese, è il modo per uscire dal pensiero unico neo liberista, nella versione beautifull di Berlusconi e mediaset, nella versione della destra fascista e nella versione saccente e spocchiosa dei giornali della borghesia "progressista", ad incominciare da Repubblica.
Sarebbe perdente lasciarsi coinvolgere in un duello muscolare con il governo, invece di attivare mille canali di discussione nel territorio, coinvolgendo milioni di italiani.
(15 agosto 2001)
Siamo andati ieri sera alla Festa dell'Unità a Roma; abbiamo doverosamente firmato una petizione contro i combattimenti fra cani e sostenuto economicamente questa giusta causa, abbiamo curiosato fra i vari stands di oggettistica del Nord industrializzato e del Sud del mondo, abbiamo ascoltato un po' di musica e ci siamo rifocillati al ristorante spagnolo.
In mezzo a questa grande fiera l'unico punto fortemente politico era lo stand della associazione Italia Israele. Poco folklore, per la verità, e una grande massa di pubblicazioni a disposizione del pubblico. Abbiamo chiesto ad un giovane cortese e piuttosto spaesato il permesso di portarci a casa una bracciata di depliants, da leggere con comodo.
Siamo sicuri che per i nostri lettori, abituati alle analisi della associazione pacifista israeliana Gush Shalom e di altri veri pacifisti israeliani, non è necessario nessun commento. La questione è, invece,: dove vanno i DS? Perché, piuttosto, non hanno organizzato un dibattito fra i pacifisti israeliani ed i palestinesi?
Vi trascriviamo parte di un depliant della ambasciata israeliana, in distribuzione presso questo stand con altre analoghi pubblicazioni.
"Chi è responsabile dell'esplosione della violenza?
….Yasser Arafat deve essere ritenuto responsabile di questa ondata di violenza che ancora sconvolge i territori. La cosiddetta "rivolta" non è altro che il tentativo calcolato e cinico di Arafat di conseguire con la violenza i fini massimali che non è riuscito a raggiungere al tavolo dei negoziati…"
"Perché questa violenza?
Contrariamente a quanto è stato affermato da molte parti, la visita di Ariel Sharon al Monte del Tempio lo scorso settembre non ha scatenato la rivolta: E' stato solo un pretesto per una campagna premeditata di violenza…."
"Perché i bambini palestinesi rimangono feriti nel conflitto?
I palestinesi mandano i bambini a tirare pietre e bombe a mano ai soldati israeliani…..Queste macabre operazioni generalmente hanno un obiettivo: fornire scene di vittime palestinesi che le televisioni possano riprendere in tempo per i notiziari serali…."
"Quale è la posizione di Israele in merito alla pretesa palestinese di un diritto al ritorno?
Il rientro di milioni di rifugiati in Israele comporterebbe la scomparsa dello Stato…
Dunque, dal momento che Israele non è né responsabile della nascita del problema dei rifugiati, né del suo perpetuarsi, non si può dichiarare, nemmeno come gesto simbolico, una sua responsabilità perché ciò potrebbe portare drastiche conseguenze… E infine, che senso ha da parte palestinese chiedere uno stato indipendente e poi desiderare che i propri connazionali vadano a vivere in un paese straniero, con lingua, cultura, tradizioni e stili di vita diversi dai loro? Come ha affermato lo scrittore israeliano A.B. Yehoshua, i rifugiati devono tornare alla loro patria, lo stato palestinese che nascerà, e non alle loro case."
"Qual è la posizione d'Israele riguardo agli insediamenti ebraici nei territori?
….La posizione di Israele è che, dal momento che la Giordania non ha mai esercitato la sua sovranità sulla Cisgiordania, e l'Egitto non ha mai esercitato la sovranità su Gaza, non ha senso parlare di "territori occupati" secondo il diritto internazionale."
Il testo non merita, evidentemente, nessun commento. O volete farli voi?
Oggi, 31 luglio, "il manifesto" ha pubblicato una lettera di protesta della Delegazione palestinese in Italia, che pubblicheremo domani.
(31 luglio 2001)
Sarà ricordata a lungo la data del 25 luglio 2001, il giorno nel quale l'on. Piero Fassino, candidato alla segreteria dei Ds, ha inaugurato lo "Stand dell'amicizia con Israele" alla Festa dell'Unità di Roma a Ponte Milvio, come ha raccontato il manifesto sabato scorso. Uno stand che fino a tre giorni prima (prima di essere richiesto dalla direzione della Festa), ospitava una mostra sulla Palestina. Sarà ricordato con amarezza e rammarico da tutti noi palestinesi che abbiamo conosciuto e amato questo paese e mi auguro che sarà ricordato allo stesso modo anche dai democratici e progressisti italiani con i quali abbiamo condiviso tante battaglie per la libertà e continuiamo a farlo. Ci guardiamo attorno sconvolti, il mondo e le persone cambiano, ma in peggio. Diventa "normale" tutto quello che una volta ci faveva ribellare. Guerre, sfruttamento, morte per fame, occupazioni militari e l'umiliazione dei popoli, tutte "opzioni possibili" e senza nemmeno parole d'indignazione. Come il fatto che il candidato alla segreteria del partito ancora più grande della sinistra italiana offra, in nome di non sappiamo cosa, la sua amicizia e quella del suo partito all'Israele di Ariel Sharon.
E' difficile prender atto che la storia si scriva ormai con simile leggerezza, e addirittura che questa scelta possa essere il frutto di una meditazione collettiva o rappresenti il punto d'arrivo d'una storia gloriosa.
Cosa può aver fatto il popolo palestinese all'on. Fassino resta un mistero, giacché da parte sua ci arriva una vera dichiarazione di guerra. Cos'è? Un modo per premiare Sharon, quello di Sabra e Chatila, perché continui ad occupare e ad uccidere, e a non sispettare le Risoluzioni internazionali? O forse un apprezzamento per il comportamento "esemplare" d'Israele verso i diritti umani, visto che il governo di centro-sinistra di cui l'on. Fassino era ministro, si è ben guardato dal condannarlo per l'uso eccessivo della violenza? O peggio ancora per incoraggiarlo a continuare la colonizzazione selvaggia e far morire di fame e cannonate i palestinesi affossando il processo di pace?
E' ancora più incomprensibile la scelta dell' on. Fassino perché giunge in un momento in cui molti stessi cittadini d'Israele non si sentono più amici del proprio paese per l'imbarazzante figura che li rappresenta, per la violenza che esercita, per le trasformazioni che da lunghi anni subisce e per il razzismo che manifesta. Le persone di buon senso s'aspettano un atteggiamento rigoroso e responsabile verso il governo d'Israele, per indurlo al rispetto della legalità, ma l'iniziativa dell'on. Fassino non fa altro che alimentare l'arroganza di Sharon, radicandone la convinzione d'essere al di sopra di ogni legalità. Se fosse un'ulteriore svolta dei Ds verso il popolo palestinese, finirebbe per indebolire coloro che credono ancora nella politica e nella sua assoluta idoneità come mezzo per risolvere i conflitti. Un atteggiamento simile infatti toglie peso e credibilità alle forze che si aggrappano ancora all'idea laica e democratica della politica e del mondo in questi tempi bui di integralismi. L'amicizia per questo Israele corrisponde ad una idea meschina della politica e ad una farsa del processo di pace, e rischia di rafforzare la disperazione e le tendenze più estremiste. Non credo che l'on. Fassino miri a questo, anche se la sua ascesa ha corrisposto ad un graduale disimpegno di settori del suo partito, fin dal momento in cui l'attuale candidato-segretario ha messo sullo stesso piano le vittime ed il carnefice.
Questo mio intervento non vuole essere un'intromissione in vicende italiane, ma una supplica, perché non venga dispersa una lunga, esaltante storia comune, e anche una legittima difesa, perché tali atteggiamenti vengono pagati a caro prezzo, e sulla pelle, dai più deboli. Come noi siamo.
La città di Genova, ancora prima del G8, posta sotto coprifuoco, vietata ai cittadini la libera circolazione, migliaia di poliziotti a controllare i documenti, in attesa dell'arrivo di 20.000 fra poliziotti e carabinieri nelle giornate cruciali, l'esercito e le altre armi a controllare da lontano, ma pronti ad intervenire.
Già prima che accadesse il peggio era incominciato un esperimento: fino a che punto in periodo di pace, è possibile stabilire il controllo militare sulla popolazione civile, in mancanza di emergenze come una epidemia sanitaria o una catastrofe ambientale.
Abbiamo accettato che una città fosse gestita militarmente, abbiamo accettato l'apartheid per far posto alla razza superiore dei G8, sperando che sarebbe tornata la normalità (ma intanto si raccontava di ospedali sgomberati per far posto ai feriti che si attendevano; si parlava, leggende metropolitane, della possibilità di utilizzare le celle frigorifere dei macellai per far posto ai possibili cadaveri; i films dell'orrore stimolavano le fantasie).
Tutto questo non ce lo ha preparato il governo di destra.
Il governo di destra, invece, ci ha fatto vedere, per la prima volta nella storia d'Italia, che più di duecentomila persone in piazza possono essere considerate e trattate come il nemico, quasi che avessero tentato l'assalto al Palazzo d'Inverno. Queste persone, ci dice ii governo, erano violenti, complici del terrorismo. (Non per niente i DS se ne sono fortunosamente distaccati, lasciandoli al loro destino). La loro voce non conta.
Il Ministro Scaloja si stupisce che qualcuno possa deprecare l'assalto alla sede del Genoa Social Forum, solo perché punto di riferimento di centinaia di migliaia di manifestanti e di milioni di italiani. Ma cosa sarebbe successo se durante la guerra fredda la DC avesse ordinato l'assalto a Via delle Botteghe Oscure?
Non è soltanto la violenza della polizia che sgomenta. Quella la conoscevamo già. E' sconvolgente la vista dei manifestanti che sfilano a mani alzate davanti ai poliziotti, come i prigionieri dei nazisti sfilavano davanti alle cineprese dei loro aguzzini.
Forse è questo il punto.
Il primo governo Berlusconi era caduto per le grandi manifestazioni contro il taglio delle pensioni, che erano culminate con quella di un milione e mezzo di persone a Roma. La maggioranza parlamentare si spaccò. Il governo non poteva resistere ad una così ampia espressione di sfiducia popolare.
Ma i tempi stanno cambiando. Blair, Bush ci insegnano che si può governare un paese con il 25% degli elettori; ce lo hanno detto tante volte i radicali (che fine hanno fatto?). Certo, non c'è un vero consenso, occorre una società blindata, occorre soprattutto saper tenere con le armi i negri, gli asiatici, gli emarginati al loro posto!
Le società della globalizzazione capitalistica e della emarginazione si militarizzano. Il nostro governo è all'avanguardia. Questa volta non vuole farsi travolgere dalla piazza. E non intende fare prigionieri.
Occorrerà tutta la nostra passione, occorrerà tornare ad essere capaci di chiamarci, come fanno nel movimento, fratelli e sorelle, per vincere tutto questo.
(27 luglio 2001)
Sapevamo che il movimento contro i G8 avrebbe determinato una grande crescita delle coscienze in Italia e che avrebbe rimesso in campo una sinistra umiliata dai continui compromessi ma desiderosa di un nuovo protagonismo e per nulla disposta a concedere deleghe.
Quello che non immaginavamo è l'ampiezza che questo movimento ha preso, che modifica il quadro plumbeo cui ci stavamo abituando ed apre nuove prospettive.
I presupposti:
Tutti si sono sentiti presenti a Genova, magari attraverso le dirette televisive, seguite imprecando o con il fiato sospeso, le radio ed i siti del movimento, i telefonini dei figli e degli amici che erano là.
Tutti hanno visto le cariche della polizia, non contro le "tute nere", ma contro il corteo, le violenze contro i manifestanti isolati, l'uso sproporzionato della forza, culminato nell'assassinio di Carlo Giuliani. Le reazioni sono state diverse. Dopo quella terribile giornata i DS si sono tirati indietro. Ma più di duecentomila manifestanti, rispondendo all'appello del Genoa Social Forum, sono accorsi a Genova, quando tutto era più difficile e pericoloso, dando una grande prova di determinazione e maturità politica.
La capacità dimostrata di conservare la lucidità, di resistere e tenere il campo, di non lasciarsi travolgere e coinvolgere dalla violenza è una grande vittoria del movimento e di chi lo ha saputo rappresentare: il Genoa Global Forum e quanti vi hanno aderito.
Il Genoa Social Forum si trasforma ora in Social Forum italiano, inserito in una rete mondiale, e costituisce un punto di riferimento ed una speranza per gran parte del paese, non rassegnata al trionfo della ideologia del mercato e al massacro sociale ed ambientale che ne deriva.
Le prospettive:
Il movimento antiglobalizzazione si è fondamentalmente fatto carico di temi quali la cancellazione del debito, la Tobin Tax, il trattato di Kyoto, la lotta alle multinazionali e contro la durata ventennale del brevetto sui farmaci, l'impegno per l'accesso all'acqua potabile per le moltitudini del Sud del mondo, la riconversione produttiva delle fabbriche di armi. Quasi tutti questi temi riguardano la enorme ingiustizia di cui è vittima il Sud del mondo. Eppure sono capaci di suscitare un altissimo livello di mobilitazione nel Nord del mondo, nella generazione che ora si appresta a liquidare il "teatrino della politica". Non è solo generosità; è la coscienza che la globalizzazione del capitale stritolerà tutti noi, a partire dai più deboli.
E allora è necessario parlare anche di noi, incatenati al lavoro o al non lavoro nel Nord del mondo. Al Genoa Global Forum ha aderito la Fiom, nel momento in cui un milione di metalmeccanici si prepara ad uno scontro durissimo per il rinnovo del contratto; hanno aderito la sinistra della CGIL "Lavoro e Società -Cambiare rotta" e i Cobas. A Genova erano presenti i lavoratori della Danone, la multinazionale francese che, pur con i bilanci in attivo, ha licenziato più di mille lavoratori, per far salire il corso delle azioni. Ciò ha determinato un enorme movimento di solidarietà in Francia; il "popolo di Seattle" ha lanciato l'appello al boicottaggio della Danone, che è rimbalzato in tutto il mondo. (Poco prima un altro boicottaggio contro le multinazionali del farmaco aveva consentito al Sud Africa di utilizzare farmaci anti AIDS senza pagare i brevetti).
Chi in Italia lotta per i propri diritti e la propria vita contro il primato del mercato vede immediatamente in questo movimento un nuovo potente alleato.
Ma allora, è necessario approfondire i punti di convergenza, elaborare strategie unitarie ed ulteriori momenti di lotta comune, su giustizia Nord-Sud e giustizia sociale nel nostro paese, lavoro e non lavoro, pacifismo, ambiente ecc… Credo che questa lotta si svolgerà nel "sociale" e che potrebbero esserne co-protagonisti le organizzazioni sindacali, purchè siano capaci di rappresentare tutti i lavori, compresi gli "atipici" e chi dal lavoro è tenuto fuori.
Non credo che questa lotta potrà avere un immediato versante politico, ed ancor meno parlamentare. Questo movimento diffida di un Parlamento sostanzialmente ostile, in cui la sola sponda amica è costituita da Rifondazione (troppo compromessi, ormai, anche i Verdi); Rifondazione sarà utile se saprà affiancare questo movimento, come ha fatto, senza mire egemoniche e senza meri interessi elettorali.
Poi forse la forza delle cose imporrà un ulteriore e del tutto nuovo livello di scontro politico.
(25 luglio 2001)