Omar Minniti



(in archivio 2 ottobre 2001)
Sul referendum federalista

Anche se restano ancora impresse nella mente le immagini dei gravi attentati che hanno coinvolto la popolazione Usa, la vita continua e il nostro impegno non può e non deve fermarsi, nell’imminenza di importanti scadenze. Poche settimane ci separano dall’ennesimo appuntamento referendario. Il prossimo 7 ottobre gli elettori italiani saranno chiamati ad esprimersi sull’ipotesi di controriforma federalistica dello Stato, su un nuovo tentativo di stravolgere da destra la Costituzione repubblicana. Il tempo stringe, ma a sinistra, e specialmente tra le file dei soggetti antagonisti, ancora non si avverte l’esigenza di una discussione articolata su un tema così delicato.
Sembrano lontanissimi i tempi in cui solo la Lega razzista e secessionista di Bossi “scaldava” i suoi militanti con anatemi su “Roma ladrona” e rivendicava un forte decentramento a favore delle regioni più ricche del Paese. Con gli anni tutti (o quasi) i partiti, a destra come a sinistra, hanno finito col fare proprie, in toto o in parte, quelle posizioni.
Ormai il federalismo viene servito in cento salse, per renderlo appetito ad ogni palato: esiste il “federalismo solidale”, elaborato negli alambicchi di gran parte della sinistra ex socialdemocratica e liberal e degli stessi sindacati, il “federalismo democratico”, addirittura il “federalismo nazionale” dei fascisti. Al Sud è spuntato perfino il “federalismo meridionalista”…
In ogni modo si vuole far mandare giù questo boccone amaro, anche a quelle categorie tradizionalmente restie a quest’involuzione del modo di amministrare lo Stato. Parliamo degli abitanti delle regioni del Mezzogiorno e dei lavoratori in generale, che ben poco ci guadagnerebbero da un’amministrazione pubblica improntata sui particolarismi locali, sulle logiche della deregulation e della sussidiarietà, sul ritorno di quel “dividi e comanda” tanto caro ai padroni di ogni epoca (da dove parte l’attacco contro i contratti nazionali e per la restaurazione delle famigerate “gabbie salariali”?).
Qualcosa di simile al federalismo ha fatto breccia perfino in certi ambienti della sinistra di classe e critica, un po’ per le influenze nefaste influenze della sinistra moderata, un po’ per il convincimento che possa sussistere un nesso tra decentralizzazione e forme di autogestione, “comunitarismo” e partecipazione dal basso. Una posizione che naviga a vele spiegate, soprattutto grazie al vento del Nord-Est…
L’assenza di un dibattito allargato influisce non poco a creare confusione e disorientamento tra i compagni.
Il secco no di Rifondazione comunista, dichiarato recentemente dalla Segreteria nazionale, è senza dubbio un primo passo positivo, ma in questi giorni prima della chiamata alle urne urge, nonostante l’attenzione dell’opinione pubblica sia rivolta altrove, una mobilitazione ben più incisiva. Anche perché questa volta, a differenza degli ultimi referendum-capestro, appare molto difficile l’auspicata bocciatura della controriforma grazie alla marea montante dell’astensionismo: gli elettori dovranno esprimersi su un solo quesito e, per di più, sotto il bombardamento mediatico delle principali fazioni pro-federaliste.
A mio avviso, suonano più che mai attuali –nonostante siano “vecchie” di mezzo secolo abbondante- le parole pronunciate da Togliatti durante il primo congresso legale (il quinto) del Pci, subito dopo la vittoria sul nazi-fascismo: "Non siamo federalisti; siamo contro il federalismo… Questo non vuol dire che ignoriamo le regioni e che non vogliamo concedere loro la necessaria autonomia… si tratta di concedere prima di tutto ampie autonomie locali ai comuni. Il nostro regionalismo, però, e lo diciamo chiaramente, ha dei limiti. Un Italia federalistica sarebbe un paese nel quale risorgerebbero e finirebbero per trionfare tutti gli egoismi e i particolarismi locali, e sarebbe ostacolata la soluzione dei problemi nazionali nell’interesse di tutta la collettività. Un’Italia federalistica sarebbe un’Italia nella quale in ogni regione finirebbero per trionfare forme di vita economica e politica arretrate, vecchi gruppi reazionari, vecchie cricche egoistiche, le stesse che hanno fatto sempre la rovina d’Italia".
Meditiamo, compagni, meditiamo…
(17 settembre 2001)

Omar Minniti

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