Milano
capitale dell'emigrazione
di Fabio Trazza
Con i flussi migratori d’inizio secolo, e con il ruolo che svolgeva Milano, crocevia dei disperati in cer ca di lavoro e di emigrazione, Milano fu per tutti, e anche per i disgraziati, la porta d’Europa. E lo è anche oggi. Ieri per gli italiani, “pompati su dal vivaio del dispregio e della miseria”. Oggi per gli extracomunitari, pompati dallo stesso vivaio. C’è voluta la sanatoria, conclusa a dicembre, per far emergere la cifra reale di quanti, presenti irregolarmente in città, han fatto domanda di regolarizzazione a Milano: sessantaquattromila. Già cinquantaduemila si sono prenotati per la presentazione dei documenti necessari. La polizia, addetta al controllo, e con gli organici disponibili, si pensa potrà esaminare materialmente tutte le domande solo entro agosto. Nessun’altra città conosce queste cifre. Per averne una proporzione, pensate che i permessi di soggiorno disponibili su tutto il territorio nazionale, e messi a disposizione dal governo, erano per tutta Italia trentottomila. Ma, poi, le domande registrate in Italia sono risultate trecentocinquantamila. E per avere esattamente lo sfondo, in cui Milano si colloca, considerate la cintura milanese con i suoi trentadue comuni, in cui abitano duecentodiecimila immigrati. Forse queste cifre erano sconosciute, perchè, quando un decreto ministeriale ha concluso lo spettacolo della sanatoria nel mese scorso, si è aperta come una diga e una massa imprevista ha invaso le strade, di giorno e di notte, vicino alla caserma Annarumma, indicata come sede per le domande. Come si è risposto a questa fiumana, che non poteva essere assorbita da un’unica centrale? Altri commissariati, da Porta Genova a Cinisello, sono stati aperti per la raccolta delle richieste di sanatoria. Poi a Milano si sono aperti quattro “sportelli” d’informazione, ma non istituzionali: i circoli vicini a Rifondazione Comunista, Affori, via Bellezza, via Bramante, piazza Selinunte. Lo spettacolo è stato ampiamente descritto da tutti i quotidiani e da tutte le televisioni, per l’enormità del fenomeno e anche per il caos registrato. Ma se, oltre ad ascoltare i media, si fosse visto da vicino, allora non sarebbe stato solo spettacolo, ma fenomeno grave, un segno misto di inciviltà e di impreparazione, per Milano. E non è poco. Eppure Milano già all’inizio del secolo cominciava a far qualcosa di significativo per le masse in transito dalle frontiere. C’era la “casa degli emigranti”, ce lo ricorda Gadda, “che sarebbe dovuta doventar caserma e poi quartiere e città”. Oggi c’è solo la caserma. Si dirà: ma oggi è questione di ordine pubblico, ci sono anche i delinquenti, o, come dice Giorgio Bocca (vedi la Repubblica 16.12.98 in prima pagina), “campano logorandosi, continuano a vivere senza sapere bene perchè, escono man mano dalla rete della memoria e dei valori cittadini fatti per gli uomini che lavorano, gli uomini veri che mantengono la famiglia e allevano i figli”. E’ vero. Ma perché? Forse Gadda non ci ricorda che anche tra gli italiani “pompati su dal vivaio del dispregio e della miseria”, oltre agli operosi, c’era chi rubava portafogli e regalava coltellate? Bisogna sapersi guardare nello specchio della storia!
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