Museo
Sociale
di Fabio Trazza
C’è chi minimizza. E’ vero. Ha ragione il Presidente del Consiglio dei Ministri: “E’ sciocca la campagna di chi dice che l’Italia è invasa” (dalla Conferenza Stampa di fine anno). Infatti guardando la condizione di quanti entrano ed escono dall’Italia, non si può certo dire che siano degli invasori, anzi, gli immigrati, “guardati dalle sentinelle”, sembrano piuttosto “prigionieri di guerra”, come dice Gadda. Però Milano nel 1906 offriva gratuitamente una struttura sorta appositamente, la Casa degli emigranti. C’era da mangiare, dormire e lavarsi per i lavoratori italiani in transito diretti verso l’Europa, spinti e pompati dalla miseria e dal disprezzo. Andavano a “lavorar terre in terra straniera”. E nella ripetizione di un termine, la terra, Gadda racchiude tutte le esistenze condannate non solo dalla miseria, ma anche dall’umiliazione. E andavano disposti a tutto e a tutti, anche a costruire le fogne delle metropoli europee. Milano, 1914, il 28 luglio, quando l’Austria attacca la Serbia e inizia la prima guerra mondiale, come tutte le grandi città in Europa, Milano cercò di capire cosa c’era da fare. La Casa degli emigranti diventa un quartiere. Le frontiere si chiudono. La Stazione Centrale di Milano raccoglie tutti “i villanoni del mondo”, inferociti e disperati e tutta la marmaglia di tutti i punti di confine. Basilea sbarra gli accessi nella città, perchè oltre diecimila rimpatriandi italiani rigurgitano nella città. Tanti, strapazzati, come fossero prigionieri di guerra, sono bloccati al confine con la Germania. E poi il parto nella notte, nella campagna, al freddo e sotto la pioggia. L’allattamento: la “mammia” sferzata dalla gelida tempesta, prima di essere presa dal lattante. Anche noi, nel periodo della sanatoria, a novembre del 1998, abbiamo bloccato le frontiere. La casa degli emigranti, nel 1914, fece quel che potè. Cosa fa oggi Milano? Il “Museo Sociale”, ricorda Gadda, non rese tutti quei servizi che ci si aspettava. I maestri della scienza statistica, economica, politica, nella loro impotenza, erano chiusi alla città. E per questo erano museo. Allora. E oggi? C’è ci drammatizza. A Milano, il 24 maggio 1915, quando l’Italia entra in guerra contro l’Austria, tutto di colpo divenne superfluo. Fu trovato l’impiego migliore per ogni tanghero affamato: essere scaraventato contro altri maledetti tangheri. Anche oggi c’è chi pensa a questa soluzione: “Che altro, se non un’assurda replica della battaglia di Lepanto?” Il Corriere ha già pensato alla guerra. (vedi Alberto Ronchey. Corriere della Sera. 12.12.98 in prima pagina, articolo di fondo). Ma c’è anche chi capisce. Milano è oggi la capitale dell’im- migrazione, in Italia e verso l’Europa. Ma i responsabili delle istituzioni a Milano, se rimangono privi della capacità di fare quello che ci si aspetta, pur essendoci a Milano la statistica, l’economia e la politica, finiranno con l’essere gli uscieri, o al massimo la guida turistica di un impotente Museo Sociale, che assiste solo, senza saper intervenire, al gioco delle forze che spingono le masse umane in giro per il mondo nell’era della globalizzazione. Quali forze? 50 anni dopo la costruzione del nostro Stato nazionale la miseria italiana pompava emigranti per i bisogni più bassi delle metropoli europee. Ed era anche il tempo in cui anche l’Italia sognava una sua potenza coloniale. Figuriamoci cosa debba pompare oggi la moltitudine di Stati indipendenti, cosiddetti nazionali, sorti un pò alla volta, da cinquant’anni a questa parte, per la grande spinta alla decolonizzazione e alla liberazione dall’ex impero sovietico. Non è nostro compito insegnare niente al mondo, e tanto meno alle grandi potenze mondiali, compresi i principali stati europei, protagonisti e responsabili della colonizzazione prima e della decolonizzazione poi. Ma saremmo soddisfatti se cominciasse a radicarsi a Milano l’idea che sia possibile concepire una politica fatta di iniziative e realizzazioni straordinarie, proprio a Milano, per uno dei problemi più gravi della società europea. Milano sarebbe autorizzata a concepire una sua grandiosa progettazione sul tema, perchè è la capitale dell’immigrazione. Poi verranno anche gli Stati e l’Europa. Certo, fra i tanti musei che esistono, si potrebbe anche ampliarne un altro, il Museo Sociale, ma a quel punto potremmo farne a meno di chiamare le istituzioni, potremmo chiamare solo gli uscieri. L’importante è non chiamare certi consiglieri della grande stampa milanese e nazionale, che dalle colonne del Corriere non esitano ad immaginare una guerra generale nel Mediterraneo.
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(C) 1999 il Narratario. Direttore responsabile F. M. Trazza.