A proposito di un paradosso

Chi pubblicherebbe oggi Gadda?
Gli editori pubblicano. I critici consolano. Il pubblico non legge

di Autore

Liberal ha sollevato il problema delle pubblicazioni culturali, presso le grandi case editrici, ormai scadute a livelli più bassi di quanto la nostra civiltà consentirebbe. Prendiamo a cuore il problema, perchè tutto ciò che riguarda la prospettiva dell’editoria in Italia riguarda particolarmente Milano. Una sorta di panico angoscerebbe proprietari e dirigenti, al pensiero di pubblicare autori e testi difficili. Per esemplificare: Gadda non potrebbe oggi essere pubblicato. Conclusione triste. La Repubblica ne ha fatto l’eco, giungendo però a conclusioni consolatorie, ma anche poco comprensibili: “Il paradosso dell’editore, sia esso artigiano o industriale, è che si trova fra per le mani un prodotto che non è migliorabile grazie ad interventi tecnologici; un prodotto che continua a veder crescere il suo passato, ma che ha sorti incerte per quel che riguarda il futuro. Se abbiamo avuto un Gadda, non è affatto detto che ne avremo un altro. ... Insomma gli editori hanno una loro formidabile importanza e una loro relativa necessità. Ma la letteratura non è prodotta dagli editori e nemmeno dagli editor. E qui sta il punto.” (Sette giorni in libreria, La Repubblica, 25.1.99, Il paradosso degli editori). Confessiamo di non capire il senso del ragionamento. Non foss’altro che perchè su Gadda abbiamo costruito qualche riflessione, anche molto ben accolta dal pubblico de il narratario. O meglio, capiamo solo una cosa. La produzione letteraria ha bisogno di un sistema complesso di canali di comunicazione, per giungere al pubblico. Esattamente come il pubblico ha bisogno di un sistema complesso di canali di comunicazione, per giungere alla letteratura. L’editore è uno snodo fondamentale del sistema di comunicazione. Ipotizzare che lo scadimento dei testi letterari in circolazione non riguarda l’editore, perché non è lui a produrre letteratura, significa voler trovare un’alibi alla figura più responsabile di ciò che attualmente circola, o non circola, tra il pubblico. Ma ormai, pur nello scadimento che tutti denunciano, prevale l’atteggiamento consolatorio: nessuno ha colpa. Ovviamente neanche i critici. Naturalmente è sottinteso, per questi generosi assolutori ed autoassolutori, che il colpevole è il destinatario, come sempre cattivo e ignorante, dimenticando le responsabilità delle scelte culturali, ristrette nelle mani di poche decine di individui, troppo intimoriti dal clima di trapasso, che investe la società italiana, per credere in qualche avventura culturale coraggiosa. Per fortuna c’è l’alibi vero: “Con Internet, per esempio, finisce l’era dell’inedito. Tutti potranno mettere in rete le loro creature letterarie, anche se ciò non vorrà affatto dire trovare lettori, successo, stima dei critici eccetera.”(Fonte, sempre la stessa: Sette giorni in libreria, La Repubblica, 25.1.99, Il paradosso degli editori). Ma anche qui la debolezza del ragionamento è palese: per il pubblico, per leggere, è ancora più facile aprire un libro, che un sito internet. E quindi quel tutti è proprio infondato. E’ già in atto una divisione digitale, non solo tra le generazioni, ma soprattutto tra ceti sociali. In America gli afroamericani, gli ispanici, i giovani dei ceti a basso reddito sono ancora più distanziati dai ceti medioalti, proprio nell’accesso alle tecnologie della comunicazione. Privati ed autorità ne stanno discutendo e sorgono iniziative. Anche questo è un monito per Milano. In ogni caso, quindi, la mediocrità della produzione culturale non può assolvere proprio nessuno e tantomeno gli editori. Quando tutto diventa più difficile, proprio allora non servono gli alibi ed è opportuno impegnarsi di più e rimettersi in gioco.

 


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