Ripensando Sanremo

di Daniele Rubboli*

A una settimana dalla conclusione del 49° Festival della Canzone Italiana di Sanremo, dopo essermi trattenuto da considerazioni a caldo, mi ritrovo sulla stessa lunghezza d’onda... a freddo. L’idea è che la Rai e con lei l’ottimo Fabio Fazio, autentico e assoluto vincitore di quella «4 giorni musicale», abbiano, senza forse rendersene conto se non in parte, dato una testimonianza del tutto e del contrario di tutto. Il tutto sono le case discografiche che giocano al Superenalotto a suon di «personaggi» usa e getta (categoria Giovani) con canzoni che seguono tendenze esasperate di modesti gruppi d’ascolto, mentre con i «big» tentano vendite d’occasione, sempre puntando su minoranze di utenti. I milioni di telespettatori, che si sono fermati davanti alla vetrina della musica leggera italiana 1999, non sono poi entrati nel negozio e chi lo ha fatto ha molto selezionato il proprio acquisto. Il contrario di tutto sono stati gli ospiti: Gianni Morandi, reduce da un bel successo tv dedicato alla sua monografia canzonettistica; Ivano Fossati erede attualissimo dei tanti poeti che hanno scritto, nel tempo, per la canzone italiana; Riccardo Cocciante capace di magie musicali che stanno incantando il mondo dalla Francia al Canada e ritorno con il musical «Notre Dame de Paris» che ha esauriti prenotati fino ad oltre il 2000. Fingo di dimenticarmi di Franco Battiato che vedrei molto bene esibirsi non negli stadi ma nei cimiteri. Bene, costoro, amati dall’Italia al resto del mondo, da decenni capaci di vendere canzoni per milioni di dischi, hanno testimoniato che la propria musica è esattamente l’opposto di quella spacciata da Nada e Anna Oxa, Soerba e Quintorigo, mentre le urla disperate per un neo-melodramma in elettronica di Filippa Giordano, Allegra, Arianna & C., sono annullate dal solare intervento di una pop star quale Ricky Martin con il guizzo di una musica vitale, briosa, serenamente aperta al piacere di vivere. Se hanno ragione questi ospiti, italiani o stranieri - non dimentichiamo la lezione di Cher - la canzone di oggi e di domani non può essere «Senza pietà» o «Aria», «Lo zaino» e «Rospo», per cui Sanremo ci ha fatto ascoltare una falsa tendenza della musica leggera ed in particolare di quella italiana. Tanto falsa che negli ultimi anni, di fronte a ragazzi applauditi e scomparsi come i Jalisse di Oderzo, se dall’Ariston ha spiccato il volo un personaggio entrato nello star system, quello è il pisano Andrea Bocelli che insidia sempre più da vicino il trono di Luciano Pavarotti nella popolarità canora italiana nel mondo. Benchè Bocelli non sia un «esempio» che amo, tuttavia si deve onestamente dire che cantando esattamente l’opposto di quello che Sanremo ’99 ci ha proposto è la nuova bandiera della canzone italiana in ogni angolo del pianeta. Buttare tutto quello che era in gara all’Ariston nell’immondizia è certo eccessivo: può esserci sfuggito un lamento che nel tempo riuscirà a dimostrare che era il vagito di una nuova realtà. Esaltarlo come ha fatto la maggioranza dei commentatori radiofonici e degli inviati della carta stampata è pure fuori luogo. Per quel che mi riguarda non è accaduto ancora nulla e resto con Morandi, Fossati e Cocciante.

* Daniele Rubboli, “allenatore” dei futuri artisti del Teatro Musicale (opera, operetta, musical) nel più grande Laboratorio Lirico d’Europa: quello del Rosetum, a Milano.

 


IndietroCopyright (C) 1999 il Narratario. Direttore responsabile F. M. Trazza.